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Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Discernimento ecclesiale sull’Eucarestia – Riflessione in occasione dell’Anno Eucaristico e del Sinodo dei vescovi

Associazione italiana “Noi Siamo
Chiesa”

Aderente
all’ “International  Movement We Are
Church” (IMWAC)

                                                      
Sito Internet
:  www.we-are-church.org/it   e-mail 
<vi.bel@iol.it>oppure<luigi.depaoli@libero.it>

 

 

Discernimento ecclesiale sull’Eucarestia

Riflessione in occasione dell’Anno Eucaristico e del Sinodo dei
vescovi (ottobre 2005)

 

Nel 2005 la
Chiesa
cattolica romana dedicherà una particolare
attenzione all’Eucarestia, tenuto conto che nella recente enciclica “Ecclesia de Eucharistia” Giovanni
Paolo II chiede che tutta la comunità ne colga l’importanza, “badando
con ogni premura a non attenuarne alcuna dimensione o esigenza”

(61).Per ragioni di brevità ci permettiamo di formulare alcune domande
propositive
, dirette a tutti i cattolici e ai vescovi che parteciperanno
al Sinodo mondiale sull’Eucarestia nel settembre 2005 in Vaticano. Ci
sembra utile proporre questi interrogativi nella convinzione di quanto
l’Eucaristia sia il punto centrale della vita di fede del singolo credente e
di tutta la comunità.

 

1.     
1.    
Ricerca a partire dai fedeli-credenti

Quasi tutti i
Sinodi che si sono tenuti in Vaticano negli ultimi decenni sono stati
caratterizzati dal fatto che i temi oggetto di discussione da parte dei vescovi
partecipanti non venissero mai analizzati e dibattuti previamente nelle
realtà periferiche della cattolicità, quasi sempre tenute all’oscuro non solo
degli interventi dei singoli vescovi, ma persino dei risultati dell’intero
Sinodo.                                                                                                                                        Stante
questa situazione, sarebbe auspicabile, in nome della trasparenza evangelica
e dei diritti-doveri dei Figli di Dio,
che il prossimo Sinodo sull’Eucarestia fosse preceduto da una ricerca
che li coinvolga pienamente e profondamente, dato che impedire al Popolo di
Dio di portare la propria esperienza su di un evento da cui dipende la
propria vita spirituale equivale ad amputare la ricezione del mistero stesso
del Sacramento e a disseccare la vita dell’intera comunità.

In particolare
ci pare fondamentale che tutti i responsabili ecclesiastici e laicali
promuovano nel corso del 2005  un
ascolto attento dei cattolici in ogni singola realtà  (diocesi, parrocchia, seminario, Università
cattolica,  comunità di base,
congregazione religiosa, pubblicazioni, ecc.), allo scopo di comprendere:  1) come vivano l’Eucarestia-messa, 2) quali
riflessi lasci tale evento liturgico nella loro vita, 3) quali
cambiamenti  ritengano essenziali per
adire sempre meglio al senso del sacramento. Tale ricerca può essere condotta
sia in modo scientifico da equipe di esperti, sia in modo semplice e
dialogale da responsabili ecclesiali dotati di una particolare capacità di
ascolto. E’ ovvio che la ricerca debba includere, oltre agli abituali
frequentatori della messa domenicale, quella maggioranza silenziosa di
cattolici che ha abbandonato la pratica sacramentale dell’Eucarestia, onde
vagliarne attentamente le motivazioni.

 

 

2.   Eucarestia, corpo di
Cristo e Corpo della Chiesa

L’attenzione
primaria del Sinodo e della Chiesa nel corso del 2005 dovrebbe, a nostro
modesto parere, servire a valutare se ed in quale misura i cattolici
praticanti assumono l’impegno implicito nel sacramento, consistente nel fare
della comunità non una sola “anima”, ma
il “corpo reale e visibile del
Cristo”.
 Se questo è il senso di ogni “agape”
cristiana, ci si domanda se la validità e l’efficacia di una liturgia
eucaristica debba essere individuata non nella purezza del rito, ma nelle
azioni “visibili e reali” del corpo mistico ecclesiale, dato che                                                                                                      
la fede non serve a niente se non è accompagnata dai fatti (GC 2, 20);                                                      

