“Gracias a la vida”
27/10/2019 È morto questa mattina Eugenio Melandri, un uomo sempre in ricerca, un disobbediente, un innamorato della vita (che ringraziava in tutti i suoi post su facebook), dei poveri. Il ricordo di don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi.
Eugenio Melandri, era un amico, da tantissimo tempo. E resta un amico. Scrivo queste righe così, di getto, con imbarazzo e con tanti pensieri e ricordi che si accavallano. Non sono certo nelle condizioni di fare un ricordo ‘bello’ e ‘completo’ di Eugenio. Ci sarà tempo, con più calma. Anche se la vedo dura ricordare Eugenio in modo completo. Proprio una settimana fa, domenica 20 pomeriggio, eravamo con lui, a gioire con le lacrime agli occhi perché, dopo 30 anni, tornava a presiedere l’Eucarestia. Grazie a papa Francesco, al vescovo Matteo Zuppi di Bologna, alla sua ‘famiglia’ Saveriana, con il vescovo Giorgio Biguzzi, gli altri fratelli, con Albino Bizzotto, Tonio Dell’Olio e tante amiche e amici, ‘compagni’ di viaggio. Sì, perché quello di Eugenio è stato un viaggio nella vita molto intenso. E la vita l’ha voluta vivere tutta, intensamente, fino all’ultimo, dicendo sempre Gracias a la vida, come titolava ogni suo post su Facebook. Missionario saveriano, per alcuni anni giovane direttore della rivista Missione Oggi (gli ho cambiato anche il nome, ci diceva domenica). E con quella rivista ha seminato umanità, passione, documentazione. Ha promosso campagne, ha fatto entrare nelle case e nel cuore di tante persone scritti con parole vere. Non posso dimenticare la bellissima riflessione sulle Beatitudini intitolata: “Sinfonia dei folli”. Poi la campagna contro i mercanti di morte. Il lavoro intenso che ha portato alla legge 185/90 sul commercio delle armi. Me lo avevi raccontato qualche mese fa per una intervista pubblicata su Mosaico di pace. E in questa lotta al tuo fianco c’è stato sempre il tuo grande amico, don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e Presidente Nazionale di Pax Christi. Piangevi di gioia quando insieme, a Molfetta, aspettavamo papa Francesco il 20 aprile 2018: erano 25 anni dalla morte di don Tonino. E volevi andare a celebrare la tua Messa proprio ad Alessano, da don Tonino. Con lui avevamo condiviso la marcia a Sarajevo nel dicembre 1992, con altri 500 ritenuti ‘folli’. Mi sembra che ti arrivassero telefonate. Eravamo sullo stesso pulmann, per convincerci a non metterci in quell’impresa. Ci sono delle belle foto con te a Sarajevo. A credere che è possibile un mondo di pace, anche, e forse ancora di più, quando c’è una guerra. Con noi c’era anche il vescovo Bettazzi. Tu eri parlamentare, eletto nelle liste di Democrazia Proletaria. Hai fatto quella scelta sofferta, ma convinta. Sapevi che ti sarebbe costata, ma era un tuo modo di essere ‘missionario’. In fondo Eugenio hai sempre avuto una faccia sola. Il tuo amore per il Vangelo tradotto nell’amore per i poveri era sempre lo stesso. Missione Oggi, Chiama l’Africa, SenzaConfine, Solidarietà Internazionale… Quanta passione ci hai messo. E quando qualche mese fa hai incontrato papa Francesco e gli hai parlato delle tue scelte, dell’impegno nella politica, lui ti ha abbracciato e ti ha detto “hai fatto bene”. Eri l’uomo più felice del mondo. Un bambino nel senso più bello del termine, che piangeva di gioia dopo quell’incontro. Lo hai raccontato benissimo su FB, come sai fare tu. Sì, perché Eugenio – (e ora mi sono accorto che ero passato al tu diretto, forse giornalisticamente non è corretto, ma è così, con Eugenio si parla col cuore) – sapeva scrivere davvero bene! Sapeva raccontare di ogni cosa con passione. Delle sue avventure con la malattia, dei suoi momenti di fatica, di dolore e di paura… E mentre leggi cadono le lacrime sulla tastiera, come ha scritto un amico. Sì, Eugenio ci ha insegnato anche a piangere, a non avere vergogna della propria debolezza. Ce lo diceva domenica scorsa parlandoci da seduto: di solito sono le persone importanti che fanno i discorsi da seduti, io invece sto seduto perché non ce la faccio a stare in piedi, e non mi vergogno della mia debolezza.
