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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

L’ispirazione fondamentale di “Noi Siamo Chiesa”

APPUNTI

RELATIVI ALL
’APPELLO: "NOI SIAMO CHIESA"

L’AUTORITA’

Il Nuovo Testamento mai applica ai
ministri delle Comunità cristiane titoli di potere o di dominio:
l’apostolo e il discepolo non vengono mai appellati come capo (arjon), signore
o padrone (despotes), sovrano o maestro (rabbi).

Gesù proibisce esplicitamente titoli come padre,
maestro, dottore o signore
(monsignore) (Mt 20, 26-27; 23 7-8; Mc. 9, 35;
10, 43-44; Lc. 22, 25; Gio.15, 13-15).

Secondo Gesù apostoli,
ministri e responsabili delle comunità debbono essere servitori, schiavi e
farsi ultimi come chi "lava i piedi agli altri" e ciò esclude:

1)
Ogni separazione. Gesù non è un uomo separato dal popolo; non organizza
i discepoli come gruppo separato, la qual cosa contraddice l’organizzazione
religiosa ebraica, fondata sulla separazione tra il popolo e la tribù-casta
sacerdotale, quella dei leviti, l’unica legittimata a fornire sacerdoti e sommi
pontefici. Gesù non prevede nemmeno formule o riti di consacrazione né
l’imposizione di particolari abbigliamenti, come era d’obbligo nel sacerdozio
ebraico.

2)
Ogni privilegio
. Gesù abolisce per i discepoli ed apostoli ogni forma di
privilegio, superiorità e onore.

3)
Ogni forma di dominio
. Per Pietro i dirigenti della chiesa debbono aver
cura del proprio gregge "non tiranneggiandolo" ma essendo di esempio
a tutti" (Pt 5, 1-4)

Lo
stesso Concilio Vaticano II (LG. 27, 1) riconosce che l’esercizio dell’autorità
deve essere improntato tenendo in conto che "chi è più grande deve farsi
come il più piccolo e che chi occupa il primo posto deve essere servo" (Lc
22,26-27).

IL CONSENSO

Fin
dai primi secoli la formazione del "consenso" relativo a
decisioni o a formulazioni di leggi si salda con la "ricezione"
per cui:

1)
sono importanti le qualità intrinseche della legge piuttosto che l’autorità
estrinseca

2)
la mancata ricezione viene considerata come segno possibile dell’inadeguatezza
intrinseca della legge
.

3.
quando la maggioranza di una comunità disobbedisce a una legge è ingiusto
imporla ai pochi
"virtuosi."

Per
tutto il primo millennio discipline e controversie ecclesiali sono
regolate da sinodi e concili, per i quali il consenso è un elemento
fondamentale. Per Cipriano la frase chiave è "in unum convenire",
cioè riunirsi con la mente e il cuore, per raggiungere insieme un consenso (
una consensio, comune consilium).

Inoltre
non basta il consenso ottenuto durante la riunione: prova ne sono le lettere
sinodali inviate ad altre chiese per invitare altri ad unirsi al consenso
raggiunto. Cosicché l’importanza di un sinodo non dipende dal numero o dalla
dignità dei vescovi presenti ma dalla misura in cui i decreti vengono
accettati.

Papa
Leone Magno, sebbene forte sostenitore del primato papale, assegna grande
importanza ai sinodi, al punto da istituirne due all’anno in Roma, con l’invito
a dibattere le questioni con obiettività e ascoltare il parere di tutti i
partecipanti.

Bonifacio
VIII
fa sua la massima "quod omnes tangit ab omnibus tractari et
aprobari debet"
, rimanendo così ancorato alla tradizione canonica al
passo di Graziano (d.D:96 c4) nel quale si afferma che, dal momento che la
conservazione della fede
è preoccupazione di tutti, essa riguarda non
solo i chierici, ma anche i laici
e quindi ogni cristiano.

Per
secoli le comunità cristiane non hanno problemi di vocazioni, seminari, nomine
di vescovi. L’accesso al ministero episcopale o sacerdotale non è un
problema dell’individuo ma della comunità, alla quale si riconosce il diritto
di eleggere i propri ministri e anche di rimuoverli
.

