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Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

La Chiesa cattolica e la Carta europea dei diritti fondamentali

 

International Movement
"We Are Church" (IMWAC)

Associazione italiana
"Noi Siamo Chiesa" (NSC)

Via N.Benino 3 Roma Sito
Internet : www.we-are-church.org/it Tel: 06-56.47.06.68

La Chiesa cattolica e la Carta europea dei diritti
fondamentali

Solo nelle ultime settimane
sono pervenute all’attenzione dell’opinione pubblica le questioni relative alla
elaborazione della "Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea" (Carta) che sarà approvata al Consiglio europeo di Nizza in
dicembre.

Nella situazione italiana in
particolare hanno avuto un ruolo importante gli interventi ripetuti dei vertici
della Conferenza episcopale (Cei) e della stampa da essi orientati. Essi hanno
trovato successivamente una eco significativa nella "Dichiarazione di
Lovanio" del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) dello
scorso 22 ottobre, che ha preso posizione direttamente sulla elaborazione della
Carta, ma senza che su di essa si sia svolta alcuna consultazione nel mondo
cattolico.

A noi interessa esaminare la
posizione espressa dal Ccee su due punti : la presenza del fatto religioso
nella Carta e la questione della famiglia .

Nel documento i Vescovi
europei affermano che la Carta
"rappresenta di per sé un fatto positivo" perché tesa a tutelare i
diritti umani e apprezzano i principi etico-sociali in essa contenuti.

Ciò premesso, il Ccee esprime
osservazioni critiche piuttosto esplicite ("alcune formulazioni adottate
sono incomplete o anche francamente non accettabili") che devono essere
esaminate con attenzione anche alla luce della storia poco conosciuta dei
rapporti dell’Episcopato europeo con le istituzioni comunitarie.

Il riferimento a Dio

I Vescovi lamentano anzitutto
"l’assenza di ogni riferimento a Dio" nella Carta, ma la necessità di
un tale preliminare e fondante richiamo non fa parte della tradizione
costituzionale dei paesi europei, da quando almeno si è affermata in modo
definitivo la laicità dello Stato ed il potere è esercitato in nome del popolo
e non "per grazia di Dio".

Solo la Costituzione dell’Irlanda
del 1937 e quella della Grecia del 1975 in modo esplicito ed enfatico sono
proclamate "in nome della Santissima Trinità". La Costituzione della
Repubblica Federale Tedesca si limita ad affermare che i costituenti la
votavano nel ‘49 "consci della loro responsabilità davanti a Dio e agli
uomini". Anche le Costituzioni dei paesi che hanno chiesto di aderire
all’Unione Europea sono prive di qualsiasi riferimento a Dio, salvo quella
polacca del 1997 che, nell’impegno di proclamazione della Costituzione, mette
sullo stesso piano "quelli che credono in Dio…e quelli che non condividono
questa fede".

Nello stesso documento del
8-2-2000 del Comece ( l’organismo che rappresenta i Vescovi dell’Unione
Europea), redatto in occasione delle consultazioni sul testo provvisorio della
Carta, nessun accenno è stato fatto alla necessità di un richiamo a Dio.

La posizione critica del Ccee
appare quindi molto debole e motivata solo dalla secolare pretesa, da tempo
superata o sconfitta ed estranea ad una corretta visione della laicità della
politica e dello Stato, di fondare l’ordinamento della città terrena su
affermazioni di fede proprie solo dei credenti. Dal "riferimento a
Dio" deriverebbe per il vertice ecclesiastico della Chiesa cattolica
romana la possibilità di accampare diritti e di proporre soluzioni in quanto
esso si ritiene rappresentante autorizzato di quei valori superiori, ispiratori
dell’agire umano, a cui la Carta
dovrebbe ispirarsi.

La rilevanza istituzionale
delle Chiese

Coerente con la richiesta di
fare "riferimento a Dio" è la critica alla Carta di non "
riconoscere alle Chiese e alle comunità religiose in quanto tali una propria
specifica rilevanza giuridica ed istituzionale" .