Eugenio è morto la domenica mattina, giorno della resurrezione. La Parola di Dio nella liturgia faceva risuonare “Il povero grida e il Signore lo ascolta”. E San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.” Tu ci hai insegnato a vivere con passione ma, come ci dicevi parlando della tua mamma, ci hai anche insegnato come si muore. Con la gioia dentro, come qualcuno mi diceva oggi.
Sì, sono convinto, e non lo penso solo io, che sia un disegno della Provvidenza dietro alla Parabola della vita di Eugenio. Un uomo sempre in ricerca, un disobbediente, un innamorato della vita, dei poveri. “Compagno è una bellissima parola, – ci dicevi domenica – E’ impegnativa! Significa spezzare il pane. Compagno vuole dire che io non posso vivere se non faccio vivere gli altri insieme con me.” E anche le parole di Francesco all’Angelus, pochi minuti dopo la tua morte, sono un segno, credo, della Provvidenza. “Per il cammino che verrà, invochiamo la Vergine Maria, venerata e amata come Regina dell’Amazzonia. Lo è diventata non conquistando, ma “inculturandosi”: col coraggio umile della madre è divenuta la protettrice dei suoi piccoli, la difesa degli oppressi. “
Ciao Eugenio. Grazie!
- Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi
La lettera del 1989 di Eugenio Melandri con cui accettava la candidatura al Parlamento europeo in Democrazia Proletaria
Per ricordare il nostro compagno Eugenio Melandri condividiamo la lettera – all’epoca pubblicata su Adista – che scrisse a Giovanni Russo Spena nel 1989 rispondendo alla richiesta di candidatura nelle liste di Democrazia Proletaria. Eugenio dopo l’elezione fu sospeso a divinis.
Padre Eugenio Melandri: Vi spiego le ragioni e confesso la trepidazione per la mia scelta politica.
Il missionario saveriano padre Eugenio Melandri, fino a qualche mese fa direttore di “missione oggi”, la rivista della sua congregazione religiosa (“Pia società di S. Francesco Saverio per missioni estere”), ha accettato la proposta del segretario di “Democrazia Proletaria”, on. Giovanni Russo Spena, di candidarsi come indipendente alle prossime elezioni per il parlamento europeo.
Padre Melandri è conosciutissimo in tutto il mondo cattolico italiano per essersi impegnato in questi anni in tutte le battaglie per la pace, per la difesa dei popoli del Terzo Mondo, per l’obiezione fiscale alle spese militari e per la cessazione del commercio italiano di armi soprattutto con i paesi poveri o oppressori di popolazioni povere.
Della sua candidatura si parlava già nelle scorse settimane ma solo venerdì 28 aprile il religioso ha ufficialmente annunciato di aver accettato la candidatura.
La sua scelta ha già suscitato reazioni positive e negative nel mondo cattolico e in quello politico. Le autorità ecclesiastiche non si sono pronunciate ma si presume che lo faranno presto.
Nella conferenza stampa di presentazione della sua candidatura, padre Melandri ha spiegato per filo e per segno tutte le ragioni che lo hanno indotto a compiere questa scelta, ragioni contenute anche nella lettera di risposta al segretario di D.P.
Sapendo di avere tra i suoi lettori moltissimi simpatizzanti di Padre Melandri, Adista ritiene opportuno pubblicare integralmente la lunga lettera per consentire a tutti, quelli che approvano e quelli che disapprovano la decisione del religioso, di darne una valutazione anche alla luce delle ragioni da lui esposte.
“Carissimo Giovanni,
la tua lettera, con la proposta di candidatura come indipendente alle prossime elezioni europee nelle liste di D.P., ha messo in moto dentro di me tante considerazioni e tanti interrogativi.
La tua proposta infatti, se da una parte mi fa onore, dall’altra scatena in me una miriade di pensieri contrastanti, tante suggestioni.
Cerco di mettere il tutto per iscritto, in modo anche da saperlo ordinare.
Cosa può voler dire per me fare il parlamentare europeo? Cosa, poi, accettando una proposta che mi viene da democrazia proletaria?
E tutto questo che conseguenze può portare nel mio impegno e nella mia testimonianza? La risposta non mi appare chiara, anzi, più passa il tempo e più prendo in considerazione questa eventualità, più diventa problematica.