L’esempio
più eloquente è quello di Cipriano: in tre diocesi spagnole, il popolo aveva
deposto i tre vescovi per non aver resistito alla persecuzione. Il papa Stefano
riconferma nel suo posto uno dei vescovi, Basilide. A questo punto i fedeli
ricorrono a Cipriano che convoca un concilio nella cui risoluzione,
firmata da 37 vescovi partecipanti si scrive che:

a.
"vediamo che è di origine divino eleggere il vescovo in presenza del
popolo"

b.
"il popolo ha il diritto di eleggere vescovi degni e rifiutare gli
indegni"

c.
"non può essere annullata dal papa l’elezione che si è svolta in modo
retto
(Epist. 67,IV, 1-2)

MINISTERI

Il
Nuovo Testamento afferma la necessità che nella Chiesa esistano
"ministeri" o servizi per il buon funzionamento della comunità. Mai
si parla di clero, preti o presbiteri nel senso moderno. Il termine greco
kleros (che significa sorte eredità) piuttosto viene utilizzato a volte nel
N.T. per significare non i ministri della comunità, bensì quest’ultima rispetto
ai pastori.

Per
la nomina e la selezione dei pastori Paolo da le seguenti indicazioni (1
Tim 3,1-10): "Ecco una parola sicura: se qualcuno desidera avere un
compito di <pastore> nella comunità, desidera una cosa seria. Un
pastore deve essere un uomo buono, fedele alla propria moglie
, capace di
controllarsi, prudente, dignitoso, pronto ad accogliere gli ospiti, capace
d’insegnare. Non può essere un ubriacone, un violento o uno che litiga
facilmente: sia invece gentile e non si mostri attaccato ai soldi. Sappia
governare bene la sua famiglia, i suoi figli
siano obbedienti e rispettosi.
Perché se uno non sa governare bene la propria famiglia, come potrà aver
cura della Chiesa di Dio
? Egli non deve essere convertito da poco tempo,
altrimenti potrebbe andare in superbia e finire condannato come il diavolo.
Infine che egli sia stimato anche da quelli che non sono cristiani, perché
nessuno lo disprezzi ed egli non cada in qualche trappola del diavolo"

La
distinzione tra chierici e laici,
sconosciuta alle prime comunità cristiane, appare
nel III sec
. con Tertulliano e nel IV con S. Girolamo.

La
formazione di un clero come ordine separato dai fedeli è la copia
secolarizzata di uno dei 3 ordines (senatorius, equester e plebeius) vigente
nell’impero romano
, dove il termine "ordo" si applicava solo ai
primi due: quello dei senatori e quello dei cavalieri. La plebe, di fatto, non
aveva alcuna dignità

Questa
terminologia che discriminava la società secondo ranghi e privilegi fu assunta
dal gruppo dirigente della chiesa (il clero) per differenziarsi dal popolo
(plebs) (Tertulliano: De export. cap. VII, PL2, 971). E così l’ordo e i suoi
derivati (ordinatio e ordinare), diventano il termine chiave per dividere i
cristiani in due categorie:
quelli del rango superiore, gli ordinati, cui
era dovuto l’onore e quelli del rango inferiore, la plebs, privi di qualunque
onore e potere.

Le
lettere di Paolo
non sono dirette ai capi della gerarchia
ma a tutta la comunità: in caso di conflitto è la comunità che deve
cercare l’accordo e la soluzione. Quando nella comunità di Corinto si
presentano seri problemi di divisione tra i cristiani (I Cor. 6, 10-13), di
scandalo (I Cor. 5, 1-3), d’immoralità (I Cor. 6, 12-199, di disordine nelle
assemblee (Cor. 14, 26-40) o per dubbi sulla resurrezione I Cor. 15), Paolo mai
raccomanda di rivolgersi ai dirigenti, ma insiste che è la comunità che deve
riunirsi e risolvere fraternamente i problemi
.

Anche
nelle lettere di Giovanni mai si parla di ricorrere ai dirigenti della
comunità, ma di discernimento e di amore reciproco per risolvere dubbi e
questioni.

San
Cipriano
, uno dei vescovi più eminenti della Chiesa antica diceva: "Sin
dall’inizio del mio episcopato ho deciso di non prendere alcuna risoluzione
da solo senza il vostro consiglio e il consenso del popolo
" (epist.
14,IV,1)

.-Per
i primi cristiani vi sono due verità essenziali:

1)
la comunità cristiana è "chiesa di Dio", è "chiesa del
Cristo", è "tempio dello Spirito Santo". Il Nuovo Testamento non
conosce opposizioni tra ciò che viene "dall’alto" e ciò che viene
"dal basso": tutta la comunità è tempio dello Spirito Santo, corpo
del Cristo
.

