Il dialogo tra le
religioni non è possibile. La fede non si può mettere tra
parentesi
Caro Senatore Pera,
in questi giorni ho potuto leggere il Suo nuovo libro
Perché dobbiamo dirci cristiani. Era per me una lettura affascinante. Con
una conoscenza stupenda delle fonti e con una
logica cogente Ella analizza l’essenza
del liberalismo a partire dai suoi fondamenti, mostrando che all’essenza del
liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio: la
sua relazione con Dio di cui l’uomo è immagine e da cui abbiamo ricevuto il
dono della libertà. Con una logica inconfutabile Ella fa vedere che il
liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo
fondamento. Non meno impressionato sono stato dalla Sua analisi della
libertà e dall’analisi della multiculturalità in cui Ella mostra la
contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità
politica e culturale. Di importanza fondamentale è la Sua analisi di ciò che
possono essere l’Europa e una Costituzione europea in cui l’Europa non si
trasformi in una realtà cosmopolita, ma trovi, a partire dal suo fondamento
cristiano-liberale, la sua propria identità. Particolarmente significativa è
per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo interreligioso e
interculturale.
Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso nel senso
stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più
il dialogo
interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione
religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un vero dialogo non è possibile
senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel
confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di
fondo. Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole
sono possibili e necessari. Del contributo circa il significato di tutto
questo per la crisi contemporanea dell’etica trovo importante ciò che Ella
dice sulla parabola dell’etica liberale. Ella mostra che il liberalismo,
senza cessare di essere liberalismoma, al contrario, per essere fedele a se
stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella
cristiana che gli è congenere, offrendo così veramente un contributo al
superamento della crisi. Con la sua sobria razionalità, la sua ampia
informazione filosofica e la forza della sua argomentazione, il presente
libro è, a mio parere, di fondamentale importanza in quest’ora dell’Europa e
del mondo. Spero che trovi larga accoglienza e aiuti a dare al dibattito
politico, al di là dei problemi urgenti, quella profondità senza la quale
non possiamo superare la sfida del nostro momento storico. Grato per la Sua
opera Le auguro di cuore la benedizione di Dio.
Benedetto
XVI
CORRIERE della SERA 25 novembre 2008
Il Papa, il sen. Pera e la religione laica senza Volto e senza Cristo
di Paolo Farinella, prete cattolico (= universale) – Genova, 26 novembre
2008
Appello con raccolta di firme, in segno di testimonianza, a
credenti e non credenti scandalizzati dalla prefazione di Benedetto XVI a
Marcello Pera,
(Chi condivide il seguente messaggio scritto da Paolo Farinella, prete , può
firmarlo; chi non lo condivide, passi oltre)
Benedetto XVI ha scritto una lettera-prefazione al saggio del sen. Marcello
Pera Perché dobbiamo dirci cristiani, Mondadori, Milano 2008, in cui il
discepolo di Popper riprende la tesi crociana del Non possiamo non dirci
cristiani rovesciandone le ragioni. La lettera è
stata pubblicata domenica 23.11.2008 da Il Corriere della Sera nella
pagina della cultura. Con un tono familiare, quasi affettivo, inusuale in
documento pontificio, il papa non risparmia elogi al «Caro Senatore Pera» con
espressioni impegnative come «lettura affascinante … conoscenza stupenda …
logica cogente … inconfutabile … grande chiarezza …», augurandosi che il libro
«trovi larga accoglienza». Mi pare che sia la prima volta nella storia che un
papa impegni la sua autorevolezza nella prefazione di un saggio opinabile e
certamente non condiviso da molti cristiani. C’è il rischio che la sua firma
dia al saggio del sen. Pera un valore e un’autorevolezza molto superiori di
quanto non meriti; il papa infatti si firma: «Benedetto XVI».
Nel marzo 2006 sulla questione delle radici cristiani europee e sul
crocifisso usato come strumento «di civiltà» occidentale e nazionale contro
immigrati e culture diverse, contestai al sen. Pera l’intenzione esplicita di
volere instaurare in Italia e in Europa una religione civile dal vestito
cristiano, ma senza Cristo risorto e senza Vangelo. Il mio libro, Crocifisso
tra potere e grazia. Dio e la civiltà occidentale, edito nel 2006 da il
Segno dei Gabrielli Editori, fu la risposta cristiana al progetto clerico-ateo
degli atei devoti. In esso credo di avere dimostrato perché l’Italia e
l’Europa, in quanto Stati polietnici, non possano essere cristiani, musulmani,
ortodossi, protestanti o atei, ma debbano essere solo «garanti» della libertà
di tutti i culti e di tutte le tendenze individuali nell’esercizio ordinato e
democratico delle rispettive fedi e usanze. Oggi sono sempre più convinto, dal
punto di vista teologico, di questa necessità.
