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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Dieci anni di “Noi Siamo Chiesa” : da dove veniamo, dove siamo, dove andiamo

Convegno

“Il futuro possibile per una Chiesa del
Concilio”

Milano, 11 febbraio 2006

 

Dieci anni
di “Noi Siamo Chiesa” : da dove veniamo, dove siamo, dove andiamo

                                                                                                          (a cura di Vittorio Bellavite)

Un po’ di
storia e di cronaca

 

            Il movimento “Noi Siamo Chiesa”
(NSC) è nato veramente dal basso ed in modo abbastanza casuale. Nella
primavera del ’95 di fronte ad una situazione dolorosa che creava problemi a
tutta la Chiesa
austriaca, quella di un poveruomo nominato Cardinale di Vienna (come
successore del Card. Koenig, uno dei giganti progressisti del Vaticano II ed
anche uno sponsor dell’elezione del Card. Wojtyla), un insegnante di
religione di Innsbruck ed altri scrissero in modo estemporaneo  un “Appello al popolo di Dio” e lo
sottoposero alla firma degli ambienti del mondo cattolico locale. Il consenso
fu ben superiore al previsto, si estese rapidamente ed altrettanto facili e
numerose furono le firme in Germania. I punti dell’Appello sono ben noti e
sono riconducibili da una parte alla richiesta di maggiore democrazia e
pluralismo nella Chiesa e dall’altra al rovesciamento delle posizioni
ufficiali per quanto riguarda la condizione sessuale e famigliare soprattutto
in relazione ai ruoli e ai ministeri nella Chiesa (celibato opzionale dei
presbiteri, omosessuali, condizione della donna ecc…). Il consenso a valanga
non si estese a tutta Europa, dove l’Appello fu ovunque ripreso, sia per
condizioni oggettivamente diverse sia perché la gerarchia cattolica lanciò
subito i suoi messaggi indicando questa come una iniziativa da ostacolare. In
Italia l’Appello ha la data dell’epifania del 1996 e raccolse nei mesi
seguenti circa 35.000 firme. Al  testo
austriaco fu aggiunto un paragrafo per chiedere un maggiore impegno della
Chiesa a favore della pace, della giustizia e della salvaguardia del creato.
L’Appello si collocava pienamente all’interno della Chiesa cattolica e,
concentrandosi  su questioni di tipo
pastorale e chiedendo un maggiore riferimento alla Parola di Dio, non era
accusabile di eresia ma contestava culture e prassi di tipo ecclesiastico.

 

Un Appello inascoltato

 

            L’Appello è rimasto del tutto
inascoltato da parte del Papa, nessun punto è stato accolto e neppure preso
in considerazione. Nell’ottobre del ’97 circa cinquecento esponenti dei
firmatari  dell’Appello, provenienti da
tutta Europa, si sono incontrati a Roma ed hanno materialmente consegnato al
portone di bronzo del Vaticano i due milioni e mezzo di firme raccolte. Il
fatto, assolutamente unico, ha avuto eco sui media internazionali mentre è
passato del tutto  sotto silenzio in
Italia. Solo in Austria l’Appello ha suscitato qualcosa di importante;
nell’ottobre del ’98 a Salisburgo ci fu l’incontro “Dialogo per l’Austria”,
assemblea ecclesiale con la partecipazione di tutte le realtà della Chiesa ed
un ruolo importante di Wir Sind Kirke (Noi Siamo Chiesa). Molte
sollecitazioni vi furono accolte a larga maggioranza  come quella sul diaconato femminile,
l’ordinazione di uomini sposati (viri probati),
la libera responsabilità delle coppie nella regolamentazione delle nascite ed
il coinvolgimento delle chiese locali nella nomina dei vescovi. Il mese
successivo  Giovanni Paolo II convocò i
vescovi austriaci a Roma e chiuse ogni spazio di discussione con parole tassative.
Il messaggio fu chiaro per tutti ed il dialogo sui punti dell’Appello fu
relegato a realtà locali; si creò allora un rapporto proficuo, quasi un
intreccio, con tutte le aree “conciliari” della Chiesa ma senza alcuna
comunicazione con l’alto della gerarchia piramidale della Chiesa.