È vero che ogni scelta non è mai chiara agli inizi.
La vita in fondo è una scommessa sulla quale ognuno è chiamato a giocare se stesso e le sue convinzioni.
Così ogni scelta diventa rischiosa e la si chiarisce solo con il tempo, mentre la si vive. Tu un po’ mi conosci sai che sono. Sono innanzitutto una persona che crede fermamente in alcune cose alle quali è giunto attraverso una serie indecifrabile di circostanze.
Credo sia indispensabile “inventare” una cultura nuova, capace di rispondere in maniera innovativa alle sfide e ai drammi del nostro tempo.
Una cultura quindi che sia elastica, che pure stando aggrappata alla propria identità, sappia mettersi continuamente in questione, per creare quelle condizioni che rendano possibile e vivibile la vita di tutti.
È da questa cultura nuova che deve nascere una politica nuova, un’ economia nuova, un nuovo modo di gestire la propria vita, di vivere sia le scelte piccole nel quotidiano, sia le grandi scelte che chiamano in causa il presente ed il futuro dell’umanità. Ho parlato di “invenzione” perché credo che si tratti di qualcosa di radicalmente diverso.
Non dobbiamo, ho scritto nell’appello per la costituzione di un movimento di disarmo unilaterale, riformare il sistema di guerra ma inventare un sistema di pace.
In questo quadro di riferimento tutti sono posti in questione e tutti siamo in fallo.
In ritardo.
Perché ci sono una drammi umani ed ambientali che oggi domandano una totale messa in discussione delle persone verso se stesse, verso la natura, verso altri e, se credenti, verso Dio.
È richiesta una vera propria rivoluzione copernicana.
Non è certo il caso di stare specificare tutto ma la ricerca non può che essere globale e porre le basi di una nuova concezione della vita stessa.
A questo convinzioni io sono arrivato partendo dalla mia fede nel Gesù di Nazareth e dalla scelta di essere padre missionario.
Sono sempre stato convinto che ai credenti tocchi la responsabilità di dire una parola (che poi si fa vita) chiara di fronte alle grandi contraddizioni che caratterizzano il nostro tempo.
Mi è sembrato di capire che la missione oggi è sfida a “fare nuove tutte le cose.”
A rinvenire tutte le schegge di vita che cercano di farsi strada in questa storia tormentata.
A dire una “buona notizia” sul presente e sul futuro del mondo.
A proclamare una speranza, che diviene denuncia di tutto ciò che va contro il progetto di vita che Dio ha pensato per il mondo.
Ciò significa innanzitutto capacità di disobbedire agli assunti su cui si regolano la politica, l’economia, la vita stessa.
Oggi infatti siamo posti di fronte ad alcuni nodi storici che vanno affrontati abbandonando gli schematismi logori del passato. Primo fra tutti quello del rapporto tra il Nord e il Sud del mondo.
Se qui da noi anche tutto andasse bene, saremmo ugualmente in una situazione di peccato perché condanniamo la gente del sud del mondo a vivere in condizioni disumane.
Io non ho la soluzione in tasca ma sono convinto di una cosa: i poveri sono il giudizio vivente che condanna il nostro sistema.
Perché ci crede sono essi che ci giudicheranno nell’ultimo giorno. Vent’anni fa Paolo VI, nell’enciclica “Populorum progressio”, lanciava un monito molto grave: “Ostinandosi nella loro avarizia i ricchi provocheranno il giudizio di Dio e la collera dei poveri.”
Oggi la minaccia si fa sempre più reale e pone interrogativi di enorme portata a tutte le persone preoccupate di creare un mondo vivibile. Se tra Est e Ovest è possibile trovare, spesso in forme demenziali, penso alla politica del riarmo, forme di coesistenza, tra Nord e Sud non è possibile coesistenza pacifica se non cambiano le regole del gioco
Di qui la necessità di uno “sviluppo sostenibile” che domanda un cambiamento radicale della nostra vita-Contro la fame cambia la vita- e che pone sotto giudizio i rapporti tra le nazioni e lo stesso diritto internazionale, che gioca sempre a favore dei più forti.
È il modello di sviluppo basato sulla violenza che deve essere del tutto reinventato.
Violenza sulla natura, violenza dell’uomo sull’uomo.
Bisogna riscrivere tutte le regole del gioco a partire dai più poveri.
