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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

“NOI SIAMO CHIESA” e la CHARTA OECUMENICA

International Movement
"We Are Church" (IMWAC)

Associazione italiana
"Noi Siamo Chiesa" (NSC)

via N. Benino 3, 00122 Roma
Sito Internet: www.we-are-church.org/it Tel: 06-56.47.06.68

"NOI SIAMO
CHIESA" E LA
CHARTA OECUMENICA

 

L’Associazione italiana
"Noi Siamo Chiesa"
(Nsc), sezione dell’International
Movement "We Are Church"
(Imwac), saluta con gioia la firma,
avvenuta il 22 aprile 2001
a
Strasburgo, per mano del metropolita Jérémie
Caligiorgis, presidente della Conferenza delle Chiese Europee (Kek), e
del card. Miloslav Vlk, presidente del Consiglio delle Conferenze
Episcopali Europee
(Ccee), della "Charta oecumenica – Linee guida
per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa".

"Noi Siamo
Chiesa"
ha
guardato sin dall’inizio con interesse al cammino avviato nel luglio 1999 da
Kek e Ccee con la pubblicazione e l’invio alle Chiese europee della Bozza
di "Charta Oecumenica per la collaborazione tra le Chiese in
Europa".
L’Imwac, infatti, vi ha colto un passo, sulla scia delle
Assemblee ecumeniche europee di Basilea (1989) e Graz (1997), verso quel
"Concilio autenticamente universale in cui tutte le confessioni
cristiane si comportino da uguali nella ricerca della pace e dell’amicizia
tra di loro, in dialogo e rispetto con le altre religioni e al servizio del
mondo" che esso, pur collocandosi all’interno della Chiesa cattolica
quale movimento di riforma secondo i contenuti dell’Appello dal popolo di
Dio
lanciato nel 1996, sogna fin dalla propria nascita e che è stato
riproposto anche da alcuni cardinali nel recente Concistoro (maggio 2001).
Inoltre ha molto apprezzato la scelta di sottoporre il testo a un’ampia
consultazione tra le Chiese del continente, condividendo pienamente l’intento
di sollecitare la corresponsabilità di tutti i battezzati nella sua stesura.

Testimonianza di tale
attenzione è stato l’invio al Ccee (e per conoscenza alla Kek) del documento "Noi
Siamo Chiesa" e la Bozza
di Charta Oecumenica
, che ha dato origine a un cordiale dialogo di cui
ringraziamo questi due organismi. Alcuni dei commenti e degli emendamenti
contenuti in questo contributo ci pare abbiano trovato significativa eco nel
testo sottoscritto a Strasburgo.

Perciò l’Associazione
italiana "Noi Siamo Chiesa"
considera la Charta Oecumenica
un’importante tappa nel dialogo tra le Chiese europee e si sente impegnata a
diffonderne, approfondirne e svilupparne i contenuti affinché essa possa
rappresentare una "pietra miliare" sulla strada verso l’unità dei
cristiani.

IL TESTO DELLA CHARTA
OECUMENICA

Il testo definitivo della Charta
Oecumenica
, oltre a risultare più omogeneo ed equilibrato tra le sue
parti, presenta, a nostro parere, alcuni significativi miglioramenti rispetto
alla Bozza resa pubblica nel 1999, con ciò confermando la fecondità
del metodo partecipativo usato.

