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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Martini è morto quattro anni fa . Leggi un ricordo e una descrizione della sua personalità

Ernesto Borghi ricorda il Card. Martini

Oggi ricordiamo il quarto anniversario della morte del Cardinale Martini. Avevo quasi 16 anni, quando egli arrivò a Milano e qualche interesse specifico per la lettura della Bibbia avevo sin dalla IV ginnasio. Ovviamente anche grazie al grandissimo biblista Martini tale passione si è molto sviluppata, diventando una delle mie ragioni essenziali di vita.
E’ banalissimo dire che quest’uomo, da Milano al mondo, ha fatto molto crescere interiormente e socialmente tante persone vicine a lui e lontanissime da lui tanto geograficamente quanto culturalmente. La libertà di coscienza, il rifiuto di qualsiasi massiificazione religiosa o culturale, l’allergia al movimentismo fatto di ordini di scuderia applicati autoritariamente e ad ogni compromesso tra religione e politica sono stati alcuni dei punti di riferimento fondamentali della sua opera, il tutto immerso in un amore profondo ed appassionato per le Scritture ebraiche e cristiane, per il dialogo interculturale ed interreligioso, per l’essere parte della Chiesa di Gesù Cristo facendo ecumenismo a trecentosessanta gradi…Insomma tutte qualità che l’attuale vescovo di Roma in buona parte condivide.
A Milano, come arcivescovo per 22 anni, Martini avrebbe potuto fare di più? E’ difficile rispondere, considerando che la nomina gli giunse, secondo le sue stesse parole, senza che egli avesse alcuna idea su che cosa volesse dire essere vescovo…Tuttavia, pensando alla sua statura culturale ed accademica, forse avrebbe potuto fare di più, soprattutto
– se si fosse realmente preoccupato di nominare collaboratori in grado di agire seriamente sia in merito alla diffusione della conoscenza biblica diretta in Diocesi sia circa l’iinsegnamento di cultura religiosa nelle scuole sia in ordine alla diffusione di una cultura storico-religiosa più rilevante e moderna attraverso i centri culturali cattolici e l’interazione con le sedi accademiche (a partire, lo ripeto, dalla sua elevatissima autorevolezza universitaria);
– se avesse spinto efficacemente la Facoltà Teologica di Milano ad evitare autoreferenzialità culturali e scientifiche e ad essere assai più attenta alle esigenze formative del territorio;
– se avesse fatto visite pastorali più incisive e meno “a volo d’uccello”…
Dico questo perché ebbi modo di parlare di questi argomenti con Martini durante i due incontri che avemmo a tu per tu (una quarantina di minuti per volta) in arcivescovado, all’inizio degli anni Novanta, incontri durante i quali egli stesso, tra l’altro, si rammaricava di non essere stato in grado di mettere effettivamente in mano ai giovani la Bibbia…
Comunque, lasciato il ministero episcopale milanese, egli disse cose fondamentali che spesso aveva proposto da arcivescovo in carica (anzitutto sulla riforma della Chiesa cattolica, per es., nel memorabile discorso a Sant’Ambrogio “Lasciamoci sognare” o nell’intervento al Sinodo sull’Europa). Se quello che Silvano Fausti disse prima di morire – cioè che nell’ultimo incontro tra Martini e Ratzinger egli invitò il suo coetaneo tedesco a lasciare il ministero di vescovo di Roma – fosse vero (non abbiamo motivo di dubitarne) e se queste parole martiniane hanno contribuito alla scelta ratzingeriana comunicata l’11 febbraio 2013, esse potrebbero essere state l’ultimo contributo positivo di Martini vivente alla vita della Chiesa.
Tra i tantissimi scritti importanti della sua vita, l’intervista “Conversazioni notturne a Gerusalemme” e il volume “Siamo tutti nella stessa barca”, pubblicato nel 2009 con quello spregiudicato figuro senza pregiudizi che fu don Luigi Verzé, a distanza di anni, appaiono perlomeno fondamentali, se non profetici.
Riporto ancora una volta un brano del libro scritto con Verzé, che delinea una prospettiva che, oggi, dopo aver ascoltato ripetutamente papa Bergoglio, appare quasi normale, ma che, durante il periodo “polacco-tedesco” non lo era assolutamente:
«Credo si possa e si debba dare più libero campo all’opinione pubblica, anche nella Chiesa. È necessaria una maggiore, libera discussione senza pensare che tale discussione sia una critica o una contestazione… Non possiamo trasformare i testi della fede cristiana in qualcosa che assomiglia agli oggetti dei musei. Vivere la fede significa anche essere partecipi di una tradizione e rinnovarla senza sosta… La libertà di scelta, priva di costrizioni che non siano semplicemente comandate dalla natura della cosa, come pure la necessità di non imporre dall’alto una verità, un’azione, una fede credo debba sempre essere tenuta presente. Altrimenti si limita l’identità dell’uomo e non si riconosce in lui la creatura speciale di Dio» (pp. 24-25).
Carlo Maria Martini è stato un grandissimo dono per cristiani e non cristiani. Difficile resta interpretare nel nostro tempo quanto di bello e di buono egli ci ha lasciato…Ma proviamo tutti a raccogliere questa sfida, magari tenendo dinanzi agli occhi il sorriso martiniano, che si trova nella pagina Facebook dell’Associazione Biblica della Svizzera Italiana…


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