Che fare ?

 

            Ci
fu tra i firmatari chi pensò che
bisognava aspettare un nuovo pontificato (che sembrava prossimo) ritornando
all’ordinaria amministrazione della vita ecclesiale, chi si allontanò avendo
perso speranza nella riforma della Chiesa rifugiandosi in una fede
nell’Evangelo di tipo individuale o di piccola comunità. Ma intanto era nato
nel novembre del ’96 l’International Movement We Are Church-IMWAC, frutto non
programmato dell’Appello dal popolo di Dio, che ha, in questi anni, con
differente efficacia secondo i periodi, coordinato i movimenti nazionali
presenti in tutta Europa e negli USA che si sono ispirati all’Appello e che
ha organizzato incontri internazionali nel ’99 e nel ’01 in occasione dei
Sinodi dei vescovi, oltre che prendere posizione su molte questioni
(ultimamente con un documento 
importante sull’Eucaristia 
scritto per il Sinodo dei vescovi dello scorso ottobre ma che non vi è
stato  né capito né discusso).

 

“Noi Siamo Chiesa” in
Italia

 

            Nel
nostro paese il movimento “Noi Siamo Chiesa”, che è sempre rimasto di modeste
dimensioni, si è trovato di fronte ad un atteggiamento della gerarchia
cattolica fondato sul silenzio, su nessun contatto, su nessuna risposta, su
nessuna polemica esplicita ma anche su un’ostilità sorda fatta di passaparola
e soprattutto sull’indicazione a tutti i media cattolici di ignorare la
nostra esistenza. Ogni presa di posizione contro di noi ci avrebbe fatto
conoscere e quindi, a tutt’oggi, gran parte del popolo cristiano ignora la
nostra esistenza. Il dialogo lo si può fare e lo si  fa, a volte, ma con i non credenti, con le
altre religioni, con gli evangelici. Noi dovremmo stare zitti per rispettare
la voce di Dio che ci viene comunicata dalla 
Gerarchia (o al massimo dovremmo brontolare in qualche sacrestia o in
qualche colloquio individuale). Anche nella diocesi di Milano dove si sono
svolte la maggior parte delle nostre iniziative le cose sono andate così, né
è sfuggito a questa logica ecclesiastica, con nostra grande amarezza e
sorpresa, lo stesso Card. Martini, alle 
cui principali linee pastorali ci siamo sempre peraltro dichiarati
vicini.

 

Due interrogativi

 

            Allora che fare quì in questi
anni- ci siamo chiesti- dopo aver assorbito le frustrazioni di una tale
situazione, dopo tanti dubbi e dopo aver scontato che eravamo in pochi ? Due
furono gli interrogativi a cui abbiamo dato una risposta positiva, in modo
non sempre ben consapevole, e che sono stati alla base di una continuità
difficile.

            Le nostre posizioni, nel loro
piccolo e mutatis mutandis, non sono
parte di un filone sempre esistito nella storia recente della Chiesa
italiana, che ha contraddetto il potere ecclesiastico in condizioni ben più
difficili delle nostre e con ben maggiore autorità dottrinale e pastorale ?
E’ il filone che viene da lontano, quello del 
Rosmini (nelle”Cinque piaghe della Chiesa”), di Ernesto Buonaiuti, di
molti modernisti, dei popolari antifascisti e poi di Primo Mazzolari, di
Mario Rossi, di  Lorenzo Milani, di
Ernesto Balducci e di Davide Turoldo , di Umberto Vivarelli, di Giuseppe
Dossetti, di Giuseppe Lazzati,  di
Mario Cuminetti, di Tonino Bello, di Padre Calati, di Aldo Ellena, di Leandro
Rossi, di Martino Morganti, di Michele Do per 
citare solo  alcuni dei nostri
“profeti” che non sono più con noi.