2)
tutta la chiesa è apostolica, in continuità diretta sia con le 12 tribù
d’Israele (segno della comunità umana escatologica) sia gli apostoli garanti
dell’esperienza originaria di Gesù. L’accento è posto non tanto sulla dottrina
quanto sulla sequela Jesu.

CHIERICI E LAICI


Sulla base del Nuovo Testamento si può dire che nel 1° secolo si assiste
ad un ministero indifferenziato e carismatico, in cui intervengono
soprattutto profeti e dottori.


Successivamente e lentamente si passa all’istituzione di una direzione
presbiterale; ma essa non costituisce un’autorità dottrinale. I ministri sono
guide, animatori: la loro principale occupazione non è l’eucarestia o la
liturgia, ma la predicazione e l’esortazione.

Nel
primo secolo, come ci attestano sopratutto le lettere di Paolo, le donne
erano a capo
delle comunità cristiane (Rom 16,1; 12; 1 Cor 16,19; Fil
4,37).

La
svolta verso la sacerdotalizzazione
si ha dopo il primo millennio, nel 3° e 4°
Concilio del Laterano (1179 e 1215), dove si stabilisce che:


l’eucarestia può essere celebrata solo da un prete validamente ordinato;


ai fini di tale ordinazione non si prevede alcun consenso da parte della
comunità;

si
diventa preti non come presidenti o animatori della comunità, ma in virtù di un
"carattere sacramentale
"

Il
presbiterato diventa "uno stato di vita personale
", piuttosto che
servizio della comunità. Si è preti indipendentemente da una chiesa
determinata. Le ordinazioni assolute, cioè svincolate dalle comunità e proibite
dal Concilio di Calcedonia, diventano valide.

L’ordinato
possiede un potere eucaristico. L’ordinazione serve a dare una forza
particolare per compiere la consacrazione eucaristica.

L’antica
relazione tra ministero e chiesa si sposta verso una relazione tra potere ed
eucarestia.

Nella
chiesa medievale un prete è ordinato per poter celebrare l’eucarestia, nella
chiesa antica il ministro era istituito come capo della comunità
.

Con
il Concilio di Trento:

viene
ridotto a nulla il ruolo del popolo dei credenti
anche nella designazione
dei ministri, come evidente reazione alla riforma protestante che accentua il
ruolo della comunità. Il Concilio non definisce l’essenza del ministero
ecclesiastico (date le divergenze tra tomisti e scotisti).

si
lega il ministero ecclesiale alla presidenza dell’eucarestia
(culto) e la
predicazione-direzione pastorale all’episcopato.


il sacro potere sacerdotale fa di qualcuno (e lui soltanto) un uomo partecipe
del sacerdozio di Cristo. Egli possiede un potere anche in assenza di tutte
le comunità
.

tutto
ciò non è mai definito come dogma
, anche perché contrasta con quanto
professato dalla Chiesa nel 1° millennio.

Secoli
più tardi Pio X scrive nell’enciclica Vehementer nos (1906) "Solo
nella gerarchia risiede il diritto e l’autorità necessaria per promuovere e
dirigere tutti i membri al fine della società. In quanto al popolo non ha altro
diritto che lasciarsi condurre e seguire docilmente i propri pastori".

CELIBATO E CONTINENZA

Le
persone che Gesù sceglie come apostoli e discepoli sono, in maggioranza,
sposati.

Paolo
eplicita il diritto dell’apostolo a una vita di coppia: "Non abbiamo anche
noi il diritto di portare con noi una moglie credente come l’hanno gli altri
apostoli
e i fratelli del Signore e Pietro?" (1 Cor 9,5)

Nei
primi 10 secoli nessuna chiesa
, occidentale od orientale, pone il celibato come
condizione per l’ammissione al ministero
: i ministri sono sposati e non
sposati. Nella chiesa antica ricorre l’idea che il ministro deve essere
"l’uomo di una sola donna".

Nel
Concilio di Nicea non ci sono discussioni sulla continenza dei preti, tanto meno
sull’obbligatorietà del celibato.

A
partire dal IV sec., sotto il pontificato di Damaso e Siricio (366-399),
viene interdetto ai celebranti il rapporto sessuale nella notte che precede
l’eucarestia
. E’ evidente l’origine liturgica della continenza per il
clero. Non si tratta del "celibato" ma dell’astensione dal rapporto
sessuale in nome della purità rituale. Da allora in poi tutti i documenti
ecclesiastici sul celibato dei preti fanno riferimento alle leggi di purità del
Levitico (Lev 15, 16-18; 22,4)

Alla
base della legge della continenza vi è una concezione della sessualità ben
espressa da S. Girolamo, secondo cui il "rapporto sessuale è una cosa
sporca
" (omnis coitus immundus). Gran parte dei Padri della Chiesa
ironizzano e svalutano la sessualità (Origene, Agostino, Ambrogio, Tertulliano,
Gregorio Nisseno).

