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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Delpini, Tremolada e Scola coinvolti in un brutto caso di abuso sessuale a Milano. Leggi una sintesi e, di seguito, il documento completo di Noi Siamo Chiesa in cui si propone una svolta nella gestione della questione della pedofilia del clero nel nostro Paese.

Delpini, Tremolada e Scola coinvolti nella scelte conseguenti ad una brutta storia da non dimenticare. “Noi Siamo Chiesa”, ancora una volta, propone una svolta radicale a Milano  e in Italia nella gestione della questione dei preti pedofili.

Il movimento “Noi Siamo Chiesa” è intervenuto più volte sulla questione della pedofilia del clero. Ora, nel documento allegato, affronta in modo dettagliato il caso di don Mauro Galli, presunto autore di una violenza nel dicembre 2011. Il testo racconta una vicenda che non è stata dimenticata per la tenacia e il coraggio della mamma della vittima, che ha documentato tutto nel libro “Chiesa perché mi fai male?”. Don Galli è stato condannato nel settembre del 2018, in primo grado, a sei anni e quattro mesi. Il prossimo processo d’appello potrebbe non essere celebrato a causa di una possibile prossima prescrizione. La cosiddetta “indagine previa”, prevista dalle norme canoniche,  è iniziata con ben tre anni di ritardo nel 2015. Nulla si sa, ad oggi,  circa continuazione o eventuale esito di questa procedura.

Uno degli aspetti importanti di questa storia, tra i tanti, è dato dal fatto che vi sono stati coinvolti, prima di assumere le loro attuali responsabilità episcopali,  l’attuale arcivescovo di Milano Mons. Mario Delpini, il vescovo di Brescia Mons. Pierantonio Tremolada e all’ inizio il Card. Angelo Scola. “Noi Siamo Chiesa”, per quanto emerge dalla convinta testimonianza pubblicata, constata che questi responsabili della Chiesa hanno seguito la tradizionale prassi antievangelica, come dovunque in Italia, di tutelare in primis  il prete presunto abusatore  e di considerare la vittima solo come un fastidio da sopportare (un parrocchiano di serie B). Durante il processo la diocesi ha cercato di tirarsi fuori, senza argomentazioni. Attualmente negli ambienti ecclesiastici nessuno vuole parlare della vicenda, c’è silenzio o imbarazzo nella speranza che il passare del tempo sia una soluzione.

“Noi Siamo Chiesa” propone una svolta. Non vuole troppo comodi e facili capri espiatori ma che si affronti la questione apertamente, con parresia, per una nuova testimonianza del modo di essere Chiesa . Il primo passo dovrebbe essere quello di nominare  una ristretta Commissione di indagine con persone estranee alla curia, composta anche da laici ( con presenza femminile paritetica),  con il compito non solo di fare chiarezza sulla vicenda di don Mauro Galli ( anche se ci pare che ci sia ancora  poco da chiarire!) ma, anche e  soprattutto, di accertare i fatti relativi a tutti gli episodi di pedofilia avvenuti nelle due diocesi negli ultimi trent’anni (ma anche oltre), mediante l’accesso agli archivi diocesani. Tutto ciò può avvenire, in forma del tutto eccezionale per l’emergenza della situazione,  al di fuori delle norme e dei processi canonici, fatti o non fatti,  ed anche in collaborazione con la magistratura. Il secondo passo sarebbe quello di permettere , in questo modo, alle diocesi di Milano e di Brescia di mettersi alla guida della Chiesa italiana in una vera e propria conversione circa il modo di agire nei confronti della pedofilia del clero, sulla scia di quanto hanno fatto molti episcopati europei nell’accertare i fatti, nel porre in essere atti solenni e collettivi di pentimento e nell’occuparsi delle vittime. L’istituzione in corso del   “Servizio tutela minori” nelle varie  diocesi serve per formare (soprattutto i seminaristi ad una sana visione della sessualità) e ad informare per il futuro ma non può comodamente distrarre dal fare i conti col passato. Auspichiamo che il clero non faccia finta di niente, aspettando che non se ne parli più. I tanti preti che  si occupano bene della pastorale e delle tante sofferenze presenti nella società (e nella Chiesa) ricordino che la loro credibilità sta anche  nel volere e nel sapere allontanare i cattivi pastori che compromettono la loro stessa credibilità. E’ dall’interno della Chiesa che deve nascere un movimento che favorisca atti di giustizia e che abbia lo scopo prioritario  di accompagnare e di aiutare, anche materialmente, le vittime.

