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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Antonio Rosmini: le riflessioni di “Noi Siamo Chiesa” sui pericoli di una beatificazione solo d’immagine

 

Antonio Rosmini,
precursore del Concilio, profeta della laicità e di una radicale riforma
della Chiesa. Le riflessioni di “Noi Siamo Chiesa” sui pericoli di una  beatificazione solo d’immagine senza alcuna
riflessione autocritica

 

            Domani 18 novembre a Novara ci
sarà la cerimonia di beatificazione di Antonio Rosmini. La sua  straordinaria personalità di pensatore, di
uomo di Chiesa e di riformatore è di tale statura da meritare l’apprezzamento
per questo avvenimento da parte di quei 
cattolici che, richiamandosi con convinzione al Concilio Vaticano II,
esprimono una posizione critica sull’attuale guida della Chiesa cattolica.
Questa attenzione non è incompatibile con una presa di distanza, che è di
lunga data e che confermiamo, nei confronti del vigente sistema delle
canonizzazioni. Esso, estraneo al dettato conciliare, ha dato luogo,
soprattutto nel corso degli ultimi due pontificati, ad evidenti abusi, è
stato causa di perdita di credibilità del messaggio evangelico per una parte
delle donne e degli uomini del nostro tempo ed ha dato respiro ad una
religiosità che rischia di allontanarsi, nella prassi, dall’unica vera fonte
della fede che è la Parola
di Dio.

                              

Queste
sono le nostre riflessioni:

 


Antonio Rosmini rappresentò nel XIX secolo la massima espressione di quei
cattolici che si impegnarono per una soluzione, non traumatica ma positiva
nel reciproco interesse, del rapporto tra il potere temporale della Chiesa e
la nascente nazione italiana. Nei mesi drammatici del 1848 se fosse prevalsa,
presso Pio IX, la posizione del Rosmini invece di quella del Card. Antonelli,
la storia della Chiesa sarebbe stata ben diversa e di conseguenza anche
quella del Risorgimento e del nuovo Stato italiano. Da una parte invece ci fu
l’involuzione che portò all’enciclica Quanta
Cura
con il Sillabo contro la democrazia ed al Concilio Vaticano I (ed indirettamente alla enciclica Pascendi contro il modernismo),
dall’altra ad uno Stato elitario, autoritario e guerrafondaio lontano dal
migliore pensiero democratico e federalista che percorse in quel secolo il
nostro paese. Rimase aperta la “questione romana” che fu risolta solo nel
1929 con i Patti Lateranensi che stabilizzarono e rafforzarono  il fascismo.

 


Antonio Rosmini pensava ad una democrazia intesa come giustizia sociale,
fondata sulla centralità della persona, della sua libertà, dei suoi diritti.
La sua posizione che fu definita “conciliatorista” apriva al confronto tra
fede e ragione, tra fede e scienza ed apriva la Chiesa al confronto con
la modernità. In questo contesto importanza fondamentale aveva il rapporto
tra Stato e Chiesa. Egli auspicava la valorizzazione dei diritti della
religione e della libertà di coscienza ma in un contesto in cui non ci fosse
confusione tra le materie soggette alle due differenti giurisdizioni con la
libertà per ognuna di esse di operare nel proprio ambito. Ciò significava che
“la religione cattolica non ha bisogno di protezioni dinastiche, ma di
libertà. Ha bisogno che sia protetta la sua libertà e non altro”(1). Ciò
comportava, per Rosmini, sia l’esclusione del sistema di ingerenza dello
Stato nelle cose della Chiesa (il vecchio giurisdizionalismo), sia quello dell’alleanza “tra il
trono e l’altare”. In questo genere di riflessioni il Rosmini fu un pensatore
di grande importanza anche per il pensiero e la politica laica, da cui ebbe
anche degli espliciti riconoscimenti (2)

 


Antonio Rosmini ha infine lasciato una ampia 
proposta di riforma della Chiesa, che è contenuta soprattutto nel  “Delle cinque piaghe della Santa Chiesa”.
Essa verrà recepita in buona parte solo al Concilio Vaticano II dopo aver
percorso, in modo più o meno sotterraneo, un secolo della storia del  cattolicesimo italiano ed europeo. Questo
testo “è sostenuto da un grande amore alla Chiesa ed insieme da una grande
audacia e da un forte spirito profetico” dirà il Card. Martini (3). In
esso  Rosmini denuncia i mali della
Chiesa (4) indicando in un ritorno alle fonti (Vangelo, Padri della Chiesa e
prassi dei primi secoli) la possibilità per essa di “risorgere” e di essere
nuovamente testimone credibile del messaggio evangelico. Tutta la storia
della Chiesa viene analiticamente coinvolta nella denuncia, indicando gli
errori via via commessi, da quello della subordinazione al potere civile o
della commistione con esso, allo spirito di guadagno  e di potere fino ad una pratica dei riti
lontana dal popolo e a tanti altri. Vengono anche proposti alti valori
spirituali di comunione e di unità nella Chiesa che sono  esistiti nei primi secoli ed il cui
abbandono ha contribuito alle lacerazioni, in primis quella che ha dato vita alla Riforma protestante. 

