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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Armido Rizzi è in Paradiso. Leggi il racconto della sua vita.

 

L’essenziale della mia vita

di Armido Rizzi

in “Pretioperai” n. 109-110 del dicembre 2015

Relazione tenuta a Bergamo il 13 giugno 2015

 

  1. Sintetizzo il racconto della mia infanzia e giovinezza con pochissimi dati. A 10

anni sono entrato in seminario a Pavia, a 20 anni sono passato dal seminario al

noviziato dei gesuiti in Veneto, e ho poi compiuto la lunga formazione della

Compagnia di Gesù fino al sacerdozio e alla destinazione a insegnare filosofia della

religione a Gallarate e antropologia teologica a Napoli. Dopo cinque anni di questa

attività mi sono deciso a chiedere la riduzione allo stato laicale, quando il provinciale

mi disse che non potevo fare gli ultimi voti perché circolavano voci secondo cui io

insegnavo cose preoccupanti. Allora sono uscito dalla Compagnia di Gesù per poter

continuare a sviluppare quelle idee.

Ho scritto una ventina di libri, nei quali l’idea di fondo è quella che amo chiamare

“teologia alternativa”. Alternativa alla filosofia e alla teologia che avevo imparato,

dove su cento tesi (un gesuita alla fine degli studi doveva dare un esame su cento tesi)

non ce n’era una che dicesse “Dio è amore”.

Infatti la filosofia e la teologia imparate erano strutturate attorno al pensiero greco.

Papa Ratzinger (Benedetto XVI) a Ratisbona nel 2006 affermava che bisognava

rifarsi a questo pensiero classico per capire chi è Dio. Nelle successive tre encicliche

egli ha implicitamente confermato questa visione teologica in uno dei suoi punti

fondamentali: l’identità tra l’”amore biblico” (sia Antico che Nuovo Testamento) e

l’”amore greco” . Nella Deus caritas est ha affermato che l’amore biblico è l’eros

(ovviamente al suo livello più elevato); nella Spe salvi ha ribadito quest’idea; nella

Caritas in veritate ha riaffermato che la carità senza verità è superficiale e volatile

(negando così implicitamente che la carità porta in sé la verità).

A questa dottrina io non avevo più creduto; e tutto quello che ho studiato e scritto

liberamente è dunque un modo – come appena detto – di pensare una “teologia

alternativa”: non solo nel senso di opposta a quella classica ma nell’accezione

positiva di intendere l’amore per Dio quale viene inteso dalla Bibbia (Antico e Nuovo

Testamento), cioè non come eros ma come agape: amore per il Dio “altro”. Questo è

stato ed è un “pensare dentro la Bibbia”: servendomi degli esegeti ma non

fermandomi ad essi, perché il “pensare” esige un passo oltre l’esegesi. Perciò il mio

impegno di teologo è stato una volontà di commento approfondito al kerygma, cioè

all’annuncio dell’Antico e del Nuovo Testamento.

  1. Uno dei passi principali in questa nuova impostazione è stata la scoperta della

Teologia della Liberazione, attraverso la lettura del libro di Gustavo Gutierrez con

questo stesso titolo. Leggendolo ebbi la sorpresa di trovare due novità: la prima, che

egli si rifaceva alla Bibbia e ne sviluppava il messaggio; la seconda , che tale

messaggio era l’amore per i poveri, quella “opzione preferenziale” per essi che

incarna attraverso la prassi umana l’amore che Dio porta a loro.

Pur provenendo da una famiglia povera (di una povertà dignitosa), venni colpito da

questa scoperta teologica, e scrissi due lunghi articoli appunto sulla Teologia della

Liberazione, con particolare riferimento a Gutierrez. Ma la vera scoperta esistenziale

la feci una decina di anni dopo, quando – nel 1983 – venni chiamato a fare un corso

di teologia a Lima, in Perù. Il corso durò poco (circa una settimana); ma la mia

presenza in Perù si prolungò per tre mesi; e fu questa la ragione per cui venni a

contatto con la povertà nel senso più forte del termine: ricordo come, nell’entrare in

quelle case, venivo come aggredito da visioni disumane, e per almeno un mese mi

venne ogni volta il nodo alla gola.

Tornato a casa, mi venne chiesto di scrivere qualcosa sull’esperienza fatta; e scrissi

un libretto dal titolo L’oro del Perù: la solidarietà dei poveri (“dei” è qui genitivo

oggettivo). Da allora tutto quello che ho scritto è in qualche modo legato a questo

tema. Anche il mio piccolo best-seller (Dio in cerca dell’uomo. Rifare la spiritualità)

è in sostanza un cercare quell’amore che non è l’amore di eros (cioè l’amore che

cerca di salire verso Dio perché è il sommo bene (cosa che avevo imparato da

Tommaso d’Aquino, il quale appunto si rifaceva ad Aristotele). Chi cerca il volto di

Dio lo trova nei poveri, chi vuol vivere il suo amore deve servire i poveri. Poveri non

sono soltanto coloro che non hanno beni economici, ma coloro che sono ammalati,

umiliati, prigionieri, carcerati, stranieri, ecc. (cfr. per esempio Mt 25, 31ss.).

Adesso il povero principale cui devo accudire è mia moglie Alberta (più giovane di

me di sedici anni). Ha da otto mesi un enfisema polmonare, per cui deve restare

attaccata giorno e notte a una bombola di ossigeno; inoltre, da due mesi ha una spalla

rotta, che non le permette di usare il braccio destro. Il passaggio da Fiesole (dove

abbiamo trascorso 29 anni, organizzando seminari e ospitando bisognosi) a Mantova

(città natale di mia moglie) ci ha portato a una situazione precaria dal punto di vista

economico; e se riusciamo ad andare avanti è perché un gruppo di amici ci invia ogni

mese una certa somma di denaro. Altri amici l’accompagnano quando deve uscire…

Così stiamo sperimentando che cosa significa essere “poveri”, bisognosi dell’aiuto

altrui.

.

Ecco: mi pare di aver detto l’essenziale della mia vita


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