L’inopportuno rilancio delle indulgenze in occasione della pandemia
Tutti attenti ad altro in questo periodo così particolare della vita della Chiesa, è avvenuto un fatto che ci tornerebbe a colpa non fare presente. Lo esaminiamo nel documento allegato (dopo aver ragionato sul coronavirus e la vita della Chiesa, leggilo su http://www.noisiamochiesa.org/?p=7959 ). Si tratta del rilancio delle indulgenze, pratica ecclesiastica relativamente recente nella storia della Chiesa. Ignorata nel primo millennio (e tuttora nella Chiesa ortodossa e tra i cattolici di rito orientale) essa è stata uno dei maggiori fattori della rottura tra Lutero e il papato. Solamente ridimensionata dal Concilio di Th, praticata poi ampiamente, è stata ignorata dal Concilio Vaticano II poiché oggetto di una forte contestazione teologica ed è stata poi ripresa blandamente da Paolo VI. Ma essa è ormai diventata estranea al sentire diffuso della gran parte del popolo cristiano. La stessa Dichiarazione congiunta sulla dottrina della Giustificazione firmata dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa luterana ad Augsburg del 1999 e le celebrazioni a Lund per i 500 anni della Riforma nel 2017 sono andati in direzione contraria alla continuità della pratica delle indulgenze. Ora il Card. Piacenza, responsabile della Penitenziaria Apostolica , l’ha rilanciata nei suoi termini tradizionali per proporla per i malati di coronavirus e per chi li assiste. Essa è stata anche parte della preghiera di papa Francesco in piazza S.Pietro il 27 marzo e durante la Messa di Pasqua.
Noi pensiamo che non si debba “usare” un momento difficile come l’attuale per tornare indietro a una teologia e ad una prassi pastorale tanto preconciliare quanto fortemente antiecumenica. Bisogna invece- pensiamo – parlare nuovamente a fondo di peccato e perdono. Il documento di Noi Siamo Chiesa si conclude ponendo alcuni interrogativi su come pensare e vivere la riconciliazione.
Roma, 26 aprile 2020 NOI SIAMO CHIESA
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INDULGENZE: “NOI SIAMO CHIESA” SI RAMMARICA PER LA LORO RIPROPOSIZIONE
Nella storia della Chiesa
La riaffermazione delle indulgenze compiuta recentemente dal Vaticano pare a noi più che problematica ed ecumenicamente infelice. Essa si inserisce in una storia, lunga e controversa, che riguarda il rapporto peccato e grazia; ripercorrendola emerge – ci sembra – la necessità di abbandonare quella strada.
Nei primi secoli, la Chiesa occidentale e quella orientale, a poco a poco hanno formalizzato il sacramento della Penitenza, distinto dall’Eucaristia – che pur era considerata la massima opportunità per ottenere dal Signore misericordia: “Affinché possiamo celebrare i Sacri Misteri chiediamo a Dio perdono dei nostri peccati”. Nel passaggio dalla confessione pubblica per colpe personali ben note a tutta la comunità – idolatria, apostasia, omicidio, adulterio – alla confessione auricolare, a tu per tu con il sacerdote, si è stabilita la “pena” che il penitente doveva accettare perché la sua “colpa” gli fosse del tutto perdonata. E’ in questo contesto che, in Occidente, si avvia la pratica –tuttora ignota agli ortodossi e agli stessi cattolici di rito orientale– delle indulgenze che per cinque secoli ha poi contrapposto la Chiesa cattolica e le chiese riformate.
Ora sorprende il fatto che il 19 marzo 2020 il penitenziere maggiore, cardinale Mauro Piacenza, abbia firmato un decreto con il quale “si concede il dono di speciali Indulgenze ai fedeli affetti dal morbo Covid-19, comunemente detto Coronavirus, nonché agli operatori sanitari, ai familiari e a tutti coloro che a qualsivoglia titolo, anche con la preghiera, si prendono cura di essi”. Precisa il testo: “Si concede l’Indulgenza plenaria ai fedeli affetti da Coronavirus, sottoposti a regime di quarantena per disposizione dell’autorità sanitaria negli ospedali o nelle proprie abitazioni se, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato, si uniranno spiritualmente attraverso i mezzi di comunicazione alla celebrazione della Santa Messa o della Divina Liturgia, alla recita del Santo Rosario o alla pia pratica della Via Crucis”; il tutto avendo “la volontà di adempiere le solite condizioni (confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre), non appena sarà loro possibile”. La storia del passato indica, secondo noi, una strada che lascia (dovrebbe lasciare) da parte le indulgenze
Lutero e le indulgenze
La questione – ma allora era il “traffico” – delle indulgenze fu la scintilla che nel 1517 avviò l’irriducibile contrasto tra Martin Lutero e il papato e che, poi, nel 1521 portò papa Leone X a scomunicare il monaco ribelle e questi a procedere nella sua strada che porterà alla Riforma “protestante”: gran parte della Germania e tutti i paesi scandinavi passarono alla Riforma. Il papato rispose con il Concilio di Trento (1545-1563) che avviò la Controriforma: sulle indulgenze, quell’Assemblea accolse – senza citarlo – alcune critiche di Lutero, e perciò invitò a evitare esagerazioni; ma confermò la legittimità teologica delle indulgenze.