Alcune
chiese cristiane considerano la continenza sessuale come un obbligo
battesimale. Il piacere sessuale non è ritenuto del tutto lecito.

Dopo
il primo millennio l’obbligo della continenza per i preti sposati si trasforma
in legge del celibato ministeriale
(2° Concilio del Laterano, 1215), anche perché la
legge della continenza non era praticata n modo diffuso, nonostante le sanzioni
anche economiche.

Solo
con il Concilio Vaticano II si riconosce insostenibile l’antica motivazione
della legge sul celibato (purità rituale e sessualità sporca): l’accento viene
posto sul "celibato per il Regno di Dio:

LA
COMUNITA

Il
discernimento secondo il Nuovo Testamento non è un procedimento singolare o eccezionale
della prima comunità cristiana: esso è abituale per trovare quello che piace al
Signore.(Rom. 12, 1-2; Ef 5,8-10; Fep. 1, 8-11, 1Cor. II,28-29; 2 Cor. 13, 5-6;
1Gio 4, 1; Eb 5, 14). Dialogare, pregare e consultarsi, sono attività primarie
della comunità.

Negli
ordini di perfezione (religiosi) c’è un equilibrio tra processi decisionali
comunitari ed autorità dei membri incaricati che debbono rendere conto agli
organi che li hanno eletti. Tutti sono responsabili della congregazione e vige
una uguaglianza di base tra tutti i membri.

Con
il Concilio Vaticano II cambia il modo di intendere la Chiesa:la Chiesa è interpretata come
una comunione generata dallo spirito e strutturata dai sacramenti. La Chiesa non è più vista a
partire dal binomio sacerdozio-laicato, cioè una società divisa in due
categorie di persone: i pastori e il gregge, ma un "popolo",
"stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa". Proprio la
sostanziale uguaglianza è la base perchè la scelta delle persone destinate ai
diversi incarichi (diaconi, sacerdoti, vescovi, ecc.) sia elettiva.

L’EUCARESTIA

L’eucarestia
primitiva
è strutturata sul modello della preghiera giudaica recitata a tavola.
La concezione comune è che colui che ha l’incarico di guidare la comunità
presiede l’eucarestia.

Per
la celebrazione dell’eucarestia è determinante la vitalità evangelica della
comunità. Non è necessario il prete ma il presidente. Tutta la comunità
"concelebra"
.

La
frazione del pane implica sia una unione dei cuori sia una reale comunione dei
beni. (Atti 2)

Non
esiste un culto liturgico, perchè l’unico culto essenziale e gradito a Dio è la
pratica della giustizia e l’amore fraterno. (Mt 5, 23-24). Non si può celebrare
l’eucarestia se nella comunità vi sono "gruppi rivali"(1 Cor 11,
17-21)

Nella
prima lettera di Clemente si attribuisce la presidenza dell’eucarestia
all’episcopo-presbitero o "a coloro che sono stati incaricati da altri
membri eminenti con l’approvazione di tutta la chiesa".

IL CONTROLLO DELLE NASCITE

.

Nel
1963 durante i lavori del Concilio, Giovanni XXIII nomina una commissione
per il controllo delle nascite
, composta da 13 persone. Il P. Haring invita
caldamente la commissione a non discutere il tema del controllo delle nascite
solo nell’ambito delle teorie del diritto naturale.

Nel
1964, nel corso della 3a sessione conciliare, il Card. Léger (Canada)
afferma: "Noi abbiamo una concezione pessimistica e negativa dell’amore.
Questo schema (in discussione) intende contribuire a migliorare questa idea e a
chiarire che cos’è l’amore e che funzione ha. Dobbiamo ammettere che l’unione
coniugale intima raggiunge un proprio fine autorizzato anche quando non avviene
il fine della procreazione."

Nella
stessa sessione il Card. Suenens (Belgio) afferma: "La Chiesa ha fatto molti
progressi dai tempi di Aristotele e anche di Sant’Agostino. E’ ora di
finirla con il pessimismo manicheo
. Allora capiremo meglio che cosa è
compatibile con l’amore e che cosa non lo è… vi prego confratelli, cerchiamo
di evitare un altro "caso Galileo". Alla Chiesa ne è davvero bastato
uno".

