Intervista a Vittorio Bellavite di “Noi Siamo Chiesa” sull’ottopermille (da “Il Manifesto” del 6.5.2012)
Da almeno 50 anni all’interno della Chiesa cattolica c’è chi conduce una battaglia di critica e di rinnovamento delle strutture ecclesiastiche, in direzione di una maggiore laicità, democrazia e povertà. Sono le comunità di base – che pochi giorni fa, a Napoli, hanno tenuto il loro 33.mo incontro nazionale –, i “cattolici del dissenso” e, più recentemente, il movimento internazionale Noi Siamo Chiesa. Vittorio Bellavite è il coordinatore per l’Italia.
Bellavite, che ne pensa dell’otto per mille alla Chiesa?
Che non va bene, per vari motivi. Innanzitutto perché è un sistema organico al Concordato, che assegna alla Chiesa cattolica un privilegio che, perlomeno da quando c’è la Costituzione repubblicana, è assolutamente ingiustificato. Poi perché contribuisce in maniera determinante a creare una Chiesa ricca. E questo è in netta contraddizione con il Vangelo: la Chiesa, per essere coerente con il Vangelo che annuncia, deve essere povera e stare con i poveri. Grazie all’otto per mille, invece, è una Chiesa ricca, quindi lontana dal Vangelo. Il gruppo romano di Noi Siamo Chiesa ha lanciato proprio in questi giorni una campagna di informazione e di “boicottaggio” dell’otto per mille alla Chiesa cattolica.
Ma molti dicono che quei soldi servono a portare avanti opere di bene…
A parte il fatto che solo un quinto del soldi viene usato per iniziative di carità e di solidarietà sociale, voglio poi ricordare che il sistema dell’otto per mille ha di fatto abolito il cosiddetto patrimonium pauperum.
Ovvero?
Secondo la tradizione, e anche il diritto canonico, tutti i beni della Chiesa erano “patrimonio dei poveri”. Una piccola parte doveva servire per il mantenimento dei preti, tutto il resto doveva essere usato a beneficio della collettività. Invece con il nuovo Concordato del 1984 e le successive leggi applicative, il “patrimonio dei poveri” è diventato, anche formalmente, “patrimonio del clero” e viene gestito dagli Istituti per il sostentamento del clero. Sono spariti i poveri e sono spariti anche i beni dei poveri.
Ed è aumentata la centralizzazione…
Esatto. Tutto fa capo alla Cei che in questo modo ha un grande potere di “ricatto” nei confronti delle diocesi, delle parrocchie e dei preti “disobbedienti”. Inoltre dispone di un’enorme quantità di soldi che le consente di portare avanti mega-iniziative di carattere nazionale e di sostenere – benché indirettamente – i propri mezzi di informazione.
La Chiesa dovrebbe essere finanziata dallo Stato?
No, si dovrebbe autofinanziare, responsabilizzando i credenti. Possiamo immaginare una gradualità: stabiliamo, per esempio, che l’otto per mille venga ridotto progressivamente fino ad essere eliminato del tutto nell’arco di 10 anni. Contestualmente i cattolici devono fare un percorso di responsabilizzazione, perché provvedano loro alle necessità della Chiesa. E per fare questo vescovi e parroci dovrebbero avviare una gestione partecipata delle risorse economiche e rendere i bilanci trasparenti. Probabilmente ci saranno meno risorse, ma questo consentirebbe un “dimagrimento” delle strutture ecclesiastiche: meno centralismo, più preti che lavorano e si guadagnano da vivere, più spazio ai laici e alle donne. Ma fin quando resterà in vigore il sistema dell’otto per mille tutto ciò non sarà possibile.
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