 

            Ora Rosmini, ispiratore indiretto
del Concilio Vaticano II, viene beatificato da chi a Roma del Concilio parla
senza crederci veramente  o non
credendoci per niente. Si tratta del recupero di un profeta della Chiesa solo
agli effetti dell’immagine o per accontentare una falsa coscienza? Può essere
anche qualcosa di diverso questa beatificazione ? “Noi Siamo Chiesa” pensa
che onestà di intenti e sensus
Ecclesiae
dovrebbero indurre ad una riflessione autocritica all’interno
della Chiesa almeno su due piaghe, la quarta e la quinta in modo da rendere
in qualche modo più credibile la solenne celebrazione di domani.

 

            La quarta piaga è quella della
nomina dei vescovi. Il Rosmini, preoccupato dell’intervento in esse, allora
frequente, dell’autorità civile, spiega che i Santi Padri dicevano che i
vescovi dovevano essere eletti  “a
clero e popolo secondo l’antica consuetudine” (5) “con diversi procedimenti e
il definire quali siano i più opportuni dipende in gran parte dalle
circostanze differenti in cui si trovano le diverse province”(6). Forse non è
questo un problema anche dell’oggi a causa della  totale assenza della partecipazione del
popolo di Dio alla scelta del vescovo che viene decisa  dal potere burocratico del Vaticano, molto
centralizzato, e del quale non si conoscono mai i criteri (si veda in questi
giorni il caso del trasferimento di Mons. Bregantini)? L’unico criterio che
si intuisce è quello dell’assoluta fedeltà alle direttive gerarchiche e della
disponibilità ad obbedire, anche se abbastanza spesso questa non appare
essere una virtù evangelica ? L’ecclesiologia di Rosmini porta alla
valorizzazione della sinodalità come via ordinaria della prassi decisionale.
Egli sosteneva  “il principio che il
governo della Chiesa quali lo esigono i nostri tempi e le nuove forme
correlative dello Stato, debba essere collegiale piuttosto che individuale”
(7) ed auspicava la valorizzazione degli organi collegiali esistenti e ne
proponeva di nuovi.

 

            La quinta piaga è relativa ai beni
della Chiesa : le offerte siano spontanee, i beni siano gestiti in comune, e
destinati ai poveri ed al clero ma in quanto povero solo per il necessario
(8), la Chiesa
non accumuli i beni ma li distribuisca con criteri ben definiti (9), le
risorse siano amministrate “con ogni vigilanza” e pubblicando “un annuale
rendiconto” “con un’estrema chiarezza sicchè l’opinione dei fedeli di Dio
potesse apporre una sanzione di pubblica stima o di biasimo all’impiego di
tali rendite” (10). L’incontro organizzato nello scorso marzo a Milano da
alcune organizzazioni cattoliche di base (tra cui “Noi Siamo Chiesa”) su
“Povertà della Chiesa e nella Chiesa e gratuità del ministero” ci ha
informati che la piaga relativa alla gestione dei beni nella Chiesa nel
nostro paese è ancora ben aperta sia per quanto riguarda la trasparenza e la
pubblicizzazione che per i criteri di spesa (che dovrebbero essere
orientati  maggiormente verso le fasce
sociali emarginate in Italia e nel sud del mondo) e per la scarsa
consapevolezza del vigente regime di privilegio e delle consistenti risorse
che il sistema attuale fornisce alla Chiesa. Per esempio chi può
ragionevolmente sostenere che la destinazione dell’ottopermille alla Chiesa
cattolica nella dichiarazione dei redditi coincida con  l’”offerta spontanea” di cui parlava il
Rosmini ?

 

Concludendo queste nostre  riflessioni, riprendiamo un brano del
Rosmini a proposito del silenzio troppo prudente di troppi all’interno della
Chiesa sui suoi gravi problemi. E’ un duro monito, quasi  scritto per la Chiesa italiana di oggi
(in cui troppi, a partire dai vescovi, hanno paura di parlare) ma  è anche un incoraggiamento per  quanti, in condizioni di isolamento nella
comunità ecclesiale rompono il silenzio dal basso, facendo circolare punti di
vista che oggi ci piace definire “rosminiani”. Il brano dice : “Tutto va
bene, a giudizio de’ prudenti di questo secolo. A giudizio d’altri ancor più
prudenti, è necessario che i cattolici non abbiano la temerità di parlare:
conviene osservare perfetto silenzio per non eccitare inquietudini e rumori
disgustosi: e tutto quello che può recar turbazione, non è che imprudenza e
temerità. Tale specie di prudenza è l’arma più terribile di que’ che minano la Chiesa; essi la minano
sordamente: e chi denunzia la loro mina, chi rivela il tradimento, sono i
turbolenti, sono i perturbatori della società. Intanto la Chiesa geme, e con troppa
ragione può dire le parole del Profeta «che nella sua pace la sua amarezza
s’è fatta amarissima». Indi è, che se qualche voce, interrompendo il silenzio
di morte, s’innalza a parlare de’ mezzi di salute che restano alla Chiesa,
mirate onde viene: essa esce da qualche semplice fedele” (11).

