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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

C’ è un nuovo vescovo a Messina. Ingiuste accuse al precedente arcivescovo

Padre Giovanni Accolla è il nuovo arcivescovo di Messina

di Citto Sajia da www.ilsoldo.it

Sabato 7 gennaio è arrivato a Messina padre Giovanni Accolla, nominato dal papa arcivescovo metropolita di Messina, Lipari e S.Lucia del Mela.

Il nuovo arcivescovo proviene da Siracusa ed è stato parroco in una parrocchia dell’isola di Ortigia.

Dopo la rinuncia dell’arcivescovo mons. Calogero La Piana e la gestione di ben due amministratori apostolici ( il vescovo di Acireale mons. Raspanti e l’arcivescovo emerito di Taranto mons. Benigno Luigi Papa ), l’archidiocesi di Messina ha finalmente un proprio pastore.

La numerosa folla di messinesi ( ma anche di siracusani ) ha accolto il nuovo pastore in una cattedrale gremitissima mentre all’esterno imperversava sulla città ( cosa del tutto inconsueta ) una piccola ma gelida bufera di neve.

Con una cerimonia molto sobria, padre Giovanni è stato accolto all’ingresso della basilica cattedrale dai canonici del capitolo e dal saluto del sindaco della città.

Una nota di colore ha anche “allietato” la serata con una inedita e nuova performance del sindaco Accorinti che, data la serata siberiana, si è presentato in abbigliamento variopinto ma intabarrato in una coperta (o uno scialle?) di un colore tra l’avana e il grigio.

Il sindaco comunque ha accolto il nuovo pastore della Chiesa cattolica messinese, con parole di speranza e di collaborazione, ovviamente nell’ambito delle rispettive competenze.

Padre Accolla arriva in un territorio complesso e difficile con tanti problemi di carattere sociale e economico. Tanti sono i problemi della città, del territorio metropolitano e delle periferie e la cappa della disoccupazione, della mancanza di lavoro e della povertà incombe sul territorio dell’archidiocesi.

Nella Chiesa messinese vi sono tante iniziative positive e tante testimonianze cristiane, ma vi è anche una latente malattia cronica dalla quale non si riesce a venir fuori, forse per mancanza di trasparenza e di coraggio e per l’assenza di un coinvolgimento complessivo del “Popolo di Dio in cammino” che poi è la Chiesa secondo i principi evangelici, riaffermati più di 50 anni fa dal Concilio ecumenico Vaticano II.

E bene quindi ha fatto il papa ad invitare il nuovo arcivescovo ad avere “coraggio” e a “non aver paura di incontrare la gente, di fare incontrare alla gente Gesù”.

Come ci ricorda un santo vescovo della Chiesa delle origini, ogni vescovo è vescovo con i suoi fedeli e per i suoi fedeli e deve guardare oltre il gregge che è stato a lui affidato.

Le prime parole di padre Giovanni fanno sperare in una primavera della Chiesa messinese.

Ha detto a chiare lettere che la Chiesa deve essere credibile e fedele al Vangelo, ma deve essere anche profetica e quindi “non bisogna cercare il consenso ad ogni costo”.

I profeti, come sappiamo dalla Bibbia, erano anche persone scomode e non sempre ben viste dalla massa.

Certamente la Chiesa messinese ha bisogno di sperimentare la pratica dell’incontro e mi pare che questo principio sia contenuto nelle prime parole programmatiche del nuovo pastore.

Uno dei punti più importanti contenuti nelle parole di padre Accolla è stato quello in cui ha parlato della esperienza del “silenzio”.

Stare in silenzio significa ascoltare, non mettere la propria parola al di sopra di quella degli altri. Molto bello il passo in cui l’arcivescovo afferma che “dobbiamo riscoprire lo strepito del silenzio, come nelle catacombe di Siracusa, quel fragore capace di far ritornare4 tutte le nostre voci interiori e di farci aprire il cuore con generosità alla presenza degli altri”.

Queste parole mi hanno fatto ricordare il famoso “patto delle catacombe” che alcuni padri conciliari hanno fatto alla fine del Concilio.

E’ vero, perché il silenzio facilita l’ascolto e l’ascolto dà la possibilità di dialogare e di trovare grandi momenti collettivi di unità.

La nuova prassi che sta dentro le parole di padre Accolla, dovrebbe diventare la prassi di tutte le comunità cristiane, dalle più piccole alle grandi parrocchie dove il presbitero deve sempre ascoltare in silenzio la comunità ed essere il “servo” e non il “maresciallo” (con tutto il rispetto per i marescialli che hanno altri compiti).