Per
il Patriarca orientale Maximos IV le vecchie dottrine ecclesiastiche
relative al controllo delle nascite derivano da una psicosi celibataria."

A
seguito del dibattito conciliare sui fini del matrimonio Paolo Vi pur
avocando a sé ogni decisione, nomina. alla fine del 64, altre 40 persone come
membri della Commissione per il controllo delle nascite, tutti cattolici, di
cui 34 laici, 9 preti secolari e 12 membri di ordini religiosi: molti erano
insegnanti di importanti università.

Nel
1965 i membri della Commissione, tra l’altro, respingono la dicotomia tra
"finalità primarie e secondarie" del matrimonio
, così come erano
state definite nel 1930 da Papa Pio XI e nel 1951 da PioXII.

Di
fronte al problema su come i coniugi possono amarsi e nello stesso tempo
limitare il numero dei figli, la presidenza del Concilio decide di affidare il
problema alla Commissione, che viene ulteriormente ampliata con 7 Cardinali e 9
Vescovi- Tra questi Karol Wojtyla. Arc. di Cracovia, che mai partecipò ai
lavori della Commissione.

Durante
i due mesi di discussioni, emergono due posizioni emblematicamente
rappresentate da due Cardinali. a)-quello di Milano (Card. Colombo,
consulente del Papa), secondo cui ammettere errori in tema di sessualità da
parte del Magistero "significherebbe mettere in pericolo la stessa
infallibilità della Chiesa
, maestra di verità in questioni attinenti la Salvezza. Non
significherebbe forse che le porte dell’inferno hanno sconfitto la Chiesa?":

b)-e
quella di Monaco (Card. Dopfner) secondo cui "se la dottrina
ecclesiastica finora sostenuta sul controllo delle nascite non era infallibile
– e questo nessuno lo ha mai affermato – allora era fallibile.
La
conseguenza non è forse che un magistero fallibile può anche commettere
errori?"

Di
fronte al fatto che la grande maggioranza della Commissione è favorevole a
modificare l’insegnamento tradizionale e a rimettere alla coppia la decisione
di usare metodi contraccettivi "non naturali", il Card. Colombo,
consulente del Papa, assicura che il Papa non voterebbe quel documento.
Contemporaneamente il Card. Ottaviani consegna al Papa una relazione di
minoranza. Alla stampa vengono consegnate le relazioni di maggioranza e di
minoranza.

Nel
1965 termina il Concilio: nessuna decisione è presa dai padri conciliari in
tema di regolazione delle nascite.

Nel
1967
la Commissione
presenta al Papa il rapporto: 64 membri si dichiarano favorevoli a
modificare il divieto sui metodi contraccettivi e solo 4 (tutti teologi) sono
contrari
al rapporto di maggioranza, pur ammettendo di non essere in grado
di dimostrare il proprio no sulla base della legge naturale e mancando al
riguardo un qualsiasi argomento nella Sacra scrittura o nella Rivelazione
Divina.

Nella
relazione di maggioranza si spiega la ragione per cui la Chiesa aveva bisogno di
aggiornare i suoi insegnamenti sulla sessualità citando "i cambiamenti
sociali avvenuti nel matrimonio… nella posizione della donna, la riduzione
della mortalità infantile, i progressi in campo fisiologico, biologico,
psicologico e sessuale; una diversa valutazione del significato della
sessualità… Si deve infine tener conto dell’opinione dei fedeli".

Nel
1968 il Papa pubblica l’enciclica "Humanae vitae" secondo cui
"ogni atto coniugale deve essere aperto alla trasmissione della
vita", riconfermando la vecchia dottrina sul controllo delle nascite,
che altro non è che il punto di vista della "minoranza della Commissione
"

L’enciclica
non viene presentata come un documento infallibile , né vengono condannati
quanti non la seguono.

Le
Conferenze episcopali danno un’interpretazione più elastica all’enciclica
, dicendo
che il Papa poneva ai fedeli un ideale elevato ma che, se in coscienza, essi
non si sentivano in grado di viverlo, non avrebbero per questo dovuto sentirsi
in peccato.

Papa
Wojtyla ribadisce che "coloro che praticano la contraccezione o
addirittura pensano che sia normalmente lecita, rifiutano oggettivamente di
riconoscere Dio (17 sett. 83).

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Bibliografia. Fondamentale ci pare per la parte
storico-dogmatica il testo di E. Schillebeckx "Per una Chiesa dal volto
umano", ed Queriniana
.


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