Per inquadrare la protesta di Lutero, va ricordato che il papato – a partire da Giulio II, che nel 1506 aveva iniziato la costruzione della nuova basilica di san Pietro – aveva bisogno di ingentissime somme, per portare a termine la gigantesca opera e perciò esigeva con maggior determinazione il pagamento delle tasse che in Europa re e prìncipi gli dovevano. E nacque il sistema della vendita delle indulgenze. In Germania anche Lutero vide dei frati che giravano i paesi per “vendere” le indulgenze a poveri contadini desiderosi di alleviare le pene del Purgatorio ai parenti defunti.
Anche se il Concilio di Trento cercò di purificare la pratica delle indulgenze, nei quattro secoli successivi le indulgenze ebbero grande sviluppo a livello di devozione popolare, e furono sempre incoraggiate dai papi, i soli titolati a “concederle”. Finalmente, all’alba del Novecento, inizia a crescere, anche nel mondo teologico cattolico, una critica a tale prassi.
Il silenzio del Concilio
Il Concilio Vaticano II discusse delle indulgenze: rare però furono le voci che approvarono totalmente la prassi allora in corso e la sua fondatezza teologica e biblica; i più prospettarono diverse modifiche, alcune solo formali, altre profonde; e alcuni fecero una critica radicale. Tra questi, particolare impressione fece sui padri conciliari il cardinale Julius Dőpfner, arcivescovo di Monaco ed uno dei quattro moderatori del Concilio, che, nel suo intervento, sostenne: “E’ Gesù Cristo, il vero tesoro della Chiesa, non le indulgenze. Lui è la Indulgenza!”. Constatata la grande varietà di opinioni emerse sul tema, il Concilio decise di ignorare le indulgenze: e, infatti, di esse non si parla in nessuno dei sedici documenti ufficiali approvati dall’Assemblea. Un silenzio che, di fatto, rafforzò chi, nel mondo biblico e teologico, contrastava teoria e prassi delle indulgenze e che, comunque, non incoraggiava a mantenerle. La costituzione sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium, proprio il “luogo” appropriato per parlare delle indulgenze, le ignora. Un messaggio importante!
L’intervento di Paolo VI
Nell’immediato post-Concilio, in settori tradizionalisti crebbero lamentele e il disagio per il fatto che il Vaticano II aveva taciuto sulle indulgenze. Dunque, essi dissero: “sono sempre in vigore!”. Per risolvere la questione, senza nessuna consultazione ufficiale con l’episcopato mondiale, il primo gennaio del 1967 Paolo VI emanò la costituzione apostolica Indulgentiarum doctrina, ancora una volta precisando il senso di indulgenza, che è “la remissione davanti a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per l’intervento della Chiesa”.
Stupisce ancora oggi che nel suo documento egli non abbia nemmeno citato la discussione, articolata, del Vaticano II, sul tema e che abbia taciuto sulle critiche di Lutero e sulle risposte, in merito, del Concilio di Trento. Queste obiettive omissioni rafforzano l’opinione di quanti ritengono che papa Montini abbia tentato di bypassare il Vaticano II, evitando di interrogarsi sulle ragioni sostanziali del silenzio, non casuale, della Sacrosanctum Concilium sul tema controverso.
In sostanza Paolo VI conferma la dottrina “tradizionale” sulle indulgenze, anche se modifica un punto non secondario della prassi. Afferma infatti: “L’indulgenza parziale d’ora in poi sarà indicata solo con le parole ‘indulgenza parziale’, senza alcuna determinazione di giorni o di anni”. E però ribadisce che le indulgenze sono “applicabili” ai defunti. Per capire questa precisazione, occorre ricordare che le indulgenze “parziali”, di norma, stabilivano la quantità temporale dell’indulgenza: ad esempio, “sette anni e sette quarantene”. Il che voleva dire, se l’indulgenza era applicata ai defunti ritenuti ancora sofferenti in Purgatorio, che l’anima purgante, grazie alla mediazione della Chiesa, riceveva da Dio uno “sconto” di un tempo, nell’Aldilà, equivalente a sette anni e sette quarantene sulla terra. Questo computo – biblicamente e teologicamente assurdo, eppure pratica corrente per secoli nella Chiesa cattolica! – mercificava e pretendeva di controllare la libertà di Dio e la Sua grazia!
