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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Tra papa Giovanni e papa Francesco un forte collegamento ideale per riformare la Chiesa

Due papi santi

C’è un arco che con un salto di cinquant’anni unisce Giovanni XXIII e papa Francesco, e quest’arco poggia su due pilastri. Il primo è quello dell’11 settembre 1962 quando papa Giovanni, un mese prima dell’inizio del Concilio da lui convocato, ne definiva la ragione ed il fine, dicendo che “in faccia ai paesi sottosviluppati” la Chiesa si presentava “come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”. Il secondo pilastro è quello del 13 marzo 2013 quando al papa Bergoglio appena eletto l’amico brasiliano cardinale Hummes disse nella Sistina di “ricordarsi dei poveri”, e lui scelse il nome di Francesco. Dunque Giovanni annuncia a una cattolicità chiusa in se stessa una Chiesa di tutti e soprattutto dei poveri, Francesco la realizza in nome di un Dio tutto perdono e misericordia.
Sotto quest’arco si è disteso il deserto di una rimozione del Concilio, e attraverso di esso è passata la Chiesa di Giovanni Paolo II. È una Chiesa che soprattutto ha cercato di rafforzare le sue schiere, di debellare i suoi nemici, di celebrare i suoi trionfi, una Chiesa che papa Wojtyla ha guidato verso una restaurazione delle glorie antiche di una cristianità signora dell’Europa e anima dell’Occidente: restaurazione che non è riuscita. Ciò è avvenuto per molte ragioni. La prima è che il papa polacco ha creduto che per restaurare la Chiesa bastasse restaurare il papato, portandolo al massimo della visibilità consentita dai tempi; la seconda è che da quel deserto, senza la fede ripensata e rinnovata dal Concilio, non c’era come uscire; la terza è che papa Wojtyla ha creduto che la crisi della religione in Occidente fosse il frutto avvelenato dell’ateismo comunista, e che sconfitto quello il mondo non sarebbe caduto nell’edonismo della società dominata dal denaro, ma sarebbe stato “sollecito delle cose sociali”; e la quarta è stata che quando egli ha voluto fare il papa non come piaceva alle grandi masse guidate dai “media”, ma come contro ogni convenienza gli imponeva il Vangelo, e ha rotto la solidarietà con l’America opponendosi risolutamente alla guerra contro l’Iraq, l’Occidente lo ha oscurato e lo ha depennato come leader, confinandolo nel mito devozionale della sua santità privata.
È con questa storia alle spalle che le due canonizzazioni, di papa Giovanni e papa Wojtyla arrivano per una casuale coincidenza alla contemporanea proclamazione di oggi. Esse sembrano compensarsi, eppure sono assai diverse tra loro. Nel caso di Giovanni Paolo II quando la folla dei fedeli, emozionata per la sua morte, diceva “Santo subito”, pensava alla sua santità personale, al modo in cui aveva reagito all’attentato, alla popolarità che si era guadagnata, alla sofferenza della sua malattia. Nel caso di Giovanni XXIII quando fu presentata la proposta che fosse il Concilio a proclamare la sua santità, senza processo canonico e il corredo di appositi miracoli, l’idea era che venisse esaltata proprio la santità del modo in cui Roncalli aveva esercitato il ministero petrino, aveva interpretato il suo ruolo di papa.
La santità di papa Giovanni veniva da lontano. Si era costruita lungo tutta la vita all’insegna dell’ “oboedientia et pax”, obbedienza e pace, suo motto episcopale, ma poi si era trasfusa nella imprevedibile decisione di convocare il Concilio per riportare a un mondo incredulo la fede, nella convinzione che da duemila anni il Cristo non aspettasse altro “con le braccia aperte sulla croce”, come Roncalli confidò al suo segretario Capovilla il 24 gennaio 1959, la sera prima di darne l’annuncio ai cardinali riuniti a San Paolo fuori le mura.
Erano stati Giuseppe Dossetti e il cardinale Lercaro, sostenuti dalla “scuola di Bologna”, ad avere l’idea che il Concilio Vaticano II non potesse concludersi senza un grande gesto riepilogativo del suo significato e della sua visione del futuro, e che questo gesto potesse e dovesse essere la canonizzazione conciliare di papa Giovanni. Ma Paolo VI non aveva voluto, timoroso di rompere le procedure rituali e sapendo che la ricezione nella Chiesa del Vaticano II avrebbe incontrato difficoltà e conflitti di interpretazione che avrebbero potuto ripercuotersi sull’istituzione pontificia sovraesposta da un papa santificato dal Concilio. E così la proposta fu presentata in aula dal vescovo Bettazzi, ausiliare di Bologna, perché restasse agli atti anche se destinata a non essere accolta.
Oggi quella profezia si avvera. Papa Francesco, ricordandosi di San Paolo che lasciava ai Giudei di “chiedere miracoli” per predicare invece “Cristo crocefisso”, non ha chiesto i miracoli di papa Giovanni per farlo santo, perché il suo miracolo è il Concilio. Così, dopo cinquant’anni, il cerchio si chiude; ma come sarebbe stato se fosse stata proclamata dal Concilio, il significato della santità di papa Giovanni è rimasto immutato: è la santità di un modo straordinario di fare il papa, è la santità di “un cristiano sul trono di Pietro”.

