Il movimento NOI SIAMO CHIESA , ed il problema del dogma nella chiesa cattolica 1. Il movimento "Noi siamo chiesa" si ritiene geneticamente segnato come movimento proveniente dal basso di una chiesa, suscitato dal diritto del "populus Dei" ad autoconvocarsi e ad esprimere in termini storicamente aggiornati il proprio "sensus fidei". D’altro lato una porzione non indifferente del movimento ritiene, o dà per scontato che, trattandosi di chiesa cattolica, l’identità fondante della medesima debba essere sostanzialmente conservata e rispettata, almeno per quanto concerne il dogma, la morale e le strutture più importanti che la caratterizzano. Riformiamo la chiesa, ma non tocchiamo il dogma. Questa prospettiva, che sembra oggi carattere preminente di "Noi siamo chiesa", è stata già vissuta in termini e per impulsi diversi, con risultati differenti da quasi tutte le più significative esperienze riformistiche del post-concilio. (......) Col tempo, e attraverso il duro confronto con la sfuggente realtà dell'istituzione, la prospettiva si è trasformata in perplessità, per poi divenire un tormento critico, e suscitare infine la necessità del suo superamento. Non sto qui a delineare come, agli svincoli più importanti della teoria e della prassi, lo stesso fenomeno e le conseguenti contraddizioni siansi verificate nella "Nouvelle théologie", nel movimento modernistico, nel cattolicesimo liberale e nel1a teologia romantica. Aggiungo il fatto che lo stesso movimento ecumenico oggi incappa nel medesimo scoglio, quando privilegia eccessivamente il dialogo fra i vertici delle istituzioni, con l'illusorio proposito di salvaguardare l'identità delle chiese. La recente "Risposta della chiesa cattolica alla dichiarazione congiunta tra la chiesa cattolica e la federazione luterana mondiale circa la dottrina della giustificazione" (Città del Vaticano, 25 giugno 1998), è l'ennesimo monumento eretto all’insegna di questa illusione, e delle conseguenti amare delusioni. 2. L'essenza del cattolicesimo autoritario scaturisce dalla rigidità dogmatica consegnata a11’insindacabile potere magisteriale del supremo sacerdozio. La chiesa ne esce verticalmente spaccata in docente e discente. Mediare sul pulviscolo in questa fenditura lasciando intatto il solco che separa le due realtà, generatore di sudditanza, dipendenza e sostanziale irreformabilità, è un battersi contro i mulini a vento. In questo millennio i movimenti riformatori hanno preso una progressiva coscienza del fenomeno. Nel basso medioevo si è pervenuti alla questione "conciliarista". Si voleva smuovere l'ostacolo della suprema potestà papale, le cui chiavi totalizzanti non lasciavano scampo al pluralismo espresso dall'assemblea conciliare, a sua volta più significativamente rappresentativo della "congregatio fidelium" rispetto al monocratico potere del papa. Dopo Costanza, Basilea e Firenze, Roma ha catturato con Trento lo strumento conciliare, e 1'ha posto alla base della restaurazione moderna. La Riforma protestante ha segnato decisamente 1'itinerario del riformismo nel cristianesimo occidentale, perché ha trasferito il nucleo dell'esperienza di fede dal privilegio del1' istituzione alla libertà responsabile della coscienza. In seguito Giansenismo e Giurisdizionalismo ribadiranno in chiave moderna la contraddizione che segna la dialettica fra la riforma e il dogma. Ma sarà l'evento dei lumi, della cultura romantica e della stagione liberale a scaricare sul cristianesimo in genere, e sul cattolicesimo in particolare, tutta la critica della religione, in specie della religione rivelata. Mi domando se sia auspicabile, o non risulti radicalmente infecondo, per il movimento "Noi siamo chiesa", avventurarsi in un dialogo coi vescovi, con il potere curiale e con lo stesso pontefice romano, trascurando la sapienza che proviene dalla storia del trascorso millennio. (.....) 3. Fra i cattolici, oggi dopo trentacinque anni di esperienza postconciliare, un progetto serio di riforma che pretenda lasciare un segno nella storia, non può rimuovere, nemmeno sottovalutare questo problema. Anzi, dovrebbe assumerlo come identità specifica dei propri propositi e dei propri comportamenti. Ciò non significa che ogni aderente al movimento debba necessariamente abbattere qualche dogma per acquistare cittadinanza. Significa invece che il movimento garantisca rigorosamente a tutti la libertà di esprimersi e di confrontarsi, sia a coloro che sono più dogmatici della curia di Roma, sia a quelli che il dogma intendono criticamente vagliare e storicamente valutare. E' questo il senso più profondo di una "alternativa nella chiesa". Ciò va ben al di là dello stesso cattolicesimo, ed investe la dinamica riformistica di tutte le chiese cristiane, più in generale di tutte le strutture religiose a regime sacerdotale. (...).Al nostro movimento occorre dunque (.......) l’impegno diuturno - e certo di non breve periodo - per darsi una struttura mentale a prova millenaria, capace quindi di confrontarsi con le degenerazioni ecclesiali di lungo e profondo radicamento storico. La fecondità di una simi1e iniziativa sarà strettamente vincolata alla determinazione di aprire il confronto interno al movimento, senza preconcetti e senza preclusioni, ivi compresa la prospettiva di coloro che intendono discutere a fondo la storicità dei dogmi. 