L’accordo di Augsburg
Sia Paolo VI che Giovanni Paolo II, hanno ribadito la concessione di indulgenze in occasione di Anni santi “ordinari” (1975 e 2000) e “straordinari” (1983). Ma la pratica delle indulgenze è entrata in contraddizione con l’accordo su punti-chiave della dottrina della giustificazione firmato ad Augsburg il 31 ottobre 1999 dalla Chiesa cattolica e dalla Federazione luterana mondiale. Esse, infatti, implicitamente, erano messe “fuori corso” dalla importantissima convergenza teologica su un punto che cinque secoli prima aveva irrimediabilmente contrapposto Riforma e Controriforma.
Anche papa Francesco ha toccato la questione nella bolla Misericordiae vultus, con la quale nel 2015 ha proclamato “L’anno della misericordia”. In essa egli precisava che l’indulgenza non è un pareggiare i conti dei peccati, ma piuttosto è il cancellare la “impronta negativa” che essi hanno lasciato nei comportamenti e nei pensieri del credente, sulla cui intera vita si estende il perdono di Dio. Papa Bergoglio parlava di indulgenza, al singolare; ma il recente decreto ufficiale della Penitenziaria Apostolica parla di indulgenze, al plurale, con ciò collegandosi a una visione pre-conciliare e pre-Augsburg del tema. Siamo ben lontani da papa Francesco, che a Lund (Svezia) per l’avvio delle celebrazioni dei cinquecento anni dalla rottura con Lutero, il 31 ottobre 2016 ringraziò Dio “per i doni portati alla Chiesa dalla Riforma”.
L’indulgenza per la pandemia
La preghiera e la benedizione Urbi et Orbi di papa Francesco il 27 marzo a S.Pietro e poi durante la Messa di Pasqua, trasmessi in mondovisione, sono stati momenti di forte intensità spirituale in un momento così difficile per tutta l’umanità. Essi sono stati molto partecipati e vissuti intensamente. L’ ascolto delle parole del papa è andato ben al di là dei cattolici, ha toccato anche tanti uomini e donne in ricerca di parole di serenità ed ha coinvolto cristiani ortodossi , anglicani , luterani , riformati , pentecostali….. E’ stato un momento di comunione particolare della intera Ekumene, celebrando spiritualmente insieme, seppure fisicamente distanti, l’annuncio decisivo per tutte le Chiese: “Cristo è veramente risorto”. Ci rammarichiamo però che questo eccezionale convenire del mondo cristiano sia stato indebolito dalla riproposizione di un tema ecumenicamente divisivo, quello delle indulgenze, che va superato perché teologicamente deviante rispetto al messaggio evangelico ed ora ben poco condiviso o comprensibile da una larga parte del Popolo di Dio. E poi ci sembra che sia ora venuta meno la consapevolezza di cosa siano le “pene del peccato”ed emerga invece la coscienza che è l’opera stessa di Gesù che rimette i peccati e ristabilisce la comunicazione filiale , amicale, rasserenante, beatificante con Dio.
Peccato e perdono. Alcuni interrogativi.
La stasi indotta dalla pandemia nella vita della Chiesa ci indica che non esiste forse un momento che si presti meglio di questo a un ripensamento su grandi parole e pratiche della fede, in particolare per quanto riguarda la riconciliazione, a cui è legata la questione delle indulgenze. Perché non riprendere una riflessione che vada aldilà dei riti e dell’elenco catechistico dei peccati individuali? Perché non valorizzare la preghiera comunitaria sul peccato e il perdono? Perché non tenere in maggiore considerazione il ruolo della coscienza individuale nelle riflessioni sull’eticità di situazioni date? Perché non mettere al primo posto il peccato sociale ed ambientale di cui ognuno è responsabile per la sua parte, piccola o grande, e che poi ricade su tutti? Lo stesso non si deve pensare per chi non contrasta l’idea e la pratica del conflitto e della guerra? E come dare seguito alla riconciliazione con comportamenti coerenti? E la cena eucaristica non può essere il principale luogo del perdono e della misericordia?
Roma, 26 aprile 2020 NOI SIAMO CHIESA
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