Il territorio messinese ( anche quello appartenente alla diocesi di Patti ) ha avuto una sua identità spirituale per quanto riguarda la tradizione del “silenzio”.

Tutto il Valdemone è stato centro di contemplazione, di silenzio e di preghiera. Mi piace ricordare i tanti monasteri ed eremi che nei secoli hanno fatto capo al monachesimo occidentale ma anche a quello orientale ( i basiliani ) e che hanno un lascito importante nel titolo che ancora oggi ha l’arcivescovo di Messina di archimandrita del SS. Salvatore.

Queste radici storiche e spirituali non devono essere lasciate solo allo studio degli storici e dei cultori di storia patria, ma possono essere anche rivalutate e vissute nella modernità e nella contemporaneità.

E, per quanto riguarda nello specifico la Chiesa messinese, l’arcivescovo ha messo in evidenza anche un altro aspetto importante quando ha affermato, con grande convinzione, che “il rinvigorimento della Chiesa di Messina passa attraverso una severa ed umile revisione di vita, nella mitezza e nella docilità alla chiamata del Signore”.

Un’ultima considerazione mi piace fare, leggendo lo stemma episcopale di padre Giovanni Accolla che lui stesso ha definito una “bisaccia con tre cibi spirituali” da usare nel suo cammino con il Popolo di Dio: la croce di Cristo, la barca che naviga anche nel mare in tempesta, fra Scilla e Cariddi, e spinta dai venti di Eolo che di solito non risparmiano le isole Eolie e il simbolo della Madre di Dio che a Messina ( il mare è sempre presente! ) viene venerata, per antichissima tradizione, sotto il titolo di Madonna della lettera.

I santi devono essere un modello per i cristiani e ritengo che padre Giovanni Accolla, che vuole servire la Chiesa messinese nella “carità e nella verità”, potrà trovare certamente un modello nel servo di Dio padre Francesco Fasola, già arcivescovo e archimandrita di Messina, per il quale è in corso la causa di beatificazione.

Anche padre Francesco Fasola, che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente, aveva nel proprio stemma episcopale una barca con una vela spiegata e la scritta “duc in altum”.

Anche lui, in un momento vivo e al contempo difficile della Chiesa messinese, intendeva raggiungere le periferie geografiche e esistenziali della sua Chiesa particolare e della Chiesa universale. Quando mi soffermo davanti al suo sepolcro, nella nostra cattedrale, penso sempre alla complessità della Chiesa messinese e alle tante persne, preti e laici, che nel tempo hanno tentato di spingerla in alto mare.

Ci saranno altre occasioni per parlare della Chiesa messinese e per viverla ( per coloro che intendono farne parte ) e il mio sogno sarebbe quello di una Chiesa sinodale, in cui tutti i cristiani possano vivere da uguali il regale sacerdozio e testimoniare concretamente, nella profezia, nella giustizia e nella carità, Cristo crocifisso e il suo Vangelo.

Il fango sull’arcivescovo La Piana: una città senza carità e senza giustizia

di Citto Saija

Su questo giornale, il 28 settembre 2015, scrivevo un articolo dal titolo “Le dimissioni dell’arcivescovo Calogero La Piana e i peccati della Chiesa messinese”.

Pur non avendo mai conosciuto personalmente l’arcivescovo emerito di Messina, cercavo, in quell’articolo, di capire il dramma della Chiesa messinese e le sofferenze del pastore,

E non mi ha fatto certo piacere quella che definivo la “demoniaca ricerca”, anche da parte di tanta stampa locale, di ciò che si nascondeva dietro i motivi di salute che certo – come sostenevo in quell’articolo – riguardavano “non solo il corpo ma soprattutto il cuore e l’anima”.

E alla fine auguravo all’arcivescovo serenità e salute, soprattutto dopo aver visto il suo volto sofferente in occasione della Messa di saluto celebrata in cattedrale.

In quell’articolo sostenevo, sulla base della mia conoscenza della Chiesa messinese, che il “dramma” veniva da lontano e che il “frutto avvelenato” – ne sono pienamente convinto – era intraecclesiale.

Da tanto tempo, la Chiesa messinese è gravemente malata e, per autoconvertirsi, ha bisogno di seguire un lungo percorso penitenziale.

Ma, in questi giorni, altro fango ha colpito l’arcivescovo La Piana, la cui dignità è stata difesa dal nuovo arcivescovo di Messina padre Giovanni Accolla, il quale ha espresso solidarietà all’arcivescovo emerito, invitando tutta la comunità ecclesiale ad “essere solidale nei confronti di un pastore che, nel suo ministero, è stato esemplare per zelo e dedizione, dissociandosi con forza da quanti ancora tentano percorsi destabilizzanti e umilianti per tutta la Chiesa”.