Milano, 29 ottobre 2020

Basta silenzi ! Non si può tacere davanti ad una triste vicenda che deve vedere assunzione di responsabilità e dare vita ad una riflessione collettiva nelle diocesi di Milano e Brescia.

Questo nostro testo fa seguito ad una lunga serie di documenti con cui “Noi Siamo Chiesa” ha scritto sulla pedofilia del clero (si veda su www.noisiamochiesa.org). Esso non si ripete sulla questione generale ma pone l’accento su una vicenda  particolarmente significativa per presupposti, svolgimento e mancate necessarie prese di posizione e atti conseguenti.  Questa brutta storia è pubblica da tempo  ma ora è come  insabbiata e la guida della  diocesi di Milano si guarda bene dall’assumersi le sue responsabilità. Sono ormai numerosi anni che la stampa internazionale, documentaristica e filmografica, testimonia di dolorosissime vicende che riguardano preti pedofili. Esse creano sconcerto nell’opinione pubblica laica e cattolica e non si registrano i necessari cambiamenti nella prassi seguita dalla Chiesa Cattolica. Il cambio di rotta di Papa Francesco sul caso cileno fu clamoroso ma poi l’esito ne è apparso sfumato e talvolta contradditorio. La stampa nel nostro Paese affronta con difficoltà il tema, rari sono i servizi di denuncia. Le autorità statali (la magistratura) non è per niente agevolata anche grazie alle norme concordatarie. Grave è il comportamento delle autorità ecclesiastiche, nella loro generalità. Nella stampa cattolica fa unica eccezione, con continua attenzione al tema, l’agenzia ‘Adista’. Poco o nulla nel mondo dell’associazionismo cattolico. In altri paesi europei ed extraeuropei il cosiddetto ‘Popolo di Dio’ ha fatto sentire la sua voce, in primo luogo a sostegno delle vittime e poi in merito all’assunzione delle doverose  responsabilità. Come soggetto esterno all’universo cattolico agisce con efficacia la Rete “L’Abuso” con relativo sito informativo.

Il gesuita tedesco Hans Zollner, membro della Pontificia commissione per la tutela dei minori (istituita nel 2015 da Papa Francesco) e Presidente del Centre for Child Protection della Pontificia Università Gregoriana, in un’intervista ad AgenSir, l’agenzia dei vescovi, dichiarò a fine agosto 2018: “Troppi sacerdoti , tra il 4 e il 6 per cento, nell’arco di 50 anni (1950-2000), hanno agito contro il Vangelo e contro le leggi”. Zollner si riferiva agli scandali  sugli abusi nella Chiesa in Pennsylvania, tuttavia poi aggiunse: ”Sarebbe stupido pensare che in altri Paesi come l’Italia non sia accaduto lo stesso”. E nei giorni scorsi parlando a Bonn Zollner ha detto : “La Chiesa chiede ai singoli cattolici di confessare i propri peccati e di espiarli ma come istituzione perché non è riuscita a fare lo stesso?… molto spesso la leadership della chiesa reagisce solo se sotto pressione dall’esterno (dal mondo secolare)…. la Chiesa non è un mondo speciale, a sé stante, essa deve chiedere e pubblicare i nomi dei responsabili. Chi ha reso possibile gli abusi? Chi era responsabile? Chi ha impedito alle persone di agire in modo responsabile e di denunciare gli abusi?. Sono domande che devono avere risposte.”

 Il Sinodo in corso della Chiesa Cattolica tedesca ha messo al centro dei suoi lavori il tema degli abusi del clero, ha commissionato ad università indipendenti uno studio approfondito che ha scovato migliaia di casi a partire dagli anni ’40 del secolo scorso sino ai nostri giorni.

Queste considerazioni ci hanno portato ad affrontare il caso di Rozzano (MI), con una vicenda processuale che peraltro il prossimo anno rischia la prescrizione, e a farci promotori di un appello verso i vescovi  perché avviino uno studio per conoscere la quantità e la qualità  dei casi di abuso come hanno fatto  gli episcopati di altri paesi.  

