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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

4 novembre: il rifiuto della retorica patriottarda è un dovere evangelico

Caro Peppe,

il 4 novembre, per quelli della mia generazione, ha significato, per l’educazione che abbiamo ricevuto, l’orgoglio nazionale, il patriottismo, la conclusione del Risorgimento, i “medaglioni” (biografie degli “eroi” imparate a memoria a scuola). Ora la storiografia ha ribaltato questa immagine oleografica e patriottarda. La verità è venuta a galla, per chi la vuole conoscere. Ma tutti hanno il diritto di sapere, i nostri figli, i nostri nipoti. Come viene insegnata la Grande Guerra nelle nostre scuole ? Per moltissimi di noi la presa di coscienza sulla guerra parte proprio dall’informazione sul ’15-’18.

Questi i nostri punti fermi:

–nel giudizio sui 150 anni dell’Unità d’Italia non si può fare un trionfalismo comodo che si ferma al 1870. Di tutto bisogna parlare, anche dei settantacinque anni successivi. Essere leali alla nostra Repubblica esige verità sul passato.

–Il giudizio sul quattro novembre non può fermarsi asetticamente a quella vicenda drammatica e a quella vittoria disastrosa. Esso, connesso con i successivi ventisette anni, deve fondare una teoria e una pratica della nonviolenza attiva, che è ora purtroppo di ristrette minoranze.

–il pacifismo generoso, che pure esiste nel nostro paese, si scontra contro una logica bipartisan che, nel nostro paese, alimenta come cosa normale, la permanenza e il rafforzamento di tutte le strutture militari (che sono esentate in questo periodo di grave crisi, da qualsiasi taglio di risorse) e tanti interventi diretti (Kossovo, Iraq, Afghanistan, Libia) che non sono stati di pace, nonostante tutta la propaganda che li ha supportati.

–anche la Chiesa cattolica, nelle sue espressioni istituzionali, non sfugge, in questi anni, a silenzi o a espressioni di comodo sulle questioni della pace e della guerra. Mi riferisco all’enciclica Caritas in Veritate e al recente discorso di Benedetto XVI nell’incontro del 27 ottobre ad Assisi con tutte le religioni. Siamo ben lontani dalla Pacem in Terris e dall’intervento di Giovanni Paolo II contro la guerra in Iraq. In Italia poi, il sistema dei cappellani militari è più vivo e vegeto che mai ed ogni militare morto in Afghanistan viene celebrato come un “martire difensore dei diritti umani e della pace”.

–si può fare qualcosa domani quattro novembre (e in seguito) anche di limitato ma che può avere una sua immagine e, forse, una qualche efficacia pedagogica, nella linea di quanto proposto dal Movimento nonviolento. Per esempio, si può contestare, con le parole giuste, la retorica del ricordo, nei luoghi dove esso si celebra davanti agli innumerevoli monumenti ai caduti e durante le messe di suffragio. A Milano, per esempio, si sta proponendo di cambiare il nome di una piazza importante, quella intitolata al generale Cadorna. Sarebbe una proposta che la giunta Pisapia dovrebbe condividere.

Grazie per il vostro lavoro e carissimi saluti

Vittorio Bellavite , coordinatore nazionale di “Noi Siamo Chiesa”

Roma, 3 novembre 2011

Forze Armate: Non c’è nulla da festeggiare!
Domani è la Festa delle Forze Armate, ma coi tempi che corrono, non c’è proprio nulla da festeggiare. Anzi, è arrivato il tempo di ripensare un’istituzione pubblica che ci costa ventisette miliardi di euro all’anno, che spende male e spreca moltissimo. Domandiamoci: A che ci serve mantenere 178.600 militari in servizio quando ne impieghiamo al massimo trentamila? Perché accettiamo che nel frattempo la polizia continui ad essere gravemente sotto organico? A che ci serve avere un generale ogni 356 soldati e un maresciallo ogni tre militari in servizio (in tutto 500 generali e 57.000 marescialli)? A cosa ci servono due portaerei, 131 cacciabombardieri, 400 carri armati e centinaia di altre armi che non potranno e dovranno essere mai utilizzate? Perché vogliamo costringere i giovani a pagare il conto delle armi che stiamo ancora costruendo? Perché continuiamo a mantenere quattromila soldati in Afghanistan quando tutti sanno che dieci anni di guerra non hanno risolto alcun problema? E ancora (sono le domande puntuali del Generale Fabio Mini): Perché illudiamo i giovani sulle prospettive d’impiego e buttiamo i soldi facendoli giocare alla guerra? Perché arruoliamo volontari per un anno quando abbiamo sempre detto che non basta per addestrare, non basta per mandarli all’estero e uno di loro costa complessivamente come uno in servizio permanente? Perché continuiamo a reclutare ufficiali e sottufficiali e li promuoviamo come se in futuro dovessimo avere dieci corpi d’armata? Perché diciamo di avere un esubero di marescialli, che comunque sono già addestrati, e una vita operativa futura di pochi anni e li vogliamo rimpiazzare con un ugual numero di sergenti da formare, addestrare e tenere in esubero per i prossimi 40 anni? Perché avevamo uno “scandalo” di comandi centrali e periferici ridondanti e oggi li abbiamo moltiplicati senza migliorarne l’efficienza? Perché dobbiamo lasciare alla speculazione e all’abusivismo gli immobili militari dai quali sappiamo di non ricavare nulla di significativo? Perché facciamo gravare gli oneri della crisi sul personale e non tocchiamo i contratti esterni, gli appalti, le forniture e gli sprechi?

La risposta a tutte queste (e a molte altre) domande è un atto dovuto a tutti i giovani che non riescono a trovare un lavoro, a chi lo sta perdendo, a chi pur lavorando tantissimo non riesce a vivere dignitosamente, a tutti quelli a cui i tagli del governo stanno rendendo la vita impossibile.

In poche parole: Non possiamo tollerare uno spreco così enorme, non ce lo possiamo più permettere. Dobbiamo programmare un taglio radicale delle spese. Dobbiamo ripensare in che modo e con quali strumenti vogliamo garantire la sicurezza del nostro Paese e dell’Europa. E’ un dovere improrogabile!

PS. Domani, 4 novembre, ricordiamo le vittime innocenti di tutte le guerre e di tutte le nazionalità, dai seicentocinquantamila italiani che sono stati ammazzati “nell’inutile strage” della Prima Guerra Mondiale ai quarantacinque militari italiani che hanno perso la vita in Afghanistan, i feriti, i mutilati, gli invalidi e tutti i loro familiari. Con questo spirito oggi rinnoviamo il triplice appello di Assisi: Mai più guerra! Mai più terrorismo! Mai più violenza!

Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace

Perugia, 3 novembre 2011


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