4. "Aprire il confronto interno" è un proposito facile a dirsi, non certo facile da realizzare. (......). Nella chiesa cattolica c’è, poi, un macigno da smuovere: il potere inte1lettuale, che, come potere reale, è "magico", è monopolio autoritario, è privilegio sacerdotale, è "magisteriale". Il fatto è quotidiano: nonostante un vescovo sia sprovveduto, egli è intelletto per il gregge. Pur essendo chiaro che si tratti di un meccanismo sociologico di potere è sotto garanzia divina. Anzi, il soggetto a propensione acritica risulta più garante per la catena verticale autoritaria. Questo scoglio dev'essere ben presente non solo quando si prende l'iniziativa di un confronto con le gerarchie, ma anche quando si intende giocare seriamente la carta della libertà critica entro il movimento. Da secoli il cattolico è stato educato ad un intelletto che piove dal cielo, carisma esclusivo dell'autorità nel sistema chiesa. Questa atavica mentalità, o per lo meno il suo inconscio residuo, trasferita nelle esperienze riformistiche, ha spesso generato difficoltà nel coagulare il lavoro intellettuale con la solidarietà del movimento, nel produrre una sapienza profonda e di lunga durata rispetto alle improvvisazioni come scorciatoie per una visibilità più immediatamente percepibile. Solo i frutti di una ricerca organica e collettiva hanno lasciato il segno nei movimenti storici che sono riusciti a cambiare le cose. 5. "Noi siamo chiesa", in questa fase genetica della sua formazione, è già di fronte ad una sce1ta , abbastanza chiara ed emergente : sollevare problemi attualmente importanti, col proposito di non mettere in questione i cardini che nel sistema producono tali storture; oppure, con pazienza storica, darsi mentalità e strutture per diventare soggetto capace di proposte alternative, di riforme profonde, di rifondazione ecclesiale. (......). Ed è qui che l’analisi del dogma, della sua funzione ideologica indirizzata a rendere irreformabile la struttura del potere nella chiesa, non può essere preventivamente sottratta all'anima del movimento. L'aver dogmatizzato le forme di potere è il marchio della chiesa cattolica nei processi strutturali del secondo millennio. Così si è pervenuti a1l'infa1libilità del pontefice romano, vertice personalizzato cui s'aggancia in dipendenza totalizzante tutta la piramide del corpo ecclesiale. I dogmi hanno la loro storia. Ma oggi il "dogma" è l'assoluto del magistero papale. La storia dei dogmi si vanifica in quest’evento. Non possiamo mettere all'ordine del giorno il confronto con le gerarchie ecclesiastiche, fingendoci estranei alla centralità di questo ostacolo. 6. Il dibattito svoltosi nei due concili ecumenici del Vaticano è emblematico sotto questo profilo. Già nel Vaticano I la corrente teologica più culturalmente preparata, si batté contro la definizione dell'infallibilità, facendo perno sull'evoluzione del dogma, e sul mutare delle stesse forme di magistero nella storia della chiesa. Ma risultò minoranza. E fu battuta. Il Vaticano Il può ben definirsi il concilio dei teologi, tanto si era riusciti sotto l'ispirazione del chiaroveggente papa Giovanni a coagulare lo spirito della ricerca con 1'apertura disponibile della maggioranza conciliare. In quest’ultimo ventennio il Wojtylismo ha sradicato dalla chiesa cattolica ogni coerente attitudine a mettersi in questione di fronte al criterio scientifico ed alla ricerca storica. Ed è riuscito in quest'intento prima separando le intelligenze dal contesto ordinario della comunità ecclesiale; in seguito istituendo il più rigoroso controllo sui luoghi interni di produzione della cultura: seminari e scolasticati, facoltà teologiche ed università cattoliche, accademie, riviste, giornali, ecc. Con l'episcopato silente (o ridotto al silenzio) e con l'alleanza dei media, Giovanni Paolo II è riuscito a far dimenticare la dinamica de1 concilio, e ad indurre nella chiesa un regime che fa impallidire gli interventi di Pio XII e la restaurazione anti-modernistica di Pio X. Davvero il fiore a11'occhiello per i cattolici conservatori degli ultimi due secoli. 