Tra essi vogliamo segnalare
in particolare:

– l’intento di
"operare, nella forza dello Spirito Santo, per l’unità visibile della
Chiesa di Cristo nell’unica fede", facendo intravedere come nessuna
Chiesa possa considerarsi "la" Chiesa di Gesù Cristo, semmai realizzazione
autentica, ma non esaustiva di essa;

– l’impegno, pur generico e
arretrato rispetto alla prassi già in atto in alcuni paesi europei, a
"muoverci in direzione dell’obbiettivo della condivisione
eucaristica", che viene definita, insieme al "reciproco
riconoscimento del battesimo", "espressione" della "unità
visibile della Chiesa di Gesù Cristo nell’unica fede" (I,1) e la cui
mancanza è giudicata "un segno particolarmente doloroso della divisione
ancora esistente tra molte Chiese cristiane" (II,5);

– una visione più
articolata, problematica e meno unilaterale dei processi culturali in corso
nel vecchio continente, non più semplicisticamente e sommariamente ridotti a
"secolarizzazione e scristianizzazione", ma in cui coesistono una
"multiforme mancanza di riferimenti" e una "variegata ricerca
di senso" (II,2);

– l’eliminazione del ricorso
al termine "setta" (II,4 della Bozza);

– la chiara affermazione
della libertà di coscienza come fondamento dell’appartenenza religiosa,
contro un’idea dell’evangelizzazione fondata sul proselitismo, da una parte,
e una concezione "proprietaria" dei fedeli da parte delle Chiese,
dall’altra (II,2);

– un’attenuazione della
visione esclusivamente negativa della divisione confessionale, che invece è
anche radice della ricchezza delle diverse tradizioni cristiane, là dove si
constata che "esiste una pluralità che è dono e arricchimento, ma
esistono anche contrasti sulla dottrina, sulle questioni etiche e sulle norme
di diritto ecclesiastico che hanno invece condotto a rotture tra le
Chiese" (II,6);

– l’assunzione dell’impegno
delle Chiese a "dibattere insieme alla luce del Vangelo" le
"questioni di fede e di etica sulle quali incombe il rischio della
divisione" (II,6);

– il superamento della
pretesa un po’ supponente di "dare un’anima all’Europa" (III,7
della Bozza) a favore della più modesta convinzione che
"l’eredita spirituale del cristianesimo rappresenti una forza
ispiratrice arricchente l’Europa" (III,7);

– l’affermazione di un
esplicito impegno delle Chiese "per un’Europa umana e sociale",
l’insistenza "sull’opzione prioritaria per i poveri" (III,7) e la
sottolineatura che "riconciliazione significa promuovere la giustizia
sociale all’interno di un popolo e tra tutti i popoli e in particolare superare
l’abisso che separa il ricco dal povero, come pure la disoccupazione"
(III,8);

– il rifiuto di "ogni
forma di eurocentrismo" (III,7);

– il ridimensionamento della
contrapposizione tra Chiese e Stato presente nella Bozza, là dove
l’impegno "a proteggere i valori fondamentali contro le ingerenze dello
Stato" si trasforma in quello a difenderli da "tutti gli
attacchi" (III,7);

– l’impegno a
"resistere a ogni tentativo di strumentalizzare la religione e la Chiesa a fini etnici o
nazionalistici" (III,7);

– la qualificazione dell’impegno
a favore di migranti, profughi e richiedenti asilo, indicando come obiettivo
una "accoglienza umana e dignitosa" (III,8) invece del più generico
"atteggiamento di apertura" previsto dalla Bozza;

– il maggiore rilievo dato
all’impegno a "migliorare e rafforzare la condizione e la parità di
diritti delle donne in tutte le sfere della vita e a promuovere la giusta
comunione tra donne e uomini in seno alla Chiesa e alla società"
(III,8), rispetto al frettoloso cenno a "consolidare la posizione e
diritti delle donne in tutti gli ambiti" contenuto nella Bozza;

– l’introduzione di uno
specifico capitolo dedicato a "Salvaguardare il creato" (III,9),
con impegni precisi (istituire una giornata ecumenica di preghiera per la
salvaguardia del creato, sviluppare stili di vita responsabili e sostenibili,
sostenere le organizzazioni ambientali delle Chiese), rispetto allo
sbrigativo riferimento a "salvaguardare l’ambiente e tutte le creature,
specie nel rispetto delle generazioni future" (III,8 della Bozza);