E,
fuori d’Italia, B. Haring, Camara, Romero ed i grandi teologhi del Vaticano
II.

            E perché chiedere alla Gerarchia e
sperare nei vescovi quando si tratta invece di continuare a seminare,
testimoniare e, nel nostro piccolo, cercare di dare speranza nell’Evangelo a
quanti, nella Chiesa e fuori, non possono o non riescono a vederlo perché
esso è oscurato dal vertice ecclesiastico enfatizzato dai media ?

Del
resto i cristiani “conciliari” sono sì in una fase di ripiegamento o di
silenzio e in una situazione di frammentazione  (che vorremmo contribuire a superare anche
con questo incontro) ma ci sono e non pochi ed  attivi nel volontariato, nelle associazioni
pacifiste, nel tessuto diffuso del mondo cattolico, ben lontani dalle logiche
curiali e dalla precettistica canonica, in quasi ogni parrocchia ed in ogni
ordine religioso, indipendenti nello spirito e nella prassi. Lo testimoniano
alcune pubblicazioni, gli incontri di riflessione biblica, le lettere
collettive ai vescovi, riviste non autorizzate, quanti erano presenti all’ultima
settimana sociale di Bologna, gli stessi che ci hanno scritto in occasione di
questo decennale e la nostra stessa presenza in questa sede per cui
ringraziamo vivamente i Padri serviti. C’è anche in Italia una Chiesa dal
basso che noi conosciamo e che prenderà, prima o poi, la parola senza
timidezza.

 

Alcuni punti fermi : il
DNA di “Noi Siamo Chiesa”

 

            Avendo
alcuni di noi data risposta positiva ai precedenti due interrogativi, il
nostro movimento ha continuato con tenacia e si è definito giorno per giorno,
godendo anche di una piccola rendita di posizione, quella di essere l’unico
movimento, anche se modesto e poco diffuso sul territorio, che, in questi
anni, ogni volta che era necessario ha detto che il re era nudo. Ora in sede
di bilanci  è giusto descrivere con
chiarezza quale è il nostro DNA.

 

1 ) Una
Chiesa altra

”Noi
Siamo Chiesa” è un movimento interno alla Chiesa cattolica e, tanto per
straripeterci, non pensa ad un’altra Chiesa ma ad una Chiesa altra. E’, però,
su una posizione di confine ma sempre interna e quindi i suoi simpatizzanti
sono partecipi e coinvolti nei problemi della Chiesa e soffrono delle sue
deficienze. Sanno anche vedere i segni di speranza e si propongono di agire
per migliorarla e non solo per criticarla. Da questo punto di vista  la collocazione di “Noi Siamo chiesa” non
coincide con quella di una  parte dei
membri delle Comunità di base (CDB) che sono piuttosto disattenti ad alcune
questioni ecclesiali. Ma con tutti i partecipanti alle CDB ci sono e ci sono
sempre stati rapporti fraterni e di intreccio reciproco e da parte di NSC
l’uso di molta della  loro elaborazione
teologica e pastorale.

 

2) Il
Concilio

”Noi
Siamo chiesa” è un movimento che pensa che il Concilio Vaticano II sia stato
un momento di svolta profonda (se non di vera e propria  rottura) nella storia della Chiesa e che lo
spirito del Concilio dovrebbe servire per andare oltre certe mediazioni o
certi silenzi che vi sono stati e per affrontare le situazioni nuove. Per essere
sintetici, noi pensiamo alla nuova centralità riconosciuta alla Parola di Dio
rispetto  alla tradizione ed alle
istituzioni, al ruolo comunitario e democratico del popolo di Dio nella
Chiesa, alla libertà religiosa e di coscienza, ad un  movimento ecumenico e ad un dialogo
interreligioso “dal basso”, a una teologia morale concentrata sui problemi
sociali e fondata sulla responsabilità per quanto riguarda il sesso, la
coppia e la famiglia.

