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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Quindici teologi, già inquisiti dall’ex-S.Ufficio, denunciano i metodi antievangelici dei processi nei confronti della loro ricerca. Leggi le considerazioni di Noi Siamo Chiesa

Sulla denuncia dei quindici teologi . La Congregazione per la difesa della fede deve radicalmente cambiare

La denuncia dei 15 teologi mette a nudo i sistemi di inquisizione che usa la Congregazione per la difesa della fede. Nessun cristiano può accettare questi metodi. Ogni più elementare diritto al rispetto della propria dignità e della propria posizione teologica viene ignorato . I maggiori teologi che hanno ispirato il Concilio , oltre ai quindici firmatari della lettera, hanno sopportato queste violenze. L’esame delle norme che regolano il funzionamento della Congregazione non prevedono le procedure normali degli ordinamenti civili. Il Motu Proprio “Integrae Servendae” di Paolo VI del 1965, che cambia il nome dell’allora S.Ufficio in quello attuale, dice solo che si deciderà “dopo aver sentito l’autore al quale si darà la facoltà di difendersi anche per iscritto” (art.5) Nulla di più. La Costituzione Apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II del 1988 dice solo che “è data all’ autore la possibilità di spiegare compiutamente il suo pensiero” (art.52 n.2). Nulla di più. E un “Regolamento per l’esame delle dottrine” sul funzionamento delle procedure nella Congregazione, firmato dall’allora Prefetto Card. Ratzinger nel ’97, prevede addirittura (art.10) che sia la stessa Congregazione a nominare una specie di avvocato difensore (“relator pro auctore”) del teologo sospettato di eresia o di altro. Sono norme del tutto generiche che non prevedono la nullità del procedimento in loro assenza o in caso di evidenti scorrettezze, come sarebbe logico (e come è previsto in ogni altro ordinamento) e che, secondo la denuncia dei quindici neppure sono minimamente rispettate. Questa situazione crea scandalo tra i credenti che ne sono a conoscenza. Chiediamo che gli otto Cardinali che affiancano papa Francesco, prima di tante e troppo lente discussioni finora senza costrutto per la riforma della Curia, cambino radicalmente il modo di funzionamento della Congregazione per la dottrina della fede, adottando sistemi collaudati nella generalità dei procedimenti giurisdizionali di ogni paese fondato sullo Stato di diritto.
Roma 28 aprile 2016 NOI SIAMO CHIESA

“Abbiamo subìto un processo ingiusto”. La clamorosa protesta di 15 teologi condannati dall’ex Sant’Uffizio

Ludovica Eugenio 22/04/2016

Tratto da: Adista Notizie n° 16 del 30/04/2016

38522 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Basta con i processi iniqui, che non rispettano i diritti umani né rispecchiano i valori evangelici, contro teologi e scrittori cattolici le cui posizioni, non gradite ad alcuni, vengono segnalate al Vaticano e che si ritrovano giudicati da un organismo, la Congregazione per la Dottrina della Fede (Cdf), che funge allo stesso tempo da organo inquirente, pubblico ministero e giudice. 15 tra i più noti ed eminenti teologi, scrittori e attivisti cattolici internazionali che negli ultimi decenni hanno subito un’inchiesta da parte dell’ex Sant’Uffizio (ivi compresi due vescovi) hanno unito le forze in nome di una giustizia “giusta” scrivendo al dicastero vaticano una lettera atterrata sulla scrivania di papa Francesco e del prefetto della Cdf, card. Gerhard Ludwig Müller, alla fine di febbraio ma diffusa solo ora, prima grazie al settimanale National Catholic Reporter (19/4) e poi ai promotori stessi che l’hanno pubblicata online.

Tutti notissimi i 15 firmatari, convocati da p. Tony Flannery, prete irlandese egli stesso vittima della Cdf per le sue posizioni in materia di morale sessuale (v. Adista Notizie nn. 4, 6/13; 2/15): dallo storico australiano Paul Collins (v. Adista Notizie n. 22/2001) al teologo Charles Curran, da suor Jeannine Gramick, già sotto inchiesta per il suo ministero alle persone omosessuali (v. Adista n. 43/2000) alla teologa Elizabeth A. Johnson (v. Adista n. 82/2011), dalla benedettina spagnola suor Teresa Forcades al vescovo australiano mons. Bill Morris, colpevole di aver ipotizzato il sacerdozio femminile (v. Adista Notizie n. 39/2011), all’attivista p. Roy Bourgeois, scomunicato per aver partecipato a un’ordinazione femminile (v. Adista Notizie n. 35/2013).