Raniero La Valle


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Commenti

Una replica a “Tra papa Giovanni e papa Francesco un forte collegamento ideale per riformare la Chiesa”

  1. Avatar Vittorio da rios
    Vittorio da rios

    Una chiesa dei Poveri, degli ultimi, degli emarginati, cosi la annunciò Papa Giovanni
    ora è da aggiungere dei senza passaporto, dei clandestini, dei miliardi di uomini–randagi–.
    Vi è poco da aggiungere da quanto scritto da Raniero La Valle,che di quel straordinario evento
    rappresentato dal concilio Vaticano II ne è stato testimone diretto. Ritengo però che quanto
    oggi accaduto con la duplice santificazione e con la presenza di un Papa emerito, alla cerimonia,
    aldilà del valore,umano, nell’avere percepito l’evolversi dei tempi, degli atti compiuti che hanno
    determinato in modo imprescindibile la storia recente della Chiesa e di riflesso incidendo sui destini
    di grandi strati della umanità, dei due canonizzati,vada questa giornata per molte ragioni ritenuta
    almeno secondo il mio parere, cosi poco –cristiana–un grande kermesse con sfilate di uscieri,
    maggiordomi,piccoli e medi potenti e qualche grande potente,e i media come sempre a immortalare
    il tutto. Un grande e immenso planetario per presenza mediatica rituale. Mi chiedo: e ora fatti santi,
    quale Chiesa ne uscirà? La lista di santi e beati si allunga, ma qualcuno illuminato dei chierici
    e ce ne sono, si è provato ha porsi una semplice domanda: ma Gesù di Nazareth il figlio del falegname
    ho meglio per non urtare i dogmatici: il figlio di Dio fattosi uomo non si sarebbe oggi trovato in piazza
    San Pietro in forte imbarazzo?
    Archiviato il 27 la Chiesa di Francesco è chiamata a impegni che mai nel corso della sua oramai
    millenaria storia si è trovata inanzi e sono nodi da sciogliere assai impegnativi, con risvolti drammatici
    sia al suo interno che nella società civile rappresentata da miliardi di creature. Grande e irreversibile crisi
    di un sistema produttivo, con ricadute sul piano sociale di cui finora abbiamo intravisto solo l’inizio.
    Sperequazioni sociali sempre più marcate e intollerabili, tra chi possiedi patrimoni in alcuni casi equivalenti al
    PIL di uno stato di medie proporzioni, e chi, e sono immense e sterminate moltitudini di uomini e
    donne ridotte alla fame e miseria. il potere enorme per vastità di denaro gestito e artificialmente
    riprodotto rappresentato dalla grande speculazione finanziaria è proprietà di una banda di pochi
    criminali, privi di scrupoli definiti — i padroni universali– loro decidono con le loro scelte quanti
    milioni di creature far morire di fame e di stenti, sono spietati nel difendere i loro interessi e rafforzare
    sempre più tanto sono avidi il loro potere che è già sterminato, altro piccolo dettaglio si investe risorse
    enormi in armi e sistemi sofisticati di distruzioni di massa. Questo è il quadro,e il contesto sociale
    ed economico.Non c’è di che rallegrarsi; in aggiunta –questione centrale tra l’altro–
    l’urgenza i tempi sono assai stretti di un radicale cambio di paradigma produttivo, passare dalla
    civiltà dell’automobile e del petrolio a quella più compatibile delle energie rinnovabili.Lascio
    immaginare l’enorme lavoro e la vastità delle risorse necessarie.Bene come si vede Francesco
    non ha di che annoiarsi ha un compito arduo e difficile davanti, e deve fare delle scelte coraggiose
    ma il coraggio pare non gli sia di difetto e questo lo ha già dimostrato con la quotidiana pratica
    di essere al servizio del popolo di Gesù, e di servirlo per rendere accettabile l’esistenza ai più
    del resto come da lui insegnato.
    Un caro saluto a tutti e buon lavoro ce ne davvero tanto bisogno.

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