 Un libro senza editore

Da pochi mesi è uscito il libro “Chiesa: perché mi fai male?” di Cristina Balestrini. E’ uno scritto singolare , anzitutto perché non ha alcun editore. Non è in distribuzione e si può acquistare solo mediante Amazon (ma anche passando attraverso il sito  www.retelabuso.org). Poi è particolare  perché contiene la testimonianza appassionata della mamma di un ragazzo abusato da un prete che scrive col cuore in mano e con lo sdegno di chi si è sentita tradita dalla Chiesa in cui credeva e in cui crede. E dice tutto con lo stile di chi, a volte,  non ha   dimestichezza con  i modi della scrittura. Cristina ci ha subito ricordato Ilaria Cucchi per la sua grinta, la sua  tenacia e la sua  passione. Vale la pena di riassumere la vicenda, come puntualmente descritta nel citato testo, che peraltro è nota agli addetti ai lavori ma poco o per niente al grande pubblico.

I primi cinque anni

Un prete, don Mauro Galli,  ordinato sei mesi prima, nel dicembre del 2011, usando della sua autorità, ha violentato, come accertato nel processo in primo grado,  un ragazzo di 15 anni che frequentava l’oratorio. Si tratta della parrocchia di Rozzano Milanese in cui la famiglia di questo ragazzo, molto cattolica, era molto ben inserita. Il fatto veniva subito denunciato al parroco che, consapevole della sua gravità,  informava i superiori competenti.

Mons. Mario Delpini, allora vicario episcopale di zona,  trasferiva il prete a Legnano con il compito della pastorale giovanile in un altro oratorio, come emerge dal racconto. Nel frattempo il giovane abusato aveva pesanti conseguenze psicologiche  per quanto accaduto. Quando i genitori, in presenza dei  disturbi del figlio,  hanno saputo che il prete, don Mauro Galli, era stato incaricato di  nuovi compiti sempre a contatto con ragazzi,  hanno iniziato a cercare di interloquire con chi aveva deciso il trasferimento ed aveva autorità in merito in diocesi, Mons. Pierantonio Tremolada e Mons. Mario Delpini. In due colloqui (agosto  e settembre 2012) le risposte sono state evasive,  minimizzatrici, chiedendo tempo ed escludendo naturalmente alcun intervento in sede civile. L’  ”indagine previa” sul fatto, prevista dalle norme canoniche e da svolgere immediatamente dopo le prime notizie, iniziava solo nel gennaio 2015 tre anni dopo e successivamente alla presentazione della denuncia penale alla Procura della Repubblica (luglio 2014) da parte dei genitori. Mamma Cristina è stata ascoltata nel gennaio 2016 , poi l’iter ecclesiastico  è stato affidato al Tribunale Ecclesiastico Lombardo e, ad oggi, nessun esito è noto. La denuncia alla magistratura fu il frutto amaro della vana attesa di un fermo intervento di riparazione e del conseguente  pentimento per non essersi immediatamente attivati. Nel marzo 2015  e successivamente vi sono stati una serie di contatti col Card. Scola, fortemente contestato dalla famiglia per il costante scarico di ogni responsabilità sui suoi collaboratori. La mamma allora si è rivolta direttamente a papa Francesco con lettere del febbraio e maggio 2016 che non hanno ottenuto risposta. A seguito di altre circostanziate lettere  scritte al Vaticano ha ricevuto  solo due risposte, una dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei minori (“non può intervenire su casi specifici”) e un’altra con “belle parole” dalla Nunziatura apostolica. Interessante è la conclusione dei rapporti con Scola. Nell’aprile del 2017 la famiglia gli scrive scandalizzata perché l’avvocato della Curia di Milano, Mario Zanchetti, ha preso le difese dell’imputato e ha chiesto  al GUP di archiviare il caso  “usando la menzogna nel descrivere i fatti, cercando di screditare il figlio”. Il card. Scola ha allora scritto alla famiglia dicendo che Zanchetti difendeva don Galli come professionista con un rapporto diretto con l’imputato a prescindere dal fatto di essere egli  un noto avvocato della Curia.  Successivamente Scola esce dalla vicenda perché sarà sostituito, come arcivescovo,  da Mons. Delpini nel luglio 2017. La famiglia del ragazzo abusato mai si sarebbe aspettata questa nomina visto il comportamento assunto circa la vicenda di don Galli ormai già ben nota.