Sotto accusa segretezza, mancanza di trasparenza, scorrettezza delle procedure, conflitti di ruoli, violenza psicologica che si riscontrano nei processi: «Si può ottenere giustizia – ha affermato Paul Collins sul sito tonyflannery.com che il 20 aprile ha pubblicato il documento – da un organismo che svolge il ruolo di investigatore, pubblico ministero, giudice, giuria, e che poi impone la pena? E se poi si va in appello, si è riascoltati dalle stesse persone». Nessuna informazione sull’identità degli accusatori, nessuna presunzione di innocenza, spesso nessuna possibilità di difendersi di persona.

Di qui è nata la lettera, di denuncia e di proposta, che chiede rispetto dei diritti umani e della libertà di parola, del pluralismo e della trasparenza. E un coinvolgimento della comunità cristiana: «Sotto gli ultimi due papi, mentre la Chiesa diveniva sempre più centralizzata – spiega Flannery – il magistero è stato inteso come il Vaticano o, più specificamente, la Curia, e in particolare l’organismo più importante della Curia, la Congregazione per la Dottrina della Fede». Ma un concetto più antico, centrale nel Concilio Vaticano II, ha una posizione più complessa, più ampia, su ciò che costituisce il magistero: «Esso consiste nel Vaticano, nei vescovi della Chiesa universale, nell’insieme dei teologi e, cosa più importante di tutte, nel sensus fidelium, il buon senso dei fedeli cattolici. Il Concilio arriva a dire che una dottrina non può essere considerata definitiva se non è accettata dal consenso dei fedeli. Questo è il tipo di teologia che cerchiamo di trasmettere alla Cdf».

L’unica risposta per ora pervenuta a Flannery è la copia di una pubblicazione del 2015 della Cdf intitolata «Promuovere e salvaguardare la fede», inviata dal segretario del dicastero vaticano mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer al suo superiore, con preghiera di passarla a Tony. «Se le procedure illustrate nella pubblicazione non sono all’altezza dei requisiti di un equo e giusto trattamento della persona accusata – si legge sul sito di Tony Flannery – è chiaro che l’esperienza dei 15 firmatari indica che in questi casi la Cdf non le ha nemmeno seguite adeguatamente». Papa Francesco, continua Flannery, «ha detto che “la dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa” (ai vescovi e ai laici italiani, 9 novembre 2015). Nella sua recente esortazione apostolica Amoris Laetitia ha anche detto: “Non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa”. La nostra esperienza dice che la Congregazione ha parecchia strada da fare per essere all’altezza delle aspettative del papa e del suo appello ad un migliore approccio nelle decisioni riguardanti questioni dottrinali».

Di seguito riportiamo, in una nostra traduzione dall’inglese, il testo integrale della lettera.

La lettera dei 15 teologi: “Nuove procedure per la Chiesa e per la Congregazione per la Dottrina della Fede”
«Deve essere presente colui contro il quale si fa l’inchiesta, a meno che non sia in contumacia; gli si espongano i capi di accusa sui quali verte l’inchiesta, perché possa difendersi; gli si devono far conoscere le accuse portate contro di lui, e anche i nomi dei testimoni, perché sappia di che cosa è accusato e da chi» (Concilio Lateranense IV, 1215).

Introduzione

Oggi vi è ampio consenso nella Chiesa riguardo al fatto che i processi e le procedure della Congregazione per la Dottrina della Fede (Cdf) sono contrari alla giustizia naturale e necessitano di una riforma. Essi rappresentano i principi legali, i processi e la mentalità dell’assolutismo europeo del XVI e del XVII secolo. Non riflettono i valori evangelici di giustizia, verità, integrità e misericordia in cui la Chiesa professa di credere. Non sono adeguati ai concetti contemporanei di diritti umani, responsabilità e trasparenza che il mondo si aspetta dalla comunità cristiana e che la Chiesa cattolica richiede alle organizzazioni secolari. Lo scopo del nuovo approccio che proponiamo è quello di rispecchiare l’atteggiamento di Gesù (Mt 18, 15-17) e di integrare i valori che il mondo considera basilari in una società che funzioni e che sia civile.

Principi base di ogni nuovo processo della CDF

Alla base di qualsiasi procedura della Chiesa vi deve essere una serie di principi che comportino un processo giusto ed equo, credibilità da parte della Cdf e delle Conferenze episcopali, presunzione di sincerità, di innocenza, e fedeltà alla Chiesa da parte della persona investigata, così come trasparenza e coinvolgimento più ampio della comunità cattolica locale e del Sinodo dei vescovi che rappresenta la Chiesa universale. Un processo che discenda da questi principi potrebbe evitare alcuni degli aspetti più negativi delle attuali investigazioni della Cdf, così come sono stati vissuti dai firmatari e da altri che hanno avuto a che fare con la Cdf negli ultimi decenni.

1) Il principio fondamentale deve essere quello di evitare la denuncia anonima di persone sconosciute a coloro che vengono investigati. Nominandoli pubblicamente si bloccano denunce inconsistenti lanciate da individui o organizzazioni spesso del tutto incompetenti.