– la suddivisione
dell’originario capitolo "Coltivare le relazioni con le altre
religioni" (III,9 della Bozza) in tre, dedicati specificamente ad
"Approfondire la comunione con l’Ebraismo" (III,10), "Curare
le relazioni con l’Islam" (III,11) e "L’incontro con le altre
religioni e visioni del mondo" (III,12);

– la richiesta di perdono
"per l’antigiudaismo in ambito cristiano" e l’impegno a
"contrastare tutte le forme di antisemitismo e antigiudaismo nella
Chiesa e nella società" (III,10);

– il riconoscimento dell’esistenza,
anche da parte cristiana, di "grossolane riserve e pregiudizi"
verso i musulmani e l’impegno a incontrarli "con un atteggiamento di
stima" (III,11).

Al contempo, pur essendo
consapevoli di come non fosse questa la sede per dirimere controversie dottrinali
o sciogliere i nodi teologici del rapporto tra libertà di coscienza e valore
della tradizione, tra Chiesa e società, ecc. che distinguono le confessioni,
pensiamo che il testo avrebbe potuto essere più coraggioso

– nel valorizzare le
diversità come ricchezza, nell’enunciare la possibilità di chiarire su quali
espressioni della fede occorra necessariamente trovare un consenso e su quali
siano tollerabili le differenze e nell’indicare, come meta del cammino
ecumenico, il raggiungimento della piena comunione ecclesiale quale unità
nella diversità in cui le differenze sono riconciliate;

– nell’esprimere
chiaramente, come Chiese, la volontà di fare insieme tutto quanto è possibile
fare insieme, perlomeno come dichiarato dalla Bozza "salvo i casi in cui
la differenza tra le nostre convinzioni sia così profonda da costringerci a
percorrere vie separate" (III,6), con un’enunciazione più precisa di
quella – "laddove ne esistano i presupposti e ciò non sia impedito da
motivi di fede o da finalità di maggiore importanza" – contenuta nel
testo definitivo (II,4);

– nell’assumere l’impegno di
condurre insieme la riflessione sui problemi nuovi che ogni giorno esigono
dalle Chiese un discernimento;

– nel prospettare la volontà
delle Chiese di promuovere iniziative ecumeniche di evangelizzazione e
promozione umana, non limitandosi a informarsi reciprocamente di quelle
realizzate da ciascuna confessione;

– nel delineare sedi
istituzionali di più costante, intensa e visibile comunione tra le
confessioni cristiane del continente (per esempio, un Consiglio Europeo
delle Chiese
);

– nel compromettersi a
legittimare il pluralismo su questioni non essenziali della fede, a
salvaguardare i diritti umani e le libertà fondamentali e a risolvere le
controversie teologiche o dottrinali attraverso il dialogo anche nelle
singole Chiese;

– nell’esprimere
congiuntamente una radicale rifiuto della guerra come strumento di soluzione
delle controversie tra i popoli e tra gli Stati;

– nel deplorare
esplicitamente il fatto che anche in anni recenti la religione sia stata
usata in Europa, soprattutto nei Balcani, per legittimare conflitti armati di
tipo etnico o nazionalistico;

– nel rifiutare ogni
privilegio confessionale e nel riconoscere come un valore la laicità degli
ambiti pubblici, intesa come garanzia del rispetto della libertà religiosa in
regime di pluralismo delle fedi e delle culture;

– nel vincolarsi ad agire,
nel confronto con le istituzioni pubbliche e i poteri economici, affinché
siano modificate le relazioni politiche, economiche e culturali dell’Europa
coi paesi del Sud del mondo, in vista del superamento della povertà che
affligge la maggior parte delle loro popolazioni;

– nel valorizzare
maggiormente il ruolo della donna nella comunità ecclesiale e nell’affrontare
il problema della responsabilità storica e teologica delle Chiese nel
formarsi e nel diffondersi dell’ideologia patriarcale e del sessismo;

– nell’incoraggiare le
esperienze di spiritualità e azione sociale che cercano di far incontrare le
diverse esperienze religiose.

