Don Roberto Sardelli, una vita tra gli ultimi
Roma. Invece della carriera ecclesiastica, don Sardelli abbraccia dunque con una visione evangelica radicale, gli ultimi e le periferie. La fase della «Scuola 725» si accompagna con le occupazioni e la rivendicazione di una casa per tutti
Manifesto
Edizione del20.02.2019
Nel 1968, intorno ai 30 anni, la sua vita subisce la profonda mutazione. Viene inviato nella parrocchia di San Policarpo, a Don Bosco, zona popolare a est di Roma e lì incontra la condizione delle famiglie di baraccati che vivevano sotto le sue finestre.
Di lì a poco andrà a condividere la vita in baracca e fonda la scuola per i ragazzi che – sull’esempio di quella Barbiana di don Milani – resterà come una delle esperienze più straordinarie della vita sociale della capitale. Dopo dieci mesi di lavoro collettivo con i suoi ragazzi, nasce “Non tacere”, una lettera al sindaco in cui vengono evidenziate tutte le ingiustizie e gli episodi di esclusione sociale.
Invece della carriera ecclesiastica, don Sardelli abbraccia dunque con una visione evangelica radicale, gli ultimi e le periferie. La fase della «Scuola 725» si accompagna con le occupazioni e la rivendicazione di una casa per tutti. Nel 1973 tutte le famiglie ottengono un’abitazione civile, ma sempre di periferia si tratta. Gran parte di esse, compreso don Roberto, vengono collocate ad Ostia e lì inizia la richiesta dei servizi, delle scuole, del verde.
Del resto, in quel periodo don Roberto è parte attiva nel grande convegno sui «Mali di Roma» organizzato nel 1974 dal Vicariato di Roma, che molto ebbe a che fare con la condizione delle periferie.
Poco dopo un altro passaggio della sua vita: lascia l’abitazione che gli avevano assegnato ad un’altra famiglia senza tetto e resta per un po’ di tempo senza alloggio. Trova poi riparo in una piccola casa al Prenestino dove appare un altro aspetto del caleidoscopio delle periferie: gli anziani soli che faticano ad arrivare a fine mese.
Sono gli anni in cui partecipa a scongiurare la speculazione edilizia alla Snia Viscosa. Gli anni in cui collabora con la parrocchia di San Bernardino da Siena di cui è guida il prete operaio don Mario Pasquale in un’altra periferia ancora molto più estrema, al di là del Villaggio Breda, a più di un’ora di distanza dalla «città».
Gli anni in cui, insieme ai suoi ragazzi che non l’hanno mai abbandonato, rinnova l’appello al sindaco di Roma con la lettera «Per continuare a non tacere» dove ripropone nelle mutate condizioni sociali, le identiche esigenze di riscatto delle periferie.
La lettera viene resa pubblica nel 2007, nel pieno dello sbandamento culturale liberista della sinistra al governo. Il sindaco Veltroni pur ricevendo Sardelli e il suo gruppo in Campidoglio, è infastidito dalle richieste e polemizza sulla stampa contrapponendo una visione edulcorata quanto falsa di una città avviata verso un futuro radioso.
Così, don Roberto Sardelli inizia una nuova, ulteriore fase della sua monumentale opera di riscatto delle periferie, collaborando con l’Ufficio progetto urbano della Cgil di Antonio Castronovi e con il gruppo di urbanisti del «Modello Roma» coordinati da Enzo Scandurra.
Un’ultima fase in cui la sostanziale indifferenza della politica sarà il tema conduttore, ma nella quale non mancherà mai a don Sardelli la spinta per continuare a fornire riflessioni e occasioni di crescita culturale al popolo tanto amato delle immense periferie romane.
Un’ultima fase caratterizzata anche dalla grande novità di Papa Francesco che ha le periferie fisiche e sociali al centro dei suoi indirizzi. Una novità che si materializzò un giorno ormai lontano con una telefonata da parte del Papa e che condivise con molto pudore ma di cui colse il grande significato di riconoscimento del suo cammino.
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