È solo partendo da loro che è possibile riscrivere una politica che non sia sempre a vantaggio dei privilegiati i quali si accorgono dei grandi problemi del mondo solo quando sono posti in crisi i loro privilegi.
Non può esserci pace vera che non parta dai poveri, ne impegno ambientale serio che non parta dai poveri.
Pace, sviluppo e salvaguardia del creato diventano allora-guardarti con gli occhi dei poveri- l’unica grande sfida che tocca all’umanità alle soglie del III millennio.
E tutto questo deve essere fatto con una logica nuova.
Quella che assume come metodo di lavoro la non violenza intesa come nuovo modo di affrontare la vita, ricerca incessante della verità, base da cui partire nella gestione di qualsiasi forma di conflitto.
Da queste convenzioni che qui ho riportato schematicamente sono scaturite le mie scelte di questi anni.
Ho tentato di giocare la mia identità e la mia fede nella storia, cercando, come potevo, di interpellare dal basso situazioni e la politica.
Mi sono scoperto così, anche senza volerlo, far politica nella società, fuori dal palazzo.
La cosa bella che ho scoperto in questi anni è stata la mia libertà.
Non essendo di nessuno, ho potuto trovarmi con tutti.
Ho incontrato persone o gruppi di diversa estrazione sia culturale che religiosa o politica.
Con loro ho percorso lunghi tratti di strada, ho condiviso ideali e lotte.
Ho sperimentato quella trasversalità di cui tanto si parla.
Ho capito che nella società non esistono quelle rivalità e quei ghetti che tanto
spesso contraddistinguono la classe politica.
Fra questi compagni di strada molti anche di Democrazia proletaria.
Con loro, come con altri, ho condiviso iniziative politiche, momenti di impegno e spesso anche amicizie e ideali.
Tuttavia mai mi sono identificato con D.P. in quanto tale.
Su varie cose, anzi, sono in aperto dissenso, che come può immaginare nasce anche dalla mia provenienza, da quella che mi piace chiamare la mia storia.
Che poi è la mia fede.
Non c’è nulla di strano quando ciò avviene in un rapporto non istituzionale.
Qualcosa di strano c’è invece quando ciò si verifica all’interno di un rapporto più stretto come quello che tu mi proponi.
E qui salta fuori l’indipendenza.
Vorrei dirti che per me essa è indispensabile, anche perché io sono tendenzialmente un disobbediente.
Devi sapere, quindi, che fai questa proposta a qualcuno che la propria indipendenza la vivrà sul serio. In una parola, non sarò io che dovrò fare i conti con DP, ma è DP che dovrà fare i conti con me.
Ti dicevo prima che in questi anni ho sperimentato quella libertà che, proprio perché non ero di nessuno, mi ha fatto incontrare con tutti.
So che accettare, anche se come indipendente, la candidatura offertami da un partito, di fatto chiude strade al dialogo, possibilità di incontro.
Questa per me è la più grande remora che mi porto dentro rispetto alla proposta che tu mi fai.
So che dovrò dimostrare con le scelte di avere come mia unica parte solo quella della povera gente.
In proposito voglio dirti anche che sto seguendo molto il dibattito scaturito dall’appello per un’unica lista in occasione delle elezioni per il Parlamento Europeo. Nel mio lavoro di questi anni, come ti dicevo, ho incontrato persone di provenienza diversa, che va ben oltre alle attuali diversificazioni partitiche, tutte impegnate nella stessa ricerca.
Con tutti mi sono trovato bene.
Il fatto stesso che i Verdi mi facciano la stessa proposta fattami da DP mi sembra un segno di questa posizione.
Se alla fine ho deciso di accattare la tua proposta, questo nasce soprattutto da motivi di amicizia.
Ma domani, pur trovandomi in una posizione diversa, vorrei continuare ad essere segno più di unità che di divisione. Anche perché i problemi presenti nella società, quelle sfide di cui ti parlavo prima, chiedono la scomposizione di ogni forma di cristallizzazione e la capacità da parte di tutti di lasciarsi attraversare, quasi di “farsi rifondare”, dalle nuove domande che provengono dalle cose stesse.
Non per niente sopra parlavo di “cultura nuova” che deve stare alla base di una politica nuova.
Ma i problemi non sono finiti.
Cosa andrei a fare al Parlamento Europeo? Tu sai molto bene che io non ho alcuna esperienza di politica a livello istituzionale.