– l’unico culto essenziale e gradito a Dio è la pratica della
giustizia e dell’amore
  (Mt5,23);                     

   non si può celebrare l’eucarestia se nella comunità vi sono rivalità o ingiustizie (1 Cor 11, 18);       

  la condivisione del corpo di Cristo
comporta una condivisione dei beni materiali
(At 4,32-35).                                             

Scendendo a più
concrete analisi, la comunità cattolica, incoraggiata dai suoi Pastori, ha
un’occasione storica per riflettere non tanto sulla presenza reale del
Cristo, ma se i fedeli diventano un solo Corpo. Probabilmente a causa di una
eredità culturale dualista di marca platonica, che ha comportato una idealizzazione
dello spirito e una svalutazione del corpo, 
la Chiesa
cattolica è sospinta ad interrogarsi se essa, come comunità, fa concretamente
quanto disposto e suggerito dai più autorevoli evangelisti ed Apostoli,
secondo cui essere un corpo cristico significa:

– amarsi gli uni gli
altri, perché da questo sapranno che siete miei discepoli (Gv 13,35);                    

   gareggiare nello stimarsi a vicenda (Rom
12,10);                                                                                

  correggersi l’un l’altro (Rom 15,14);                                                                                                            

  salutarsi gli uni gli altri con il bacio
della pace (Rom 16,16);                                                                    

        
–         edificarsi
gli uni gli altri (1 Ts 5,11);                                                                                                              

   
confessare i peccati gli uni gli altri (Gc 5,16);                                                                                                

   
perdonarsi a vicenda (Col 3,13);                                                                                                                   

   
praticare l’ospitalità gli uni verso gli altri (1Pt 4,9);

 In particolare è opportuno che l’intera
Chiesa si chieda se è possibile celebrare l’Eucarestia senza che,  previamente, ogni cristiano abbia appianato
i contrasti con il fratello-sorella, compresi quelli teologici con i fedeli
di altre Chiese cristiane: Se stai portando la tua offerta all’altare
di Dio e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia
l’offerta davanti all’altare e vai a far la pace con tuo fratello; poi torna
e presenta la tua offerta”.
(Mt
5,23-24)
  Questa prescrizione
interpella le Chiese cristiane divise tra di loro, mentre continuano a
celebrare eucarestie senza riconciliazione. Ma sono Eucarestie “nel” Signore?

 

3.   Eucarestia, lievito
del Regno in terra
                                       

La ricerca sull’effettiva
coerenza di milioni di assemblee eucaristiche che si tengono settimanalmente
nel mondo è essenziale per comprovare se in esse si porta a compimento la
“Storia della Salvezza”
, invertendo i canoni del “mondo”, che prevede
banchetti per i Ricchi Epuloni, mentre i poveri debbono accontentarsi degli
avanzi.                                                                                                                                      
Vale la pena di ricordare il martirio di Annalena Tonelli, la
volontaria laica assassinata anni fa in Somalia, quando scrive:  «La vita mi ha insegnato che
quell’Eucarestia che scandalizza gli atei e le altre fedi racchiude un
messaggio rivoluzionario: ‘Questo è il mio corpo, fatto pane, perché anche tu
ti
faccia pane sulla mensa degli uomini, perché se tu non ti fai pane
non mangi un pane che ti salva, ma mangi la tua condanna’».
                                                                                                    
                            

La cattolicità, agli inizi
del terzo millennio, non può evitare di chiedersi se ed in quale misura  l’assemblea eucaristica                                                                                                       
                           “si fa pane e sangue”, condividendo la Vita attorno alla tavola
del Signore, dove schiavi e padroni, ebrei e gentili, uomini e donne
siedano  da uguali.                                                                           
           

        
–        
esperisce la presenza di Dio come una calda presenza amorosa che aiuta a
cambiare la piramide dei Poteri e a costruire un nuovo ordine familiare,
sociale, economico e politico fondato sulla non violenza, sul dialogo
fiducioso con il nemico e sulla resistenza alla provocazione                                                                                 

    
celebra con Maria la festa dei poveri e dei disperati, cui viene
annunciato non un Rosario di titoli celestiali ma il “Magnificat”, in cui
ella loda Dio, che ha distrutto i superbi, ha rovesciato dal
trono i potenti, ha rialzato da terra gli oppressi, ha colmato di beni i
poveri, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.
(Lc 1, 51-53)   