2) Lo stesso si applica ai consultori della Cdf nominati in segreto. I consultori devono essere noti e le loro qualifiche o competenze negli ambiti in esame devono essere vagliate. Ciò dà la possibilità a chi è oggetto di investigazione di conoscere i pregiudizi e l’esperienza/formazione o altro di ognuno dei consultori nominati dalla Cdf.

3) Tutta la questione dell’obbligo al segreto e dell’isolamento spesso insostenibile delle persone sotto inchiesta deve essere superata obbligando la Cdf a confrontarsi direttamente e di persona con esse. Non devono più essere trattate per interposta persona, terza o quarta, attraverso una rete di vescovi o superiori, i quali potrebbero persino essere stati gli accusatori principali della persona sotto inchies

4) Le persone sotto inchiesta hanno spesso rilevato come la loro opera sia stata interpretata dai consultori della Cdf in modo erroneo o ingiusto, o come frasi od opinioni siano state totalmente estrapolate dal contesto, e come i chiarimenti che esse hanno addotto siano stati del tutto ignorati. Consultori di cui non hanno mai sentito parlare o del tutto sconosciuti diventano i soli arbitri della corretta interpretazione della loro opera. Vengono attribuite loro persino opinioni che non hanno. Il coinvolgimento delle persone sotto inchiesta e la loro difesa in qualche misura evita tutto questo. E garantisce che i consultori, la cui unica esperienza è quella delle scuole romane di teologia con la loro enfasi sugli approcci proposizionali alle posizioni dottrinali, vengano messi in discussione e non siano accettati come normativi per coloro che lavorano sul crinale profetico delle frontiere teologiche e ministeriali.

5) Le persone sotto inchiesta spesso si sono lamentate della totale rozzezza e della mancanza della più elementare buona educazione (per non parlare della carità cristiana) del personale della Cdf. Le lettere vengono ignorate o perse. I processi vengono tirati per le lunghe nel tentativo di logorare la resistenza di chi è investigato. Sono state poste sotto inchiesta e obbligate a rispondere ad accuse spesso stupide anche persone molto malate o vicine alla morte. Limiti temporali più rigidi e una comunicazione personale e diretta de visu eviterebbe tutto questo. Il supporto della difesa de visu e la consapevolezza che tutta la documentazione e i nomi degli accusatori e di tutto il personale implicato sarà rivelato alla più ampia comunità cattolica e ai media apporteranno in qualche misura una credibilità che al momento è totalmente assente nei processi della Cdf.

6) Si deve evitare che nei processi le stesse persone svolgano il ruolo di investigatori, pubblico ministero e giudici. Riportare i casi in corso al Sinodo dei vescovi fa sì che il processo decisionale venga sottratto alla Cdf e ricolloca le posizioni in esame all’interno del più ampio contesto culturale nel quale erano state originariamente elaborate.

7) La più ampia comunità dei teologi, del popolo di Dio e il sensum fidelium sono coinvolti nel discernimento della fede e del credere della Chiesa. La Cdf e i suoi consiglieri di stanza a Roma non devono più essere i soli arbitri della corretta dottrina e della fede

8) Il processo non deve essere più caratterizzato dalle presunzioni assolutiste di un sistema giuridico antiquato che non ha nulla a che fare con il Vangelo. Il processo sarà mitigato dalla misericordia e dal perdono di Dio, e dal dialogo aperto che deve caratterizzare la comunità di Gesù. Esso integra in parte l’enfasi contemporanea sui diritti umani e la necessità della libertà di parola, del pluralismo, della trasparenza e della credibilità all’interno della comunità ecclesiale.

Le firme

Paul Collins (scrittore e opinionista, Australia);
Charles Curran (docente, Southern Methodist University, Dallas, Usa);
Roy Bourgeois (prete e attivista, Usa);
p. Brian D’Arcy (scrittore e opinionista, Irlanda);
p. Tony Flannery (scrittore e opinionista, Irlanda);
suor Teresa Forcades (suora benedettina e medico, Spagna);
suor Jeannine Gramick (suora di Loreto, cofondatrice di New Ways Ministry, Usa);
suor Elizabeth A. Johnson (docente di Teologia, Fordham University, New York, Usa);
Paul Knitter (docente emerito di teologia, religioni e culture del mondo, Union Theological Seminary, New York, Usa);
p. Gerard Moloney (direttore di giornale, Irlanda);
mons. William Morris (vescovo emerito di Toowoomba, Australia);
p. Ignatius O’Donovan (storico della Chiesa, Irlanda);
p. Owen O’Sullivan (cappellano e scrittore, Irlanda);
mons. Patrick Power (vescovo ausiliare emerito di Canberra-Goulburn, Australia);
p. Marciano Vidal (già docente ordinario, Pontificia Università Comillas, Madrid, Spagna; docente Accademia Alfonsiana, Roma).

Fr. Iggy O’Donovan.tel. 00353877989731


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