Questa
ottica e lo spirito del Concilio sono alla base dei punti dell’Appello dal
popolo di Dio e di tanti nostri documenti ed iniziative specifiche ( per
esempio quelle sulla nomina dei vescovi, sulla penitenza, su fede e persone
omosessuali, sulla predicazione, sull’Eucaristia e quella del prossimo 18
marzo prossima sull’ascolto nella Chiesa).

Andare
oltre il Concilio significa per NSC una posizione diversa e molto critica
della situazione attuale per quanto riguarda 
la presenza della donna nella Chiesa e nelle comunità cristiane e non
solo per quanto riguarda i ministeri. Su questo aspetto anche NSC deve aumentare
la sua ricerca nella stessa direzione di quanto fanno altre sezioni nazionali
di IMWAC.

 

3) Il
Concordato

NSC
ripropone con forza una linea anticoncordataria che viene da lontano e che è
sempre stata presente in una certa area del cattolicesimo democratico. Le sue
motivazioni sono radicate nel Vangelo e si richiamano al cap. 76 della Gaudium et Spes ; essa  propone il “gratis accepistis, gratis date” (Mt 18,8) che, pure, ha percorso
per secoli la storia della Chiesa (come testimonia la ricerca di Luisito
Bianchi “Monologo partigiano sulla gratuità”). Di conseguenza siamo contro il
sistema dell’ottopermille  che
contestiamo in sé, oltre che per le 
modalità della  sua gestione che
ogni anno denunciamo. La nostra laicità nel rapporto Chiesa/istituzioni è
correlata a questa linea. Noi proponiamo che questa nostra Chiesa da una
parte faccia un passo indietro  nel
rapporto col potere e con le istituzioni –e non molti passi avanti come sta
facendo in questo periodo-, dall’altra abbandoni parole di falsa neutralità
dei suoi vertici. Sono i problemi di cui discutiamo oggi, sono gli errori di
oggi che stanno facendo nascere, come non era successo in passato, un
anticlericalismo di massa. Di questa nostra laicità è pure conseguenza la
nostra aspra critica, ripetutamente da noi proposta anche in sede europea,
alla linea di Giovanni Paolo II per ottenere l’inserimento del riferimento
alle “radici cristiane” nella Costituzione europea.

 

4) Pace, giustizia e
salvaguardia del creato

NSC
ha aggiunto, come si è detto,  al testo
dell’Appello scritto dagli austriaci un ultimo punto che fa riferimento
all’impegno per “la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato” perché
ritiene che  la proposta di riforma
della Chiesa per essere credibile  non
può essere scissa, in chi la propone, da una collocazione chiara e militante
sui grandi problemi dell’umanità di oggi (rapporto Nord/Sud, pace, disarmo,
AIDS….) che ci mette in sintonia diretta con la teologia della liberazione.
Non è questo il nostro impegno principale ma abbiamo anche la necessità di
testimoniare questo rapporto–“cambiare la Chiesa-cambiare
la società”- anche in relazione alle altre sezioni del movimento
internazionale che non tutte hanno una sensibilità sufficiente. Per questo
abbiamo partecipato come NSC ai forum sociali mondiali, alle marce per la
pace Perugia-Assisi ed a quelle contro la guerra preventiva in Iraq ed infine
abbiamo organizzato direttamente seminari ai forum sociali europei di
Firenze, Parigi e Londra (e ugualmente saremo presenti a quello di Atene, in
maggio). Una nostra assenza a queste scadenze ci avrebbe di fatto collocato
in una logica troppo ecclesiocentrica e fatto perdere i contatti coi credenti
che fanno della questione della pace fondata sulla giustizia una
discriminante della loro fede. A NSC non si può obiettare di essere
espressione di un movimento critico del cristianesimo dell’occidente
disattento ai grandi problemi del mondo.