La Rete L’Abuso e il processo

Nel giugno 2017 mamma Cristina entra in  rapporto con Francesco Zanardi e la “Rete l’Abuso” che da tempo si è fatta portavoce con tenacia e rigore documentativo dei casi di pedofilia dei preti nel nostro paese. Ciò permette ai fatti di circolare online e di mettere in mora quanti, giornalisti ed ecclesiastici, non volevano e non vogliono occuparsi con serietà della vicenda. Per i primi cinque anni la famiglia è andata avanti da sola  con l’aiuto di amici e anche di alcuni membri del clero; ciò testimonia della sua indipendenza e della sua determinazione nell’iniziativa a tutela del figlio e “perché, il più possibile, non si ripeta con altri giovani”. Questa Rete, che ha fondato col tempo un rapporto solido tra Zanardi e la Ballestrini,  è diventata un supporto fondamentale per gli eventi successivi che riguardano ormai il processo penale davanti alla quinta sezione penale del Tribunale di Milano. Esso è stato preceduto da una istruttoria, come d’uso, con perizie e testimoni. Si è posto il problema se decidere di costituirsi parte civile. La famiglia, dopo molte esitazioni, ha deciso di non costituirsi dopo aver concordato con l’imputato un indennizzo  di circa 100.000 euro. Scelta obbligata per la famiglia a fronte delle ingenti spese legali, per perizie e soprattutto cure specifiche per il figlio. Durante il processo l’imputato, a domanda del suo difensore, ha detto che questa somma veniva da risorse di famiglia. Tutti hanno capito che, in questo modo, voleva indicare che non si trattava di soldi ricevuti  dalla Curia ma a questo proposito i sospetti rimangono. Nella prima udienza del processo, l’Avv.  Zanchetti ha chiesto  il proscioglimento e  durante l’istruttoria la sua linea è stata quella di denigrare la vittima. La prima cosa che ha meravigliato tutti, a partire dal pubblico ministero, è perché allora l’avvocato abbia proposto alla famiglia  il ritiro della costituzione di parte civile se la sua  linea era quella di sostenere l’innocenza dell’imputato e non di cercare, secondo logica e prassi,  di ridurre la pesantezza della condanna.

La condanna

Il processo, dopo un intervento del pubblico ministero fortemente colpevolista, si è concluso  nel settembre 2018 con la condanna di don Galli a sei anni e quattro mesi di carcere. La sentenza non è apparsa scontata alla Balestrini che temeva  da un sistema che pensava la sovrastasse. Nel frattempo molte informazioni, spesso a senso unico, uscivano sulla stampa ma Gianluigi Nuzzi, nella sua trasmissione “Quarto grado” su Rete 4, proponeva più volte servizi ben documentati sul caso. Intanto la vittima, Alessandro, superava le sue precedenti difficoltà ad esporsi direttamente con nome e cognome, partecipava a Roma,  Venezia e poi a Berlino ad incontri delle vittime organizzate dalla ECA (Ending Clerical Abuse), coordinamento mondiale delle associazioni dei survivors (sopravvissuti). Davanti a tanti altri  nella sua stessa condizione  iniziava quindi a sentirsi “un sopravvissuto” (non più solo una vittima) che doveva collaborare ad un’azione comune. La Curia dopo la prima udienza del 17 dicembre 2017 emetteva subito  un comunicato per dare la linea a clero e fedeli. Il testo è ancora presente sul sito della diocesi e, quindi, fino a prova contraria, costituisce la posizione ufficiale della diocesi, confermata in un successivo testo del 23 marzo. In questo testo si  sostiene che non ci fu vera denuncia dell’abuso, quindi nessuna copertura  di don Galli e che la rilevanza penale apparve solo nel 2014 con il ricorso  alla magistratura. “Quindi – dice il comunicato- né monsignor Mario Delpini, né monsignor Pierantonio Tremolada, né il cardinale Angelo Scola e altri responsabili dell’Arcidiocesi di Milano hanno coperto o insabbiato alcun reato”. La reazione della famiglia è stata indignata ma senza che la stampa riportasse il  testo di contestazione dei fatti come descritti dal comunicato. Dopo la sentenza l’ufficio stampa della Curia  ha espresso vicinanza al ragazzo coinvolto e alla sua famiglia mentre la diocesi “resta in attesa dell’esito del processo canonico affidato alla responsabilità del Tribunale ecclesiastico” ma tale esito non c’è stato o non è conosciuto , dopo ben nove anni dal fatto.  In seguito, dopo la pubblicazione del libro, la famiglia Battaglia/Balestrini ha scritto una lettera a Delpini  (vedi Adista n.20 del 1 giugno 2019) chiedendo le sue dimissioni da arcivescovo, ricordando le sue dirette responsabilità (emerse anche al processo),  l’inconciliabilità con la linea di “tolleranza zero” di papa Francesco e la manifesta incompatibilità con il  ruolo affidato dal Motu Proprio “Vos estis lux mundi”  ai vescovi metropoliti di intervenire su vescovi della loro regione accusati di avere insabbiato casi di pedofilia.