Certo, se fossi eletto, studierei la situazione e cercherei di fare con assiduità il mio dovere.
Ma devi sapere che “il lupo perde il pelo e non il vizio” per cui, in fin dei conti, continuerei a fare le stesse cose di prima. In una parola, sarei più un parlamentare di strada che di palazzo, cercando di approfittare di quella posizione per fare meglio, con più competenza, il lavoro svolto finora.
E qui si inserisce un’altra esigenza.
So che il Parlamento Europeo mette a disposizione molto denaro e lo ritengo un fatto scandaloso.
Ci sono persone che si arricchiscono facendo politica.
È un insulto alla gente, soprattutto ai poveri del mondo.
Io vorrei “restituire” questo denaro, usandolo per un progetto di lavoro rivolto soprattutto di terzomondiali che bussano alla porta del nostro paese.
Si potrebbe, ad esempio, pensare ad una casa di prima accoglienza, dove io stesso potrei vivere con loro.
Accanto a questa casa potrebbe sorgere un centro di aiuto legale e di studio accurato del fenomeno.
È un progetto embrionale che dovrà essere studiato meglio e potrebbe partire subito dopo le elezioni.
Caro Giovanni, nella tua lettera scrivi che ci sono dei momenti in cui bisogna scommettere.
Sai che questa scommessa per me rappresenta un salto notevole che può mettere in discussione tutta la mia vita.
Io sono un prete e sono missionario e non vorrei in nulla mettere in questione la mia identità.
So che la mia scelta porrà a tanti dei problemi e che non sarà certo priva di conseguenze.
Le ho valutate.
Credo tuttavia che ci sono dei momenti in cui ognuno è solo con se stesso ed è chiamato a scegliere rischiando anche tutto.
Io sono convinto, infatti, che oggi uno dei luoghi da evangelizzare sia proprio la politica ed è con questo intendimento che sono pronto ad accettare questa scommessa.
Il mondo che spesso sogno e per il quale vorrei spendere la mia vita non è un mondo di uguali.
Sarebbe noioso e privo di movimento.
E’ un mondo fatto invece di tanta gente diversa che sa vivere questa diversità come ricchezza e sa metterla a disposizione della costruzione di una vita più umana per ogni donna e per ogni uomo, in questa terra che secondo il progetto di Dio è la casa di tutti.
Avrai capito che non mi piacciono le “chiesucole” e che invece mi pare indispensabile lanciare ponti di dialogo e di collaborazione con tutti.
Ogni persona umana, al di là delle provenienze diverse, è una ricchezza. D’altra la sfida che oggi ci è posta davanti è quella di una società solidale dove “tutti siano veramente responsabili di tutti”.
Con questo spirito, vorrei che la mia candidatura rappresentasse un momento unitario e fosse motivo per richiamare sia la cosiddetta maggioranza che la cosiddetta minoranza, di un piccolo partito come DP, a cercare le vie migliori del dialogo e della collaborazione, cercando di far leva sui punti di incontro per superare i punti di divisione.
Caro Giovanni nella tua lettera mi chiedi di “sognare” con voi.
I sognatori, lo sai, sono pericolosi, non sono funzionali al sistema, perché si ostinano a sperare contro ogni speranza, a credere altro, a pensare altro.
I sognatori sanno spaziare anche oltre il visibile, sanno vedere i frutti già presenti nei piccoli semi.
I sognatori non si adattano piccoli compromessi di bottega e, anche quando fanno delle piccole scelte, tengono sempre presente il punto d’arrivo.
Queste settimane sono state per me è difficili.
Ho, in un certo senso, ripreso in mano tutta la mia vita.
Ho cercato di fare il punto su me stesso, sui miei ideali e sui motivi che mi hanno spinto, ormai 15 anni fa, a diventare prete e missionario.
Mi sono accorto che in questi anni nessuno di quegli ideali è venuto meno.
Che il sogno che avevo allora lo conservo ancora intatto dentro il cuore.
Se accetto questa tua proposta è per portare avanti quel medesimo sogno su una strada difficile che forse molti non comprenderanno.
Ma la vita è rischio e accetto, con un po’ di paura ma anche con tanta voglia di dare voce a tutti quei sogni che mi porto dentro.
So che, condividendoli con altri, sapremo trovare insieme la strada perché diventino davvero realtà.
Ti ringrazio,
Eugenio Melandri
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