In preparazione all’uscita del volume “Lussuria” ( 19 gennaio ) del giornalista Emiliano Fittipaldi, edito da Feltrinelli, è stata fatta sul settimanale “L’Espresso” ( del 15 gennaio ) un’operazione che considero non giusta.

Accanto all’articolo “Vizi cardinali”, riguardante alti prelati che avrebbero insabbiato i crimini dei preti pedofili, viene messo un “pezzo” dal titolo “Quell’eredità con finale a sorpresa” che certamente non ha nulla a che vedere con la pedofilia.

Perché allora collocare, su un settimanale nazionale, la figura dell’arcivescovo emerito di Messina accanto a preti pedofili e alti prelati che avrebbero protetto i pedofili?

Il tipo di impaginazione giornalistica mi ha lasciato perplesso e la stessa cosa devo dire per il paragrafo “L’eredità segreta” contenuto nel capitolo 4 “La lobby gay” del volume di Fittipaldi.

Ho letto con attenzione il documentato libro di Fittipaldi che si fonda su inchieste giudiziarie ma anche su iniziative della Congregazione vaticana per la dottrina della fede e su affermazioni del papa emerito Benedetto XVI e di papa Francesco.

Si tratta di cose risapute attraverso articoli di stampa e atti della giustizia ordinaria e della stessa Santa sede.

Non sono un ricercatore di complotti ma, nel complesso, vedo un sottilissimo filo nero che di fatto tende a delegittimare il difficilissimo lavoro che papa Francesco sta facendo per purificare la Chiesa e liberarla da corrotti e criminali.

Ma, torniamo al paragrafo “L’eredità segreta” in cui si afferma, a proposito dell’eredità ricevuta “ad personam” da mons. La Piana, che “nessuno a Messina sa che La Piana è diventato ricco”.

E’ proprio il nuovo arcivescovo di Messina padre Giovanni Accolla, a dire che mons. La Piana ha devoluto per intero, con atto pubblico, l’eredità a favore dell’arcidiocesi di Messina-Lipari-S.Lucia del Mela.

E lo stesso arcivescovo emerito, in una intervista telefonica rilasciata al quotidiano messinese “Gazzetta del sud” del 20 gennaio afferma:”Ho reso subito noto ai miei collaboratori la volontà di donare alla Chiesa messinese, che ho servito e amato sopra ogni cosa, quanto mi sarebbe pervenuto dall’eredità”.

Mons. La Piana afferma inoltre che, dopo aver “concluso l’iter successorio, curato per procura dall’avvocato Alberto Vermiglio, il 16 novembre 2015 feci trasferimento, di quanto a me pervenuto, all’archidiocesi”

Sempre mons. La Piana ha adempiuto alla esecuzione di alcuni legati previsti nel testamento, bonificando il ricavato di alcuni beni a delle “fondazioni benefiche, come risulta dallo steso articolo del settimanale “L’Espresso”.

Nella intervista citata l’arcivescovo La Piana lamenta di essere stato “oggetto di calunnie e diffamazioni attraverso lettere anonime scritte da un gruppo di sacerdoti messinesi”.

L’arcivescovo inoltre respinge anche le accuse su una presunta sua omosessualità.

Tutta la triste vicenda evidenzia comunque che la malattia sta dentro la Chiesa messinese e, come sostengo da tempo, essa viene da lontano.

Proprio in tempi lontani, come ho scritto in altre occasioni, quando era arcivescovo mons. Angelo Pajno, ormai quasi nonagenario, la Santa sede ha nominato arcivescovo coadiutore con diritto a successione, il piemontese di Cuneo mons. Guido Tonetti. Il povero mons. Tonetti non diventò mai arcivescovo di Messina perché, anche allora, un complotto intraecclesiale riuscì a mandarlo via.

Da giovane studente e dirigente dell’Azione cattolica non riuscivo a comprendere perché, in alcuni settori del clero, definissero il bravo arcivescovo Tonetti, in maniera spregiativa, “ u piemuntisi”.

In ogni caso, dopo il “principato” di mons. Pajno ( siamo ormai sul piano dei giudizi storici ), arrivò a Messina un altro piemontese che fu il grande e santo arcivescovo padre Francesco Fasola che era già in Sicilia prima come ausiliare del vescovo passionista di Agrigento mons. Peruzzo e poi come vescovo di Caltagirone.

Spero che la Chiesa messinese possa uscire presto dalla inquietante patologia e ritengo che ciò possa avvenire in una nuova visione (conciliare ) di Chiesa e con una maggiore partecipazione, all’interno della istituzione ecclesiale, di un laicato non clericale.


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