A questa posizione è stato
replicato (1) che la rilevanza delle Chiese e delle comunità religiose in
quanto soggetto collettivo è sufficientemente tutelata dall’art.10 primo comma
della Carta dove si afferma il diritto "di manifestare la propria
religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o
in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei
riti".

Anche se poco noto,
l’interesse dell’Episcopato europeo e della S. Sede ad ottenere uno status
particolare nelle istituzioni comunitarie e nei Trattati dell’Unione Europea
viene da lontano. L’insuccesso dei tentativi precedenti spiega in parte il
forte irrigidimento di oggi e il rilancio a tutto campo di posizioni che già
hanno incontrato insuperabili difficoltà ad essere accettate.

Negli anni ‘95-‘97 una serie
di interventi congiunti di parte cattolica e protestante (soprattutto delle
Chiese tedesche) appoggiati da un forte intervento della diplomazia pontificia
hanno puntato ad ottenere nel Trattato di Amsterdam uno status particolare per
le Chiese facendo una serie successiva di proposte.

La più importante di queste
così recitava: "La
Comunità
europea rispetta la posizione costituzionale dei
culti negli Stati membri come espressione dell’identità dei suoi Stati membri e
delle loro culture e come parte del patrimonio culturale comune". Una tale
formulazione, come giustamente osserva Francesco Margiotta Broglio, esprimeva
"la permanente volontà di cristallizzare la posizione, in genere
favorevole, dei culti riconosciuti e di limitare a questi culti la qualifica di
componenti dell’identità nazionale e del patrimonio culturale comune
dell’Europa, con l’esclusione non solo di culti importanti ma non
’riconosciuti’, ma di tutta la tradizione del pensiero laico essenziale per
l’identità e la cultura europee".

Queste proposte supportate da
documenti pretenziosi (si veda in particolare il Memorandum del giugno ‘95) non
sono state accolte nella Conferenza intergovernativa del giugno ‘97 e non sono
quindi entrate nel Trattato di Amsterdam che vi fu sottoscritto. In quella sede
non ci fu accordo neppure su un Protocollo aggiuntivo e si ripiegò su una
Dichiarazione, la n. 11, di scarso rilievo costituzionale perché non soggetta a
ratifica da parte degli Stati e non tale quindi da poter essere accolta nel
testo dei Trattati. In essa si afferma che "l’Unione Europea rispetta e
non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le Chiese e
le associazioni o comunità religiose degli Stati membri". Segue peraltro,
nel secondo comma, l’affermazione che "L’Unione Europea rispetta
ugualmente lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali"
(espressione soft per indicare le organizzazioni di non credenti o di atei) .

La linea sostenuta alla
Conferenza di Amsterdam era sostanzialmente fondata sulla volontà di
consolidare le situazioni di favore presenti in alcuni Stati dove la Chiesa cattolica o altre
Chiese hanno un rilievo istituzionale e di impedire che esse fossero intaccate
da una possibile futura sovrapposizione di norme europee, magari
"ostili" a quelle in vigore in qualche settore in cui operano
direttamente le Chiese; inoltre si cercava di costituire indirettamente per i
culti diversi (Islam, per esempio) o nuovi un ruolo minore in quanto questi
ultimi sarebbero stati tutelati solo dalle norme generali sulla libertà di religione
e di culto. Soprattutto il tentativo era quello di affermare che le Chiese di
antico insediamento sono elementi costitutivi dell’identità e delle culture
degli Stati e fondamento del "patrimonio culturale comune"
dell’Europa.

Queste posizioni non sono
passate al momento delle grandi decisioni comunitarie per motivazioni che
sarebbe interessante indagare a fondo; a ragione, Margiotta Broglio parla di
"declassamento del Vaticano in Europa".