Mi sembra che nella sua lettera-prefazione, il papa faccia affermazioni
gravi che contraddicono la natura universale della fede cristiana, la dottrina
del concilio Vaticano II, il Vangelo e sé stesso in quanto papa. Benedetto XVI
afferma di trovarsi d’accordo con il sen. Pera nel riconoscere che «all’essenza
del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio».
Sembra in tal modo dimenticare che il liberalismo fu ed è il padre diretto del
capitalismo economico di mercato, causa della strage degli innocenti per la
povertà strutturale che genera a vantaggio dei ricchi e degli speculatori
finanziari come l’attuale crisi mondiale dimostra. Aggiunge ancora che senza
questo radicamento il liberalismo «distrugge se stesso», stabilendo così un
nesso diretto e indissolubile tra liberalismo e cristianesimo. Si
deve dedurre che un cristiano non può non essere liberista se vuole
essere coerente con la propria fede?
Il papa facendo sue le tesi di Marcello Pera dichiara inoltre che «un
dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre
urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze
culturali della decisione religiosa di fondo», distinguendo così, giustamente,
fede e cultura, ma escludendo definitivamente qualsiasi incontro sul piano
della fede che resta così chiusa a qualsiasi confronto. Questa affermazione si
pone in netto contrasto con il magistero del concilio Vaticano II, che afferma:
«Essa [la Chiesa] perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità,
per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre
religioni … riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali,
morali e socio-culturali che si trovano in essi» (Nostra Aetate,
Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le Religioni non cristiane,
del 28 ottobre 1965, n. 2). Promuove quindi «riunioni che si tengono con
intento e spirito religioso tra cristiani di diverse Chiese o comunità» e «il
“dialogo” condotto da esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone
più a fondo la dottrina della propria comunione e ne presenta con chiarezza le
caratteristiche. Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più
vera e una stima più giusta della dottrina e della vita di ogni comunione» (Unitatis
Redintegratio, sull’Ecumenismo, 21 novembre 1964, n. 4).
Il concilio Vaticano II, il più alto magistero della Chiesa cattolica,
«esorta al dialogo», Pera (e, se non ne verrà una improbabile smentita, papa
Ratzinger con lui) lo nega. Per molti cattolici si pone il dilemma: seguire le
decisioni del concilio o il sen. Pera con ratifica papale? A me e a molti
cattolici non resta che una scelta obbligata e consapevole: il concilio è
vincolante per la coscienza e la fede. Il papa infine scrive al sen. Pera che
con la sua analisi della multiculturalità, egli «mostra la contraddittorietà
interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale».
Ne consegue che politicamente e culturalmente non possano esistere Stati come
gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la stessa Europa, l’immenso continente
latino americano e anche singolarmente l’Inghilterra, l’Italia, la Francia, la
Spagna, la Germania … che da tempo immemorabile sono luoghi della
«multiculturalità» non solo politicamente e culturalmente, ma anche
religiosamente. Il papa, che conosce bene San Tommaso d’Aquino, sa che «contra
factum non valet argumentum» e dimentica che appena due anni or sono egli
stesso scrisse che l’incontro interreligioso di preghiera tra Giovanni Paolo II
e i capi religiosi del mondo convocato ad Assisi il 27 ottobre 1986 «assume il
carattere di una puntuale profezia» (Lettera all’arcivescovo di Assisi,
mons. Domenico Sorrentino, del 4-9-2006).
In questo momento in cui il liberalismo sta dimostrando palesemente il
proprio totale fallimento, il cui costo ha già scaricato sulla collettività
generando milioni di disoccupati e una teoria impressionante di antichi e nuovi
poveri, sembra anacronistico che un papa lo esalti come modello, contro ogni
evidenza storica. Ancora una volta infatti, sono i poveri che pagano il conto
dei ricchi e degli speculatori. In questo contesto il papa si fa irretire da un
senatore ateo e clericale nella celebrazione di un rito «liberista» della
religione civile, ma senza Cristo e senza Vangelo. Possibilmente in latino e
con gli abiti del concilio di Trento. A me, povero cristiano, non resta che
marcare la distanza nella solitudine della mia coscienza.
Paolo Farinella, prete
cattolico (= universale)
Firma su :
http://appelli.arcoiris.tv/risposta_prefazione/
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