 

5) Il
movimento internazionale

NSC
ha sempre dato grande importanza all’essere ed al sentirsi parte di un
movimento internazionale, per quanto esso sia debole e poco diretto. La Chiesa cattolica si è
venuta caratterizzando, soprattutto negli ultimi decenni, come una struttura
estremamente centralizzata che da indicazioni univoche molto rigide sia in
campo teologico che liturgico e pastorale ed intende imporle ovunque. I
problemi da affrontare, per chi vuole la riforma della Chiesa, sono in
buona  parte gli stessi in tutto il
mondo. Di qui la necessità di posizioni comuni o almeno fortemente coordinate
e magari di “campagne” comuni. Questa necessità si scontra con le
caratteristiche dal basso e spesso spontaneiste delle iniziative del nostro
circuito IMWAC  che gradisce poco
strutture che non siano di semplice coordinamento. Comunque la nostra rete di
contatti esiste in tutta Europa e viene riconosciuto il nostro contributo
(come, per esempio, in occasione del Sinodo dei vescovi sull’Eucaristia).
Abbiamo ricevuto tanti messaggi dalle sezioni nazionali per questo decennale,
ci ritroveremo a Monaco in giugno per vedere come continuare e per cercare di
avere una posizione comune sul nuovo pontificato.

 

6) Iniziative
a rete

Infine
abbiamo cercato di non isolarci, di creare reti, collaborazioni,
interlocuzioni. Questo stesso convegno ne è una prova; infatti abbiamo deciso
di rinviare a domani mattina la discussione più interna sulla nostra
organizzazione e di discutere oggi con alcuni nostri interlocutori cosa fare
in rete nella Chiesa italiana nei prossimi mesi. A Milano abbiamo contribuito
a realizzare un Coordinamento di realtà ecclesiali con cui abbiamo
organizzato insieme alcuni degli incontri che ho prima elencato. Tra questi
ricordo il Guado e il Gruppo Promozione Donna. A livello nazionale ed europeo
abbiamo organizzato i seminari nei forum sociali e li abbiamo promossi
con  Pax Christi, le CDB, l’European
Network on the Move ed altri.

Questo
il nostro DNA, i nostri punti fermi fino ad oggi. Come si vede il nostro
impegno è stato meno nella ricerca teologica e biblica (ci “serviamo” del
molto che c’è !) e più per una riforma della Chiesa attenta ai problemi
pastorali, al vissuto di chi è posto ai margini della comunità ecclesiale,
alla coerenza tra la fede ed i comportamenti quotidiani, alle sofferenze
anche morali che spesso vengono ignorate. Pensiamo ad una fede che vede il
Gesù-uomo (ricordo l’ultimo libro di Ortensio da Spinetoli “Gesù di Nazareth”
della Meridiana), che vuole desacralizzare la fede, che vuole proporre e
vivere responsabilità, serenità, speranza e felicità e non anatemi,
proibizioni, riti obbligati, ordini di scuderia.

 

Di fronte al nuovo
pontificato di Benedetto XVI

 

            Ci
troviamo ora di fronte ad un nuovo pontificato. Le nostre attese erano per
una svolta. Nonostante la delusione immediata abbiamo evitato, fino ad ora,
forse con eccessiva prudenza, di esprimere qualche opinione generale.
Cerchiamo, nonostante tutto, di capire.

Siamo
rimasti delusi dal ritorno all’uso delle indulgenze, dal giudizio di
sostanziale continuità del Vaticano II con la storia della Chiesa (nel
discorso alla Curia prima di Natale), da un evidente eurocentrismo  disattento al rapporto Nord/Sud e
silenzioso sulla guerra preventiva, dalla evidente consonanza con
l’interventismo politico della Presidenza della CEI, dalla decisione di avviare
il processo di beatificazione di Papa Wojtyla, dal nessun cambiamento in
Curia, da un dialogo intraecclesiale di tipo bilaterale e simmetrico, che non
accettiamo, da una parte con i seguaci di Lefebvre, che sono fuori e contro
il Concilio, e dall’altra con Kung, che sta col Concilio. Stiamo cercando di
valutare l’enciclica Deus caritas est;
certamente rappresenta un testo di ben altro livello rispetto ad altri
interventi ma che non affronta problemi pastorali nella prima parte mentre
nella seconda è ripetitiva di schemi ben conosciuti sulla dottrina sociale
della Chiesa, senza dire alcunché sulle grandi emergenze dell’umanità di
questo inizio di millennio. Nella conclusione dell’enciclica Benedetto XVI
commenta le prime tre parole del Magnificat
ma poi non continua !!