                                                                                                                                      

4.     
4.     Eucarestia
e liberazione

Una domanda che non può
essere evitata per inquadrare correttamente l’Eucarestia riguarda la sua
genesi e l’orizzonte storico in cui l’ebreo Gesù colloca quel famoso convito.
Per lui la cena pasquale è  memoria di
una “Pasqua” molto terrena e concreta, quella ebraica, avvenuta un millennio
prima ad opera di un Dio che non sopportava 
che un popolo fosse schiavo di un Faraone divinizzato. Gli
israeliti gemevano nella schiavitù e gridavano. Le loro grida di aiuto
salivano fino a Dio, dal fondo dell’oppressione in cui giacevano. Dio ascoltò
le loro grida e si ricordò della sua alleanza”
(Es 2,23-24).  La cena che
Gesù vuole condividere con i suoi amici ed amiche  serve a rendere attuale l’evento antico,
per cui ogni commensale si considera personalmente salvato dalla schiavitù.

La domanda che dovrebbe
risuonare in ogni assemblea di fedeli è, per l’appunto, se l’Eucarestia
mantiene l’orizzonte storico e liberazionista di Gesù,
e cioè se
essa                                                                                    

        
–        
è memoria dell’Esodo, cioè di quel processo faticoso e contrastato che sigla
l’Alleanza tra Dio e un popolo di schiavi e che Dio intende sottrarre al
dominio disumanizzante di un Faraone                                             

     è
segno di liberazione effettiva per gli schiavi e gli oppressi di oggi, e in
quale misura essi vengono liberati dal Dio che si fa “pane” in un popolo di
se-dicenti discepoli                                                                            

    è
convivio di una famiglia umana,
sul modello di quella giudaica, che si riunisce non intorno ad un altare ma
ad una mensa,  con i simboli propri di
tale comunità                                                                                          

    è presieduta da un “presbitero”, cioè da
un “anziano”,  il quale, per indicare
che chi ha maggiori responsabilità è veramente un “servitore” non della
Parola ma della comunità, si umilia fino a lavare i piedi dei fratelli e
delle sorelle.

 

5.     
5.      Eucarestia e dinamica simbolica

Ogni Istituzione, come ogni
liturgia, ha i propri simboli, che possono essere significativi o vuoti,
vivificanti o mummificati. L’Eucarestia stessa contiene una straordinaria
carica simbolica, che si è andata evolvendo nei secoli. A noi pare essenziale
fare i conti con una domanda centrale: esiste una analogia tra l’assetto
simbolico del convito di Gesù  quello
della Chiesa attuale
?  In
particolare la riflessione ecclesiale non può evitare tre nodi problematici.

a)   
La santuarizzazione.
      L’Eucarestia è celebrata da secoli in
un contesto sacrale: chiese, linguaggi, canti, orazioni, disposizioni delle
persone, posizioni del corpo, paramenti, luci, calici, il tutto rigorosamente
regolamentato dall’autorità suprema, il papa.

Tale
configurazione simbolica – è la prima domanda – mantiene una coerenza
immediata con il convito di Gesù? Favorisce la presenza passiva di cristiani
abitudinari o la partecipazione di discepoli del Signore? Vivendo in un
contesto culturale in cui il pane esprime la quotidianità del cibo e il vino
l’eccezionalità della festa, può l’ostia far pensare ad un cibo consueto e
quotidiano? Pur nel debito decoro della celebrazione, possono paramenti e
oggetti preziosi, oltre alla separazione tra "clero" e
"fedeli", ricordare un festoso pasto di una comunità?                                                                               
                                                                                    

