Documento conclusivo del
Convegno svoltosi a Milano il 17 marzo 2001 su "Il problema dei
cristiani divorziati e risposati nella Chiesa cattolica oggi" promosso
da "Noi Siamo Chiesa" e dal Gruppo Promozione Donna di Milano
La crisi del matrimonio dei
coniugi credenti, sempre più frequente in una società i cui cambiamenti hanno
reso più difficile la stabilità della coppia e della famiglia, è un problema
di tutta la comunità e non può essere lasciato alle norme del diritto
canonico o ai Tribunali ecclesiastici o ai confessionali o più spesso alle
sofferenze individualmente sopportate di chi, divorziato e risposato, vuole
continuare ad avere come riferimento della propria vita l’Evangelo.
Molte parrocchie e Diocesi
si pongono sempre di più il problema dell’accoglienza nei confronti di chi si
trova in questa condizione ma in molte altre- la maggioranza- rimangono
atteggiamenti di separazione ed esclusione ben lontane da uno spirito
evangelico di fraternità e dalle stesse indicazioni della "Familiaris
Consortio".
Le rigide norme canoniche in
vigore, costantemente ribadite, che prevedono per un pieno recupero della
comunione ecclesiale o il ricorso ai tribunali o la convivenza
"come fratello e
sorella", appaiono sempre più inadeguate e incoerenti con una riflessione
sull’Evangelo che propone l’ideale della coppia unita per perseguire il regno
di Dio ma contemporaneamente dà prova di realismo (il divorzio in caso di
"porneia" o di incredulità del coniuge) e comunque non ha limiti
nella sua manifestazione di misericordia nel riaccogliere a pieno titolo chi
ha fallito ed ha peccato. Quando viene meno l’agape, quando viene meno il
supporto antropologico del sacramento del matrimonio cosa resta se non una
pura forma, un puro fatto giuridico ?
La normativa canonica che
contrattualizza il rapporto della coppia e lo rende assolutamente vincolante
in eterno (salvo constatarne la sua nullità ab origine) appare come una
costruzione troppo rigida; secondo essa neppure un percorso penitenziale
comunitario (fondato sulla misericordia senza limiti di Dio) può permettere
la riammissione a pieno titolo nella comunità del divorziato risposato e
l’accettazione di un nuovo vero rapporto.
Nel corso del Convegno è
però emerso in modo incontrovertibile che, nel primo millennio della Chiesa, insieme
alla affermazione del valore permanente del rapporto tra uomo e donna secondo
l’insegnamento di Cristo, è stata costante la prassi di prendere atto della
rottura del matrimonio, di permettere la verifica delle proprie
responsabilità nel fallimento con espliciti atti penitenziali ed in seguito
di riammettere a pieno titolo nella comunità il divorziato risposato. Questa
posizione è quella seguita tuttora nella Chiesa ortodossa ed anche le Chiese
sorte dalla Riforma sono su una linea simile, comunque ben lontane da una
atteggiamento lassista.
Nell’incontro, che si è
arricchito di testimonianze molto autorevoli della Chiesa di Francia e della
discussione in corso negli USA, è stata esaminata la soluzione, già ora
praticata in modo abbastanza diffuso, che affida alla coscienza del singolo,
anche se in contraddizione con le norme canoniche, la decisione di
riaccostarsi all’Eucaristia. E’ certamente una posizione molto importante da
condividere ma non è la comunità, come sarebbe giusto, a farsi carico del problema.
Pure utile in certi casi, ma del tutto insufficiente, è stata ritenuto il
sistema del ricorso al Tribunale ecclesiastico che di fatto è sollecitato ad
annullare matrimoni a volte fortemente vissuti magari per un lungo periodo e
con prole.
E’ emersa l’esigenza di un
cambiamento delle posizioni ufficiali della Chiesa cattolica e la convinzione
che esso sarà inevitabile in tempi non troppo lontani.
Così pure è stato condivisa
la proposta che quanti, in diversi paesi, sono impegnati per una modifica della
linea attuale si colleghino e si coordinino.
Ma soprattutto è emersa
insistentemente la proposta di discutere nella Chiesa di questo problema
apertamente e liberamente, con fiducia nella capacità reciproca di ascoltare
e di comunicare la parola di Dio perché le sofferenze presenti nel popolo di
Dio non possono attendere i tempi e le reticenze di molti ambienti
ecclesiastici.
|
Lascia un commento