LA FIRMA DELLA CHARTA OECUMENICA: UN EVENTO
POSITIVO

Al di là delle
considerazioni analitiche sul testo, la firma della Charta Oecumenica
costituisce di per sé un fatto positivo per il cammino verso l’unità dei
cristiani, viste anche le evidenti difficoltà per arrivarvi in un’Europa
segnata da profonde diversità storiche, economiche e culturali e con Chiese
sempre in bilico tra la tentazione di ripiegare sull’affermazione delle
proprie identità confessionali e la coscienza di aver bisogno le une delle altre
per testimoniare Cristo e rendere credibile il Vangelo.

La Charta Oecumenica rappresenta un promettente
"minimo comune denominatore", capace di rendere visibile quanto sia
grande ciò che le Chiese cristiane del continente già condividono, di
indicare la vastità dei campi di possibile lavoro congiunto e di fornire
dinamiche linee guida per l’azione le quali, se attuate, farebbero compiere
un grande balzo in avanti all’unità tra i credenti in Cristo.

Col card. Karl Lehmann
condividiamo l’auspicio che la Charta Oecumenica costituisca un impulso
decisivo a far sì che l’ecumenismo non sia più questione riservata agli
esperti, ma diventi preoccupazione centrale nei cuori e nella vita dei
cristiani, e rappresenti uno stimolo e un appello ad approfondire e accrescere
la cooperazione ecumenica.

Più in generale, noi
speriamo che questo documento rafforzi la fede di tutti i cristiani nel Gesù
mai completamente conosciuto, accresca la nostra gioia nello scoprire le
meraviglie spirituali da lui suscitate nelle diverse tradizioni cristiane,
conforti la nostra fiducia che un giorno, in forme imprevedibili, i credenti
in Gesù saranno "una cosa sola perché il mondo creda" (Gv 17,21),
ravvivi la nostra passione e sostenga il nostro impegno per l’ecumenismo, alimenti
la nostra sequela del Risorto nel servizio alla società a partire dei poveri.

LA CHARTA OECUMENICA: CHE FARE?

La Charta Oecumenica "descrive fondamentali compiti
ecumenici e ne fa derivare una serie di linee guida e di impegni. Essa deve
promuovere, a tutti i livelli della vita delle Chiese, una cultura ecumenica
del dialogo e della collaborazione e creare a tal fine un criterio
vincolante. Essa non riveste tuttavia alcun carattere dogmatico-magisteriale
o giuridico-ecclesiale. La sua normatività consiste piuttosto
nell’auto-obbligazione da parte delle Chiese e delle organizzazioni
ecumeniche europee. Queste possono, sulla base di questo testo, formulare nel
loro contesto proprie integrazioni e orientamenti comuni che tengano
concretamente conto delle proprie specifiche sfide e dei doveri che ne
scaturiscono" (Introduzione).

La Charta Oecumenica non ha quindi autorità teologica,
dogmatica o giuridica, ma ciò non ne inficia il grande significato, che
consiste nell’offrire un "corpus" autorevole e condiviso alle relazioni
tra i cristiani e tra le Chiese del continente. Il rischio da evitare è
quello di sottovalutarla, considerandola un’esortazione generica, un
documento tra i tanti. Essa è un inizio, non chiude un percorso, ma apre un
cammino che spetta ora alle singole Chiese fare proprio, specificare,
approfondire, tradurre in azioni concrete. Come ha ricordato il card. Vlk
nella Prolusione alla Plenaria del Ccee, la Charta Oecumenica
"più che un testo è un processo. Il suo successo dipende dalla ricezione
e dal nostro impegno di adattarla e metterla in pratica a livello
locale". Questa è, come ha affermato il segretario del Ccee, don Aldo
Giordano, "la fase più importante".

