Pedofilia, Zollner: “Tra noi si nascondono criminali, serve un’inchiesta anche in Italia”
Il Presidente del Centro per la protezione dei minori della Pontificia Università Gregoriana, a cui il Papa ha affidato la prevenzione degli abusi sessuali nella Chiesa: «In tutto il mondo il 3-5% dei sacerdoti è un abusatore»
domenico agasso
Modificato il: 21 Gennaio 2022
CITTÀ DEL VATICANO. «Siamo sotto choc per il report sulla pedofilia nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga». Queste inchieste «servono, e ne occorrerebbe una anche in Italia». Anche se «ormai il fenomeno è chiaro: nel mondo in ogni regione tra il 3 e il 5% dei preti è un abusatore. Abbiamo dei criminali fra noi. Per questo dobbiamo ancora fare passi avanti per purificare la Chiesa». È l’analisi del gesuita tedesco padre Hans Zollner, teologo e psicologo, presidente del Centro per la protezione dei minori della Pontificia Università Gregoriana, a cui papa Francesco ha affidato la prevenzione degli abusi sessuali nella Chiesa.
Qual è stata la sua reazione al dossier di Monaco di Baviera?
«Come dopo le altre pubblicazioni di dati del genere siamo choccati. Siamo devastati dalla dimensione numerica e dal proseguimento nel tempo, per decenni, di queste violenze».
Che cosa la inquieta in modo particolare?
«L’occultamento e le coperture dei casi, le omissioni e l’indifferenza da parte delle gerarchie e dei responsabili delle diocesi, i quali non hanno compiuto gli interventi che il Diritto canonico prevedeva e prevede».
Il coinvolgimento di Joseph Ratzinger nel report che significato assume?
«Aggrava l’immagine della vicenda».
La Chiesa che cosa sta facendo concretamente per debellare questa piaga al suo interno?
«Sta lavorando molto nell’ambito della prevenzione. Innanzitutto nella formazione di sacerdoti, religiosi, religiose, catechisti e altri collaboratori. Però dobbiamo imparare a essere più responsabili».
In che senso?
«Le nostre strutture non hanno ancora cambiato metodo e sistema rispetto alla trasparenza sulle responsabilità: mentre diventa chiaro chi abusa, non è altrettanto semplice far assumere la responsabilità a chi lo ha coperto per “salvare la faccia dell’istituzione”, a chi avrebbe dovuto vigilare, a chi avrebbe dovuto intervenire secondo le indicazioni delle varie leggi e anche secondo la nostra missione di uomini di Chiesa: l’atteggiamento evangelico di proteggere i più deboli».
Inchieste come quella di Monaco possono portare a qualcosa di buono? Ne occorrerebbe una così anche in Italia?
«Sì queste indagini condotte in modo oggettivo e pubblicate servono assolutamente. E servirebbe anche in Italia, certo, così si guarderebbe in faccia la realtà e non si continuerebbe a negare qualcosa che viene continuamente smentito, e cioè che in Italia non ci sono abusi sessuali nella Chiesa. Anche se in generale paradossalmente ormai tutto è chiaro dal punto di vista della diffusione del fenomeno: nel mondo il numero di preti abusatori si aggira tra il 3 e il 5% in ogni regione. Dopo l’uscita di queste inchieste bisognerebbe innanzitutto avviare un’opera di ascolto delle vittime. E poi, modificare i rapporti di potere nella Chiesa, che dovrebbero essere più condivisi e meno autoritari, e aprirsi alle verifiche con la possibilità di essere giudicati anche da altri esperti fuori dal recinto cattolico. E poi dovremmo porci un interrogativo cruciale».
Quale?
«È più importante l’immagine che non corrisponde alla realtà, o ammettere che non siamo santi, che abbiamo peccato e che abbiamo tra noi anche criminali? Disse Gesù: la verità vi renderà liberi. Solo dopo la confessione può arrivare l’assoluzione e il perdono».
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