testo di Luca Mazzinghi
Pontificia Università Gregoriana
Parroco di san Romolo a Bivigliano (Firenze)
mazzinghi@unigre.it
Riflessioni e idee per celebrare la Settimana Santa
in tempo di coronavirus
In questo momento storico per molti aspetti drammatico la comunità cristiana è chiamata ad essere ancor più fedele al Vangelo. Le reazioni di fronte a una situazione davvero imprevista, in particolare di fronte alla sospensione della celebrazione pubblica dell’Eucarestia e degli altri riti della chiesa, hanno messo senz’altro in luce da un lato la vitalità e la creatività della chiesa stessa, ma d’altra parte hanno rivelato la debolezza della proposta di una vita cristiana che oggi non riesce ancora a far emergere la consapevolezza e la necessità di una vera spiritualità laicale. Emerge in modo palese il fatto che la chiesa cattolica, nella sua sostanza, non si è ancora distaccata dal modello ecclesiologico tridentino; ne è una prova, tra le tante, il disorientamento di tanti preti che si trovano oggi improvvisamente “disoccupati” e che tentano di riempire questo improvviso vuoto con la moltiplicazione, spesso fantasiosa, di liturgie virtuali.
Di fronte all’impossibilità di celebrare l’Eucarestia comunitaria emergono poi i limiti di una catechesi che, nonostante i molti e reali sforzi di rinnovamento post-conciliare, ha insistito e insiste ancora troppo sulla sacramentalizzazione della vita cristiana. In questo modo, il popolo di Dio fa oggi una enorme fatica a recuperare una dimensione di preghiera sia personale che di famiglia che sia centrata sull’ascolto della Parola di Dio letta e meditata anche personalmente, sul silenzio, sulla condivisione con le persone più care della propria vita di fede. Sembra quasi che senza la Messa tutto sia finito; forse abbiamo davvero puntato troppo sul “celebrare la Messa”, rendendo così vero il detto latino assueta vilescunt.
Questo momento storico è un’occasione unica che il Signore ci offre per ritrovare la centralità della Parola di Dio e, insieme, per riscoprire l’importanza dell’esperienza della preghiera familiare – per chi vive in famiglia, come la maggior parte dei nostri cristiani – o personale; l’espressione “chiesa domestica” di cui tanto ci siamo riempiti la bocca può adesso diventare una realtà. Questi valori profondi non possono essere sostituiti in alcun modo dalla moltiplicazione delle celebrazioni della Messa trasmesse in streaming, fatte da singoli vescovi e singoli preti all’interno di cattedrali e di chiese vuote, fossero anche i riti della Settimana Santa celebrati dal Papa, ma senza popolo. In questo modo si ritorna tra l’altro, quasi senza accorgersene, al principio della Messa tridentina, che è valida per il solo fatto di essere celebrata dal singolo prete, senza che l’assemblea vi abbia alcun ruolo. Pensare che l’unica cosa che rimane a un fedele laico, in questo momento, è il collegarsi a una Messa virtuale, è inoltre un segno tangibile che nella nostra chiesa manca la piena consapevolezza che ogni battezzato possiede in sé, in forza del Battesimo, quella dimensione autenticamente sacerdotale che lo rende capace di un vero rapporto con Dio.
La questione di fondo non è poi il decidere se tenere la chiesa / edificio aperta o chiusa né la sottile tentazione di disubbidire alle prescrizioni governative celebrando magari l’Eucarestia a tutti i costi (in realtà per riaffermare una pretesa influenza della chiesa sulla società civile) o di rifugiarsi in sole pratiche devozionali, per quanto venerabili; la vera questione è piuttosto il chiedersi se nel popolo di Dio c’è o non c’è la consapevolezza che “noi siamo il Tempio di Dio”, per parafrasare Paolo. Che cioè il Signore è realmente presente là dove due o tre sono riuniti nel suo nome. E che questa può diventare, nella disgrazia, una occasione di grazia per riscoprire la realtà del proprio Battesimo.
Abbiamo educato a questo il popolo di Dio? Tale è la domanda che la chiesa dovrebbe porsi oggi, per non rischiare di scoprire, a nostro danno, che quando il Signore ci darà la grazia di superare questa emergenza, le chiese potrebbero essere ancora più vuote di prima. Cogliere questo momento di “crisi” in senso biblico (“giudizio”), significa far compiere alla nostra chiesa un passo in avanti verso il Vangelo; non coglierlo, significa correre il rischio dell’insignificanza.
Alla luce di questa premessa, che cosa possiamo proporre al popolo cristiano, in vista di una Settimana santa che forse non potrà essere celebrata comunitariamente nelle chiese? Come poter vivere una dimensione autentica di “liturgia domestica”, se così la vogliamo chiamare?
Occorre senz’altro stare attenti a evitare alcuni rischi, come ad esempio la tentazione di voler scimmiottare riti e celebrazioni propri dell’ebraismo, quali il creare pseudo-celebrazioni pasquali ebraiche fatte da cristiani, con tanto di erbe amare e azzime. Poi, il rischio di creare una sorta di Messe in formato famiglia, ovvero paraliturgie che diano l’impressione di essere una sorta di calco di quelle che si fanno in chiesa, quasi dei riti sostitutivi.