A Strasburgo il card.
Camillo Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), ha
esplicitamente dichiarato che "la Chiesa cattolica italiana, così come le altre
Chiese europee, cercherà di fare proprio il contenuto della Charta
Oecumenica
". Nella Prolusione all’ultima assemblea generale della
Cei, il 14 maggio, egli ha poi definito la firma di questo documento
"una pista importante, che potrà essere percorsa con successo nella
misura in cui la Charta
stessa sarà effettivamente recepita, adattata e messa in pratica nei diversi
contesti nazionali e locali. La
Charta
è dunque affidata ora anche al nostro impegno".

Per contribuire a far sì che
queste affermazioni abbiano un seguito e la sollecitudine ecumenica, ancora
insufficiente, della Chiesa cattolica nel nostro paese cresca in modo
significativo, l’Associazione italiana "Noi Siamo Chiesa":

a) si impegna a dare la
massima diffusione alla Charta Oecumenica tramite pubblicazioni,
studi, incontri, approfondimenti, e auspica che l’intera Chiesa italiana, a
tutti i livelli e nelle sue diverse articolazioni, faccia altrettanto;

b) propone a tutti i
soggetti ecclesiali che già si sono coinvolti in varia forma nella fase di
preparazione della Charta Oecumenica di avviare un confronto "dal
basso" sul suo adattamento e la sua applicazione nel contesto italiano;

c) sollecita la Conferenza episcopale
a promuovere una riflessione di tutta la Chiesa italiana, coinvolgendo prima di tutto le
realtà che avevano già inviato proprie osservazioni sulla Bozza, e a
invitare le altre Chiese cristiane presenti nel nostro paese a un dialogo in
proposito.

Questo sforzo dovrebbe
essere finalizzato a tradurre ciascun impegno assunto nella Charta
Oecumenica
in iniziative concrete adeguate al contesto italiano. Per
esempio non si potrebbe

– promuovere un’iniziativa
comune nel campo dell’evangelizzazione?

– creare una commissione
ecumenica incaricata di "rielaborare insieme la storia delle Chiese
cristiane" in Italia?

– lanciare un programma di
formazione teologica ecumenica per laici delle diverse Chiese?

– adottare in tutte le
Chiese italiane il "Padre nostro" nella versione ecumenica?

– aprire un dialogo su quali
passi compiere "in direzione dell’obbiettivo della condivisione
eucaristica"?

– iniziare a discutere
l’istituzione di un Consiglio delle Chiese cristiane d’Italia?

– varare un progetto in
ambito sociale pensato, organizzato e gestito in forma ecumenica?

– avviare una riflessione
ecumenica sulle scelte da attuare in vista della "giusta comunione tra
donne e uomini in seno alla Chiesa"?

– istituire la giornata
ecumenica di preghiera per la salvaguardia del creato?

– convocare, con le altre
Chiese cristiane, una riflessione congiunta su un complesso tema emergente
(per esempio la bioetica)?

– definire un programma di
ristrutturazione in senso ecocompatibile di chiese ed edifici di proprietà
ecclesiastica?

– promuovere un meeting
nazionale dei giovani delle Chiese cristiane?

– celebrare in forma
ecumenica e insieme alla comunità ebraica la "giornata della
memoria" (27 gennaio)?

– promuovere un incontro
nazionale di conoscenza tra cristiani e musulmani?

– convocare un’Assemblea
ecumenica italiana sullo stile di quelle europee di Basilea e Graz?

Se sapremo creare gli spazi
per permettere allo Spirito del Risorto di parlarci nella voce dei nostri
fratelli e delle nostre sorelle, Egli non ci farà certo mancare la creatività.
E far sì che quei "ci impegniamo" non restino lettera morta sarà
responsabilità di tutte e tutti.

Roma, 29 giugno 2001 – Festa
dei Santi Pietro e Paolo

 

 

 



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