B)   Il
sacrificio 
 Il canone della Messa e la letteratura
teologica utilizzano un linguaggio simbolico che parla di “sacrificio”, di
“Agnello”, di “espiazione”, di “vittima che cancella tutti i peccati del
mondo”. A conferma di tale dimensione sacrificale, al centro del tempio si
colloca un “altare”, si parla di “ostia” (hostia=vittima), mentre il tutto
avviene con la mediazione di un consacrato-consacrante, autorizzato a
ri-attualizzare la presenza sacrificale di Gesù. La seconda domanda a tale
riguardo potrebbe essere così formulata: esiste un plausibile e fondato
collegamento tra il simbolo della Messa, 
fondato su vittima-altare-sacerdote, e quello utilizzato da Gesù, con
la tavola imbandita nella cena ebraica e pasquale?  Il simbolo induce sentimenti di docilità e
sottomissione, o attinge alla non- violenza contestatrice del profetismo e di
Gesù?                                                                         
                                                               

 C)   La transustanziazione.  Moltissime pagine appassionate sono state
scritte nel corso dei due millenni su “come”, “quando”, “per quanti minuti”,
“ad opera di chi” e “come” il Pane e il Vino subiscano una
“transustanziazione”, diventando Corpo del Signore nel corso della
celebrazione. Senza nulla togliere a queste dotte analisi, non comprendiamo
perché la teologia, le encicliche, il canone della Messa e le migliaia di
pubblicazioni che inneggiano al “Pane disceso dal Cielo” non spendano una
parola sulla “transustanziazione” del fedele, come del celebrante. E qui si
apre la terza domanda: il cambiamento di sostanza del Pane e del Vino in
Corpo amoroso di Cristo si accompagna ad un cambiamento “sostanziale” del
cattolico che partecipa al rito? La transustanziazione è un fatto che
riguarda un pò di Pane e di Vino, o coinvolge la vita di un popolo, facendolo
diventare espressione vivente di un nuovo e concreto ordine di pace e di
giustizia?

 

6.    Eucarestia e tradimento

Ci domandiamo se ogni
eucarestia non dovrebbe contenere, oltre alle parole della “consacrazione”,
anche quelle del “tradimento”. E’ significativo che non ci sia un solo Canone
della Messa che riporti i brani dei tre Evangelisti, Matteo,  Marco e Luca , i quali, immediatamente dopo
aver descritto la Cena
del Signore, propongono un drammatico capovolgimento di fronte. Dopo la cena,
cantati i salmi della festa, Gesù dice ai discepoli:

Questa notte tutti voi perderete ogni fiducia in me. Perché nella Bibbia è
scritto: «Ucciderò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse”…                                                                                                                                                

Allora Pietro cominciò a
dire: “Anche se tutti gli altri perderanno ogni fiducia in te, io non la
perderò mai”.                                                                                                                                                            
                        
E
Gesù replicò: “Io invece ti assicuro che questa notte, prima che il gallo canti, tre
volte tu avrai detto che non mi conosci
.”                                                                                                       
                                                                            
Ma
Pietro rispose: “Non dirò mai che non ti conosco, anche se dovessi morire con te.  E
così dissero tutti gli altri discepoli. (Mt 26, 31-35)

 

Il
nostro auspicio è che vicino ad ogni assemblea vi sia un “gallo”. In modo che
la celebrazione eucaristica sia memoria di un “tradimento” che continua.
Utile  per attutire toni trionfalistici
e per guadagnare in umiltà e realismo.

 

Roma, 30 dicembre 2004

 

 

 


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Commenti

Una replica a “Discernimento ecclesiale sull’Eucarestia – Riflessione in occasione dell’Anno Eucaristico e del Sinodo dei vescovi”

  1. Avatar
    Anonimo

    Sono anni che non faccio la Comunione, quindi sono l’ultimo ad avere il diritto a fare commenti. Ma ugualmente mi sento di apprezzare l’analisi fatta in questo documento: leggendolo ho percepito l’importanza di tale rito, la Sua centralità alla luce di Cristo. La presenza attuale del Signore, possibile solo nel rispetto e nella concreta adesione al rito originario, l’Ultima Cena.
    Vengono posti interrogativi radicali, in una linea lontana dall’attuale pratica.
    Forse sono posizioni non praticabili, ma sicuramente dovrebbero essere al centro della riflessione di ogni cristiano.
    Infatti, quanti di coloro che fanno la Comunione hanno presente ciò che Essa significhi, le implicazioni morali e spirituali che comporta?

    Alessandro Lopez

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