“Chiesa, perché mi fai male?”

Questa la sintesi dei fatti come descritti nel libro con un’abbondanza di documentazione (lettere, testimonianze, articoli,  date, nomi ecc..) che deve essere difficile  confutare. Il racconto è intriso, in modo a volte ossessivo, da tante considerazioni della Balestrini che si possono ricondurre a due: da una parte   una ripetuta “gridata” professione di fede nella Chiesa e nel Vangelo  (praticata in modo piuttosto tradizionalista),  dall’altra una denuncia, fortemente indignata e decisa, nei confronti degli uomini di Chiesa che ha incontrato (e nello stesso tempo l’amicizia fraterna con altri che l’hanno supportata ed aiutata in tutti i modi) appellandosi agli interventi di papa Francesco. “Mi ha delusa la mancanza di umanità della diocesi” ha scritto e poi cerca di spiegare come si può “continuare a credere nella Chiesa nonostante la Chiesa”.  Il vissuto della Balestrini , in questa lacerante contraddizione, si manifesta parlando di  tutte le sue sofferenze, del suo  grande attaccamento alla famiglia  e della  sua volontà di collaborare a che le cose cambino radicalmente nella Chiesa e nella società . Il libro palesa il tenace e naturale legame tra madre e figlio anche se esso  traspare in filigrana perché Cristina ha il pudore di tacere o di velare il percorso esistenziale del figlio Alessandro dopo quanto accaduto.  Ci piace anche dire che la Balestrini e la sua famiglia si sono trovati soli in certi momenti ma poi hanno anche trovato un circuito di amici e di amiche che hanno partecipato fino in fondo alle loro vicende. Cristina difatti si preoccupa di citarli uno ad uno,  pubblicando anche alcune delle loro testimonianze in calce al libro. Dopo il contatto con la Rete l’Abuso il loro circuito si è esteso  a tante solidarietà e amicizie acquisite online.

Alcune ipotesi per non fare finta di niente

I fatti sono gravi, dietro ad essi si vede in trasparenza la vecchia logica delle autorità ecclesiastiche  del non voler danneggiare la reputazione della Chiesa, della ricerca di tutelare oltre misura il presunto abusatore, del tollerare che a pagare sia il più debole, delle belle parole,  del pretendere fiducia anche al di là del buonsenso, facendo leva su tante complicità. Pensiamo che  non si debba fare finta di niente a partire dal clero ambrosiano e bresciano  che, a quanto ci risulta è restio, in gran parte, a parlare di questa vicenda che forse conosce poco o nulla. Si è infastiditi da essa perché turba l’ordinaria amministrazione della vita ecclesiale e non è considerata troppo importante perché si tratta solo di “responsabilità dei vertici” sottovalutando il discredito che fatti di questo genere fanno ricadere anche sul clero del tutto incolpevole.  Delpini e Tremolada, in primis, dovrebbero mettersi davanti a uno specchio, mettersi una mano sulla coscienza e decidere se devono continuare a voltarsi dall’altra parte.  Questo libro l’hanno letto? Lo vogliono leggere? Sanno tutto quello che c’è scritto? Cosa possono obiettare nel merito? Intendono assumersi la responsabilità di una mancata dovuta iniziativa e compiere un passo indietro proprio in osservanza della nuova linea assunta da Papa Francesco ? In Vaticano ci sarà bene qualcuno che si sarà chiesto o si chiederà se il papa non è stato informato o mal consigliato nel fare queste due nomine dopo che la vicenda era già ben nota. E se il papa fosse stato l’unico a decidere sappiamo che egli  ha saputo  in altra occasione (in Cile), davanti  a ragionate contestazioni, cambiare posizione.  Ma non vogliamo che ogni responsabilità si scarichi  solo sulle spalle dei due  vescovi  che, per altri versi, godono di rispetto e che si sono comportati , sbagliando gravemente, secondo la tradizionale  prassi ecclesiastica ignorando la “tolleranza zero”. Il sistema è sbagliato. Lo è a Milano, come in tutta  Italia dove non si è fatto e non si fa quanto invece è stato fatto in altri paesi coinvolti in questi scandali  e cioè rigorose indagini condotte da organi indipendenti, celebrazioni penitenziali, risarcimento alle vittime, accettazione della giurisdizione statuale  senza recriminazioni e senza nascondere i fatti, dando invece  sempre la priorità ai silenzi e alle nebbie dei processi canonici. La vicenda di don Galli rappresenta un caso da  manuale, delle  coperture,  degli  insabbiamenti e degli  imbrogli di vario tipo  fatti dai vertici ecclesiastici un po’ dovunque  nei casi , purtroppo  non infrequenti anche in Italia , di abusi da parte del clero. Bugie, ricorso alla prescrizione nei processi, silenzi con la magistratura, richiesta  alle vittime di sopportare tacendo, riciclo del prete colpevole spesso sempre con ruoli a contatto coi giovani  ecc..