La Chiesa deve testimoniare il Vangelo, non
pretendere status particolari

Le opinioni e le intenzioni
della S. Sede, ed in particolare della Cei come strumento trainante nei
confronti degli altri Episcopati europei, non sono tuttavia da allora mutate
se, discutendo del preambolo della Carta nello scorso settembre, è stata
sollevata una grande questione perché la dizione contenuta nel primo testo
"retaggio culturale, umanistico e religioso" (a cui si doveva
ispirare l’Europa) è diventata nell’incontro di Biarritz dello scorso ottobre
"patrimonio spirituale e morale" su sollecitazione della laica
Francia, presidente di turno dell’Unione Europea.

E’ stata inoltre rilanciata
nella Dichiarazione di Lovanio la richiesta, già sopra ricordata, di
riconoscere alle Chiese ed alle comunità religiose una propria specifica rilevanza
giuridica e istituzionale. Tutta la "campagna" sulla Carta esprime la
continuità di una linea generale che vuole affermare in Europa il ruolo
istituzionale delle Chiese pensando, come sempre, allo statu quo dei ruoli e
dei privilegi piuttosto che porsi, in una società ormai ampiamente
secolarizzata, i grandi problemi dell’evangelizzazione a partire dall’annuncio
povero e dalla testimonianza della Parola avendo fiducia nello Spirito.

Come credenti nel Cristo
Crocefisso e Risorto riteniamo che la
Chiesa
cattolica e tutte le altre Chiese, con i loro Pastori,
debbano astenersi dall’esigere tutele o riconoscimenti o garanzie diversi da
quelli a tutti concessi dai diritti diffusi di libertà garantiti dagli
ordinamenti democratici ovunque consolidatisi in Europa.

L’anima cristiana
dell’Europa

E’ importante avviare una
riflessione sull’enfasi, non priva a volte di suggestione, con cui sia Giovanni
Paolo II sia molti altri documenti episcopali si richiamano con insistenza da
anni all’anima cristiana dell’Europa, a "quell’humus culturale di matrice
cristiana che è stato storicamente…fattore determinante – insieme ad altre
tradizioni – di umanizzazione e di promozione dell’unità per tutti i popoli del
continente europeo" (Dichiarazione di Lovanio).

Le riflessioni che abbiamo
fatto in questi mesi sul pentimento della Chiesa e dei cristiani per i peccati
storici compiuti nel millennio trascorso ci possono aiutare ad avere una
visione meno acritica o mitica dei "valori" di cui sarebbe stata
portatrice l’Europa cristiana, indicata inoltre come fattore di unità del
continente.

I peccati principali della
Chiesa cattolica e, per la loro parte, anche delle altre chiese e dei
cristiani, chiamati per nome e per cognome (divisione tra Occidente e Oriente
nel XI secolo, crociate, appoggio all’invasione dell’America, divisione della
Chiesa nel XVI secolo e poi guerre di religione, rifiuto della democrazia e
della modernità, autoritarismo al proprio interno) non ci parlano di un
millennio ispirato all’Evangelo né di una Chiesa unita.

L’Europa cristiana a cui
guardare è quella di S. Francesco o di Bonifacio VIII? di Bartolomé de las
Casas o del cardinale Bellarmino? della Riforma o della Controriforma? è forse
quella che si oppose in ogni modo alla rivoluzione francese e che difese fino
all’ultimo lo Stato pontificio?

Per costruire l’Europa bisogna
invece rifarsi con grande fede e passione alle Beatitudini ed alla ricerca del
Regno di Dio con i relativi corollari: la promozione della pace e il rifiuto
della guerra, la giustizia, il rispetto della coscienza, il pluralismo e
l’ecumenismo. Sono questi i grandi motivi ispiratori del Concilio Ecumenico
Vaticano II.

A noi sembra, in conclusione,
che, nella discussione sulla Carta, da parte della Chiesa cattolica e delle
altre Chiese, si siano manifestate come afferma con efficacia Pasquale Ferrara
su "Il Regno (3) "tendenze neoconfessionali, tese a confondere,
secondo la felice espressione di Emmanuel Mounier, ‘cristianesimo’ con
‘cristianità’, che non hanno alcun riscontro nella concezione europeistica dei
padri fondatori ( Schuman, Adenauer, De Gasperi)".

