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Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Don Milani: leggi il contributo del Card.Martini

Don Milani fu profeta della parola Ma sottovalutò il ruolo delle donne

Pubblichiamo un estratto dell’intervento di Carlo Maria Martini riproposto dalla rivista «Vita e Pensiero» in uscita giovedì 11 maggio. Si tratta di una conferenza del cardinale del 1983, 25 anni dopo Esperienze pastorali, il libro di don Milani che nel dicembre 1958 fu ritirato dal commercio. Nel 2014, sotto il pontificato di Francesco, la Congregazione per la dottrina della fede ha fatto sapere che si trattò di un intervento prudenziale, ma che non aveva più motivo di essere.

Don Milani è un uomo che ha afferrato il primato della parola, intesa nei suoi significati umano e biblico-teologico. Egli ha colto la parola nella sua pregnanza biblica, nella sua potenza creativa, che in Esperienze pastorali chiama la sua dignità vivificatrice, la sua capacità di piegare, di trasformare, di costruire. Qui c’è tutta la dottrina biblica sulla forza creativa, formativa, forgiativa della parola: la parola che fa essere uomo. L’uomo è ciò che è per la parola.

In un noto passo del libro, don Milani, rivelando l’ansia profonda della sua ricerca religiosa e pastorale, osserva: «È tanto difficile che uno cerchi Dio, se non ha sete di conoscere. Quando con la scuola avremo risvegliato nei nostri giovani operai e contadini quella sete sopra ogni altra sete e passione umana, portarli poi a porsi il problema religioso sarà un giochetto. Saranno simili a noi, potranno vibrare di tutto ciò che noi fa vibrare. Ed ecco toccato il tasto più dolente: vibrare noi per cose alte. Tutto il problema si riduce qui, perché non si può dare che quel che si ha. Ma quando si ha, il dare viene da sé, senza neanche cercarlo, purché non si perda tempo. Purché si avvicini la gente su un livello di uomo, cioè a dir poco un livello di Parola e non di gioco». Don Milani scrive parola con la P maiuscola e in corsivo. In tal modo egli intendeva porre l’accento sulla necessità che il credente ha di rivolgere agli altri una parola che insegni e arricchisca: non una parola qualsiasi, che non impegna chi la dice e non serve a chi l’ascolta, non una parola come riempitivo di tempo. (…)

Non sarei completo nel riferire le mie riflessioni sul libro, se non dicessi anche che cosa, a mio parere, vi manca rispetto alle prospettive e alle esigenze di chi lo legge oggi. Incomincerei con il far rilevare la strana assenza in Esperienze pastorali del problema della donna. Una pagina del testo mi dispensa da tante esplicitazioni su questo punto. Si trova al termine dell’analisi che don Milani fa della frequenza alla messa festiva in parrocchia: «Non ho studiato i motivi per cui vengono in Chiesa tante più donne che uomini. Potrebbero essere di ordine storico. Ma in tal caso non ho elementi di giudizio perché il fatto risale a epoche sulle quali mi manca ogni notizia. Infatti a memoria d’uomo il fenomeno non ha presentato qui apprezzabili variazioni. Che siano motivi di ordine teologico mi pare difficile sostenere. Non vedo nel Vangelo traccia di una particolare vocazione della donna alla religione in genere. Tutt’al più si potrà dire chiamata a un particolare tipo di religiosità. Potrebbero infi ne essere motivi legati alla particolare costituzione della forma mentale femminile. Il lettore potrà in tal caso consultare utilmente gli studi degli psicologi. Io non ne ho tempo». E qui termina tutto quello che ha da dire sulla donna nella Chiesa, sulla realtà di una religiosità che pure formava il nucleo tradizionale della sua gente. Si ha quasi l’impressione che per lui il problema pastorale sia solo quello di come portare gli uomini in Chiesa, come portarvi i ragazzi. Vi è una concentrazione esclusiva, di carattere pedagogico su questo elemento, mentre non trova spazio l’attenzione ai problemi sul posto della donna nella cultura, nella Chiesa, nella società. È una lacuna che denota una certa carenza di concretezza nei confronti di ciò che costituiva un aspetto fondamentale dell’esperienza sociale e umana, destinato a così profonde e rapide trasformazioni negli anni successivi.

Don Lorenzo Milani (1923-1967)

Nel leggere Esperienze pastorali a 25 anni di distanza, ci accorgiamo che dietro manca un Concilio, manca la possibilità di riferimento a un consenso ecclesiale sicuro e universale su alcuni orientamenti che il Vaticano II, oggi, ci offre. Riesaminando il libro, si apprezza ancor di più l’immenso valore del Concilio per il fatto di aver costituito linguaggio, mete, opinioni comuni. Don Milani è la figura del pioniere che, al di là della Scrittura e dell’osservazione del quotidiano, non ha altri significativi punti di riferimento del proprio tempo. Proprio in considerazione di ciò, oggi, possiamo vieppiù stimare l’immenso valore per il nostro secolo dell’intuizione di Giovanni XXIII di indire il Concilio. Non per nulla lo stesso don Milani, con una frase scherzosa, poté osservare: «Sono stato scavalcato a sinistra da un Papa».

Ciò che avverto oggi molto carente in questo libro è la mancanza di una Chiesa locale intesa come progetto di riferimento. Il problema della Chiesa locale è rimasto come oscurato da quello della parola. La critica dei metodi sbagliati, la proposta di criteri pastorali alternativi, di una pedagogia incentrata sulla scuola non sembrano sostenuti dal riferimento a una visione di Chiesa come comunità, che possa catalizzare tutte le energie dell’azione e farne cogliere il senso definitivo. C’è chiaramente nel libro l’idea di popolo come opposto a quella di élite borghese, c’è l’idea del povero e quella della parrocchia. Però, il progetto di Chiesa come comunione rimane al di là dell’educazione religiosa e culturale proposta da don Milani. Il suo ideale sembra riassumersi nella convinzione secondo cui i singoli andranno in chiesa quando saranno educati. Ma l’idea di che cosa sia questa Chiesa non è ben presente nell’orizzonte di don Lorenzo. Oggi è questo forse il nodo che segna maggiormente il nostro distacco da quelle pagine, al di là delle critiche, talora violente e superficiali, che furono lanciate nel passato e che coglievano in qualche punto nel giusto, ma forse non toccavano sempre l’aspetto nodale dell’esperienza discussa.

7 maggio 2017


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