Proponiamo una svolta

Ci sentiamo in dovere di chiedere e di proporre una svolta. Subito. Le diocesi di Milano e di Brescia, “usino”  questa vicenda per indicare alla CEI la direzione di marcia. Una iniziativa di questo genere infatti potrebbe contribuire ad indirizzare su una strada migliore, ben diversa da quella del passato,  la politica della Cei sulla questione della pedofilia del clero nel nostro paese.  Concretamente, si nomini una ristretta Commissione di indagine con persone estranee alla curia composta di laici ( con presenza femminile paritetica)  con il compito non solo di fare chiarezza sulla vicenda di don Mauro Galli (ma pare ci sia ancora  poco da chiarire) ma anche e  soprattutto di accertare i fatti relativi a tutti gli episodi di pedofilia avvenuti nelle due diocesi degli ultimi trent’anni (ma anche oltre) avendo accesso agli archivi diocesani. Tutto ciò può avvenire al di fuori dei processi canonici fatti o non fatti  ed anche in collaborazione con la magistratura. Il Motu ProprioVos estis lux mundi” dello scorso dicembre dovrebbe facilitare le indagini.    Si tratterebbe di una scelta a latere delle norme in vigore e con esse non incompatibile, in presenza di una situazione eccezionale e nuova. Ciò è stato fatto recentemente nella Chiesa tedesca e in quella francese (ed in altre). Questo intervento prescinde dai compiti previsti dalle strutture  indicate dalle Linee guida della CEI (Servizi diocesani per la tutela dei minori) che hanno compiti solo di informazione e di formazione. La Commissione diocesana milanese è composta da dieci preti, dall’Avv. Zanchetti  (!!) e da due donne. Ma non esiste il buon senso?  Non sarebbe il caso di rifarla per darle un po’ di credibilità? Di sicuro non basta  la recente nomina di Teresa Pomodoro, già Presidente del Tribunale di Milano, come referente per la tutela dei minori.

Finire col silenzio in diocesi

Infine noi riteniamo  che in diocesi, anche e soprattutto tra il clero,  si debba parlare  di queste questioni, si debba ragionare  su come si può contribuire a un ripensamento collettivo che porti a dei momenti di pentimento e di riflessione sul passato e di un nuovo percorso per il futuro. I preti chiedano che gli episodi di pedofilia  non siano più nascosti, ne va di mezzo anche la loro credibilità presso l’opinione cristiana. I due vescovi non si sentano menomati se riconosceranno i loro passi falsi magari per contribuire  essi stessi, con passi conseguenti ad avviare il cambiamento, a proporre in modo pubblico, trasparente, comunitario come andare avanti. Abbiamo letto il passo di Matteo (18, 15-17) sulla correzione fraterna, ad essa siamo impegnati nei confronti dei nostri vescovi (e dei nostri preti). Basta furbizie, prudenze ecclesiastiche, basta cristiani di serie A da tutelare e cristiani di serie B da tenere tranquilli. Lo Spirito soffia anche al di fuori delle canoniche.

Milano, 29 ottobre 2020                 NOI SIAMO CHIESA

 

 

 

 


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