Ancora, e soprattutto, occorre rispettare il senso autentico dei segni biblici e liturgici propri del momento della Settimana santa, e, allo stesso tempo, non perdere mai la centralità della Parola di Dio che sta alla base di ogni nostra celebrazione. Infine: i pastori non dovrebbero preoccuparsi troppo di voler continuamente offrire al popolo di Dio occasioni supplementari di collegarsi, in TV o con il computer, a celebrazioni in ogni caso “vuote” (v. sopra), o di moltiplicare momenti devozionali, ma dovrebbero preoccuparsi invece che ognuno abbia sussidi adeguati per vivere in prima persona, in modo attivo, consapevole, persino gioioso, questo tempo in ogni caso di grazia. E parlare ai fedeli in tal senso, puntando sulla loro libertà e responsabilità di battezzati.
Su queste basi, ecco alcune idee più concrete sulle quali si potrebbe lavorare. “Dove vuoi che prepariamo per celebrare la Pasqua?”. E’ quello che i discepoli chiedono a Gesù. La Pasqua va sempre preparata; e inoltre alla Pasqua non si assiste: la Pasqua si celebra! Questo vale anche nel caso che la Settimana Santa sia celebrata in comunità. Un eventuale sussidio per la Settimana Santa dovrebbe poter condurre a una celebrazione viva, semplice, familiare, della Pasqua, non limitata alla partecipazione passiva a un evento mediatico celebrato da altri, ma costruita in casa – al limite anche da soli, per chi proprio non ha nessuno con cui vivere.
Alcuni spunti più pratici:
– Prima di tutto, si possono creare degli spazi e dei segni in casa propria, a maggior ragione se vi sono bambini e ragazzi. Una candela, una tovaglia, una Bibbia, una croce, dell’acqua, un fiore, un disegno dei figli …, quello che la propria fantasia e sensibilità suggerisce, uno spazio concreto, anche se piccolo, che ci dica che siamo di fronte a qualcosa di speciale.
– La domenica delle Palme può continuare ad avere al centro il segno dell’ulivo – benedetto o meno – o qualche altra pianta che si fosse realmente in grado di procurare (non sempre in città si trova l’ulivo!). Ed è possibile accompagnare questo segno con la lettura dialogata dell’intero racconto della Passione. Un eventuale sussidio della Settimana Santa potrebbe offrire appunto il testo della passione secondo Matteo, quella che tocca a questo anno, divisa in parti e con un brevissimo spunto di riflessione, adatto anche ai bambini.
– Il giovedì santo: il segno centrale potrebbe essere quello del pane condiviso, ma anche il segno della lavanda dei piedi, che nessuno vieta di poter ripetere in casa tra i familiari, dopo aver letto insieme Gv 13 (tra membri della stessa famiglia che vivono insieme tutto il giorno non ci dovrebbe essere problema a lavarsi i piedi). Può essere anche l’occasione di riflettere sul valore dell’eucarestia comunitaria – proprio nel momento in cui essa ci manca. Può essere inoltre l’occasione per un momento di servizio; per chi sta chiuso in casa e non può mettersi al servizio reale di altri, anche solo una telefonata a chi potrebbe averne bisogno. Un eventuale sussidio potrebbe essere pensato con il testo di Gv 13 accompagnato dalla proposta dei segni suddetti, un breve spunto di riflessione – non nella forma di un commento già fatto, ma nella forma di tracce che ognuno può sviluppare per suo conto.
– Il venerdì santo: un giorno in cui si potrebbe recuperare una certa sobrietà del cibo (difficile digiunare in famiglia o se vi sono bambini o anziani …); segni come la TV spenta; mettere al centro della casa la croce e di fronte alla croce leggere insieme la passione secondo Giovanni in forma dialogata; con una traccia che aiuti poi a pregare per il mondo intero, senza per questo ripetere la preghiera universale prevista dalla liturgia, ma cogliendone l’anima profonda e proponendo ai membri stessi della famiglia di formulare le loro intenzioni per il mondo. Anche in questo caso un eventuale sussidio potrebbe contenere il testo della passione secondo Giovanni e lo spunto per una vera preghiera “universale”.
– Il sabato santo, giorno di silenzio e di preparazione (anche secondo gli usi e le tradizioni locali); una croce coperta da un velo, un pranzo modesto, si lavora insieme per il giorno dopo, non si guardano film o cartoni alla TV … E per chi può, arrivati a tarda sera, nulla vieta di ascoltare insieme i testi della Veglia pasquale, alternandosi nella lettura e nella recita dei salmi, e con qualche spazio di silenzio, fino al Vangelo. Dando in un eventuale sussidio l’occasione di poter scegliere tra le nove letture il numero adatto alla propria situazione familiare (chi ha bambini piccoli non può certo pensare di leggerle tutte e nove, salmi compresi); accompagnando la veglia con piccoli segni come accendere le candele o cantare qualcosa insieme, utilizzare il segno dell’acqua …
– La domenica di Pasqua si può ripetere al mattino una celebrazione della Parola come si è già fatto nelle domeniche di Quaresima, usando sussidi simili a quelli che sono qui allegati. E poi vivere il giorno di Pasqua con un bel pranzo festivo, condividendo la gioia della resurrezione con gli altri, chiamando e telefonando e salutando parenti e amici …
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