 

 

Note

(1)
citazione di un testo di Rosmini fatta da Giuseppe De Rita nella conferenza
stampa del 9 novembre del Comitato per le celebrazioni civili della
beatificazione.

(2)
Nel 1896 la anticlericale amministrazione comunale di Milano eresse una
grande statua al Rosmini che si può ancora ammirare davanti a Palazzo Dugnani
in via Manin. Nel basamento della statua vengono ricordate le parole di stima
nei suoi confronti di Gregorio XVI e di Alessandro Manzoni.

(3)
in un convegno organizzato dall’Università cattolica nel novembre 1997

(4)
Così Clemente Riva, che ha curato l’edizione critica “Delle cinque piaghe”
del 1966, riassume nell’introduzione  i
punti salienti  del libro: ”l’unione
viva di Clero e fedeli nell’unico Popolo di Dio; la partecipazione attiva ed
intelligente alla liturgia; il Cristianesimo come mistero di vita
soprannaturale; la centralità del Sacramento e della Parola di Dio; il
ritorno alle fonti dei Padri della Chiesa; l’indispensabilità della teologia
viva; il grave danno del giuridicismo adulatorio; l’educazione profonda del
Clero; l’unione tra tutti i Vescovi a formare un sol corpo con a capo il
Romano Pontefice; il recupero nella comunità cristiana dell’idea del Vescovo
come Padre e Pastore della Chiesa locale; una presenza ed un consenso di
tutti i fedeli nell’elezione del proprio Pastore; il senso di responsabilità
e di partecipazione convinta alla vita della comunità ecclesiale; la libertà
della Chiesa dai poteri politici e dai beni terreni; la povertà del Clero e
dei fedeli; la carità della Chiesa verso gli indigenti a cui i beni della
Chiesa in parte appartengono; la prevalenza dell’idea sociale, portata dal
Cristianesimo, sull’idea individuale, propria del paganesimo; l’animazione
cristiana degli individui prima e della società poi; l’impostazione
cristocentrica della storia umana”.

(5)
“I Santi Padri i quali insegnarono che quella parte che ha il popolo
nell’elezione dei suoi Pastori procede dalla legge divina, ne trassero le
prove 1) dalla legge antica; 2) dagli Atti apostolici che ci narrano
l’elezione di S.Mattia, di S.Timoteo e dei sette Diaconi; 3) da alcuni luoghi
delle Lettere di S.Paolo; 4) dalle ragioni intrinseche procedenti dalla
dottrina di Cristo, cioè dalla dolcezza e dalla ragionevolezza del governo
ecclesiastico, dalla dignità dei Cristiani, dal fine dell’ecclesiastico ministero,
dalla sicurezza maggiore di un giudizio pubblico  ecc..; 5) dall’immediata tradizione non
iscritta di Cristo e degli Apostoli” da Lettera I in appendice a “Delle
cinque piaghe della Santa Chiesa” Morcelliana 1967 pag 368.

(6)
cfr. lettera III in appendice a "Delle cinque piaghe della Santa
Chiesa" citato pag. 411-412. Di seguito il Rosmini esprime " la
speranza che i Vescovi, conoscenti della condizione dei tempi in cui viviamo,
dei grandi bisogni della Chiesa, e delle speranze che a lei adduce il grido
alzato di libertà, vogliano dopo tanto tempo di disunione e d’isolamento,
radunarsi nello spirito del Signore, e trattare quelle cose che interessano
al reggimento della loro Chiesa. Imperciocché la sapienza collettiva e
l’unità dello spirito e dei mezzi è quello, di cui più che mai la Chiesa oggidì abbisogna:
ella abbisogna di sentire tutta la grandezza della promessa del Signore, il
quale disse, che dove due o tre saranno congregati in suo nome, egli sarà nel
mezzo di essi". Qui il Rosmini auspica in modo abbastanza esplicito un
nuovo Concilio ecumenico di tipo pastorale, quale sarà appunto il Vaticano
II.

(7)
da Fulvio De Giorgi “Dalla porpora negata agli onori dell’altare” su “Appunti
di politica e di cultura” n.6/2007

(8)
si leggano le illuminanti  pagine
336-340 del testo citato

(9)
Rosmini cita S.Ambrogio che diceva “Autem
Ecclesia habet, non ut servet, sed ut eroget, et subveniat in necessitatibus

( “La Chiesa
distribuisca quello che ha per le necessità (dei bisognosi) e non lo
conservi”) cfr. ibidem pag. 349

(10)
cfr. ibidem pag. 354-355

(11)
citazione  da Fulvio De Giorni testo
sopra  citato

 

Roma,
17 novembre 2007                                                   “Noi
Siamo Chiesa”

 

           

 

 


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