La famiglia

L’ art. 9 della Carta afferma:
"Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono
garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio".
Traspare in questo testo la necessità di prendere atto che le legislazioni nei
paesi dell’Unione Europea sono differenti e che si stanno estendendo norme che
regolamentano unioni diverse da quelle tradizionali, in particolare per quanto
riguarda gli aspetti patrimoniali e previdenziali del rapporto di coppia a
tutela reciproca dei due conviventi legati da sentimenti e spesso da una lunga
consuetudine di vita in comune.

Dopo la legge approvata in
Francia, nelle scorse settimane è stata approvata una legge simile al Bundestag
della Repubblica federale tedesca mentre anche in Italia il Consiglio dei
Ministri si trova di fronte ad un analogo progetto. Si sta diffondendo la
convinzione che le profonde e rapide modifiche del costume che stanno
estendendo rapidamente e dovunque in Europa il fenomeno delle coppie di fatto
(omosessuali e non, ma anche coppie non legate da un rapporto di tipo sessuale)
debbano trovare una regolamentazione legislativa che definisca diritti e doveri
e che protegga soggetti che altrimenti potrebbero essere gravemente
danneggiati.

Si tratta non di modificare la
normativa in materia di matrimonio ma di approvare altre norme che
pragmaticamente e doverosamente si pongano il compito di disciplinare un
fenomeno che non è socialmente dannoso.

La Dichiarazione di Lovanio del Ccee critica la Carta perché "intende
legittimare, chiamandole famiglie, forme di unione diverse dal matrimonio"
distinguendo il diritto di sposarsi dal diritto di costituire una famiglia.

Il vertice ecclesiastico della
Chiesa cattolica sembra avviato sulla vecchia linea di "pretendere"
l’inserimento nella legge della propria norma morale cercando di delegittimare
qualsiasi altra prassi o concezione dei rapporti interpersonali. Ancora una
volta esso cerca di intervenire in questo modo, piuttosto che con la educazione
e con la formazione, a difesa di un valore positivo, quello della stabilità e
dell’unità della famiglia fondata sugli affetti. Inoltre non sembra intendere
che anche rapporti di coppia diversi da quelli tradizionali possono essere
portatori di profondi valori umani e di affetti sinceri e duraturi.

Diritto alla pace e rifiuto
della guerra

Per concludere, rileviamo con
tristezza che il documento del Ccee avrebbe potuto e dovuto occuparsi con
spirito evangelico dei limiti di tutta la costruzione europea fondata
sull’economia e sul mercato e ben poco sull’integrazione e la promozione
sociale. In modo esplicito ed esteso la Carta potrebbe affermare nel suo Preambolo un
compito planetario per l’Europa nel riequilibrio dei rapporti Nord/Sud.

Nessuna parola profetica
invece leggiamo nei documenti del Ccee e della Cei, che sono preoccupati di
tutelare ruoli e di lanciare campagne, ma che non fanno proposte
sull’inserimento nella Carta del diritto alla pace, del rifiuto della guerra e
per "incoraggiare il disarmo e lo sviluppo di una gestione nonviolenta dei
conflitti" (come propone il "Messaggio a tutti i cristiani
d’Europa" dell’Assemblea ecumenica europea di Graz, del giugno ’97).
Questi, riteniamo, siano i principi basilari da affermare in un’Europa che si
propone di non ripetere il suo passato e di costruire un futuro di pace e di
giustizia.

(1) Andrea Manzella su "la Repubblica" del
26-10-2000

(2) su "Limes" n.1/2000 pag. 156

(3) n.869 del 15-11-2000 pag.649

Noi Siamo Chiesa-Italia

(aderente all’International
Movement We Are Church-IMWAC )

 

Roma, 29 novembre 2000

 

 

 


 

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