7. Sintesi necessariamente brevissima, dalla quale pur emerge l'occhio vigile della Riforma nell'osservare i processi interni di trasformazione della chiesa cattolica. Cinquecento anni di contrasti sulla sostanza delle cose, cioè sulla libertà della coscienza e sul fondamento della Scrittura, non possono oggi essere mimetizzati da qualche occasionale encomio a Martin Lutero o da una enfatizzata assoluzione a Galileo. Un giubileo nutrito di queste finzioni risulterebbe suprema ipocrisia. "Noi siamo chiesa" può diventare soggetto ecumenico d'importanza rinnovatrice, se davvero sarà coerente con l’appellativo che si è dato: trasferire le responsabilità dell'avventura cristiana dal monopolio del sacerdozio alla compartecipazione ed alla condivisione del popolo. In tal senso sarà opportuno seguire con attenzione il progetto di "Concilio Universale", ma sarà essenziale darsi un'anima profondamente radicata nel proposito già sottoscritto: la libertà di parola nella chiesa. Il movimento diverrà testimone e assertore della fecondità di questo principio anzitutto realizzando in se stesso le dinamiche ch'esso comporta ed indirizzandovi tutte le fibre del proprio inverarsi. Proporsi come interlocutori efficaci per il futuro dell'ecumenismo, comporta una metamorfosi cosciente, attraverso cui lasciare sul campo tutti i residui del cattolicesimo autoritario. 8. E qui mi permetto esprimere una mia sensibilità. Nessuno deve sentirsene vincolato ma ad essa rivendico quel diritto alla parola che è di tutti. Il tragitto della mia formazione mentale mi ha portato più che ad interpretare la storia del dogma, a 1eggere il dogma come storia: come storia di una cultura e come storia di un’istituzione. Sono così uscito dagli schemi che, pur essendo storiografici, erano tuttavia ancora troppo marcatamente intra-ecclesiastici. Questa sortita ha segnato un po' tutto il mio modo d'intendere la storia della chiesa, ed in generale la storia delle religioni. Il cristianesimo è la storia di una cultura; ed il cattolicesimo è la storia di un modo di aggregarsi entro tale cultura. L'attenzione critica è rivolta non alle "definizioni" ed alle "professioni", esse pure relative al tempo ed al luogo, ma all'evolversi delle mentalità e delle strutture. Il cristianesimo ed il cattolicesimo non sfuggono alla realtà del fenomeno storico. Mi rendo conto che questo punto di vista radicalmente secolarizzato e sostanzialmente laico crea problemi al movimento, tuttavia esso (.....) non dovrebbe subire censura o persino scomunica entro il movimento. Mi auguro che 1e sia concessa comune cittadinanza, cioè il diritto ad essere proposta socializzata, discussa e criticata. Se "Noi siamo chiesa" si riducesse ad un confronto fra i cattolici "puri nel dogma", tagliando in radice la sostanza dell’ecumenismo ed il nucleo della laicità, esso cadrebbe ben presto nel comune percorso dei movimenti integralisti. Già per tutte le chiese, gelose della tradizione, è difficile cogliere il senso della propria storicità. Ma per la chiesa cattolica, così come è ora concepita e strutturata, è impossibi1e riconoscere la propria relatività. Senza mettere in discussione questo dogma, che è il fondamento dei dogmi, si discute sul nulla. 9. Coltivare il progetto di riproporre al mondo secolarizzato una realtà chiamata "chiesa", seppure rovesciando il soggetto responsabile del suo inverarsi, è impresa ad alto rischio storico. Perché la secolarizzazione ha preso sempre più responsabilmente nelle proprie mani le sorti della storia, battendosi caparbiamente nell'età moderna contro il "clericus", mettendo in discussione l'indiscutibile sua visione del mondo, sottraendosi all'imposizione della sua cultura, reagendo ai suoi ricatti sulla città secolare, denunciando le imprese mercenarie del tempio e dei suoi alleati organici. Si direbbe che in questi secoli l'uomo é diventato più "uomo", diventando meno "chiesa". (....) 10. Chissà che in questi ultimi tempi della mia esistenza mi sia dato di incontrare cattolici meno sicuri di sé, meno facili a sentenziare l’altrui minorità, più disponibili a riconoscere la propria. Uomini senza certezze assolute, coscienti della propria finitezza e della propria relatività. Per questo capaci di coagularsi con quella diffusa buona volontà che nel mondo cerca di produrre qualche sorriso di gioia in più, qualche lamento di dolore in meno. Mi auguro che in "Noi siamo chiesa" si depongano germi fecondi perché anche fra i cattolici 1a realtà della chiesa sia sempre meno scandalo e contraddizione per l'uomo di buona volontà. |