Ci
troviamo ancora di fronte ad una lunga fase di attesa di tempi migliori ? Nel
nostro logo è citato Papa Giovanni quando 
disse “It is now only dawn” (“ora è 
solamente l’alba”) Intendeva l’alba di una nuova fase, di una nuova
era. Siamo in questo momento? Possiamo sperarlo?

 

Della
Chiesa italiana ne parliamo oggi. In modo continuato abbiamo espresso dei
punti di vista critici ma ora bisogna coordinarsi, creare network. L’incontro
dovrebbe appunto servire per capire, per discutere e per individuare un
possibile percorso collettivo. Per quanto riguarda NSC non abbiamo paura di
remare controcorrente, nè di restare isolati (ma non lo siamo mai stati *,
nonostante tutto).

 

Per un bilancio dei
nostri limiti

 

            In tempo di bilanci e di
anniversari ogni impresa collettiva deve parlare dei propri limiti, dei
propri errori, delle proprie assenze ma anche della propria storia e delle
proprie persone. Devo qui ricordare con affetto ed un po’ di commozione
Elisabetta Cislaghi, promotrice e prima Presidente del nostro movimento che
ci ha lasciati due anni fa. E devo ricordare Martino Moranti, animatore delle
comunità di base e teologo, e don Leandro Rossi, teologo moralista tra i
maggiori, che ci ha spesso consigliati ed ospitati.

C’è
chi ci ritiene  troppo radicali o
troppo estremisti o troppo  impazienti.
Può essere vero. Ma ogni radicalità nasce da una radicalità opposta che, nel
nostro caso, è gestita dal potere ecclesiastico che ha ruoli, potere,
responsabilità. Noi invece, dal punto di vista mondano, non abbiamo niente.
Faremo domani una ricerca su cosa potremmo fare di meglio e di più e su tutti
i nostri problemi organizzativi.

 

 

Ma
possiamo pur dire che certi problemi da noi sollevati  hanno iniziato a essere capiti e a
circolare veramente (per esempio quello sulla condizione degli omosessuali e
quello dei divorziati risposati) E se lo abbiamo fatto è stato perché abbiamo
letto il capitolo 23 di  Matteo dove si
dice che “uno solo è il Maestro e tutti voi siete fratelli”. Da qui la nostra
libertà, la nostra parresia .

 

Milano,
11 febbraio 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

* Tra quanti
hanno partecipato ai nostri incontri : Mons. Gaillot, E.Drewermann,
G.Barbaglio, G.Cereti, R.Falsini, G.Piana, E.Borghi, R.Virgili,
M.C.Jacobelli, Mons. Le Borgeois, A.Gombault, E.Chiavacci, F.Barbero,
E.Mazzi, A.Gallo, J.M.Lochten, P.De Benedetti, G.Girardi, G.Franzoni,
L.Maggi,Ortensio da Spinetoli,
J.J.Tamayo,G.Crema,D.Pezzini,C.Collo,J.Martin,A.Valerio,

T.Balasurya,
P.Collins, J.Chittister,G.Favaro, A.Maffeis, F.Ferrario, Sarah Numico,
T.Ramadan, E.Chiavacci, F.Barbero, A.Acerbi,A.Thellung, E.De Conghe,
B.D’Avanzo, E.Green, V.Salvoldi, M.De Vita, A.Janes, F.La Valle, E.Masina,
Anne Zell  e altri

 

 

 


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