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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Fascisti e leghisti che si dicono per la civiltà cristiana aprono l’offensiva contro i cristiani che si occupano dei migranti

Catto-fascio-leghisti alla ribalta

di Luca Kocci
in “il manifesto” del 6 agosto 2015
Inchiodano i crocefissi sulle pareti delle aule scolastiche perché sono un segno della «nostra
civiltà», ma aggrediscono papa, vescovi e preti quando si schierano dalla parte degli immigrati.
Rivendicano le «radici cristiane» dell’Europa, ma se qualche cristiano afferma che la “fortezza
Europa” deve abbattere i muri di protezione e di separazione lo marchiano come complice degli
scafisti e amico dei terroristi.
È il cattolicesimo dei fascio-leghisti, sempre più compenetrati gli uni negli altri dopo la “svolta
nazionale” di Salvini, a cui si sono prontamente accodati nostalgici del ventennio e residuati in
camicia nera sedotti dalla possibilità di superare la barriera dello zero virgola delle loro fiacche
prestazioni elettorali. Ma anche dei perbenisti borghesi che iscrivono i figli nella scuola cattolica e
poi sbraitano se il vescovo decide di ospitare un gruppo di profughi vicino all’istituto frequentato
dai loro rampolli.
Un cattolicesimo svuotato del Vangelo, trasformato in religione civile di un’Italia «Dio, Patria e
famiglia», in piena sintonia con quel pezzo di Chiesa gerarchica, conservatrice e maschilista che ha
opportunisticamente lasciato fare, quando non benedetto. Poche battaglie, strumentalmente
selezionate: sì alla «famiglia naturale»; sì al crocefisso e al presepe in ogni aula; sì al finanziamento
pubblico delle scuole paritarie; no agli immigrati, soprattutto se islamici, quindi no alle moschee; no
agli omosessuali che rivendicano i propri diritti; no alla «ideologia del gender», senza sforzarsi di
capire davvero di cosa si tratta.
Alcuni episodi delle ultime settimane rivelano la contraddizione di una religione senza fede,
brandita come una clava dai fascio-leghisti e da quella «vecchia piccola borghesia» – cantava
Claudio Lolli – «contenta se un ladro muore o se si arresta una puttana, se la parrocchia del Sacro
Cuore acquista una nuova campana».
Il primo nell’ex Veneto bianco, area Marca trevigiana. A metà luglio, alcuni abitanti di Quinto di
Treviso, spalleggiati dal leghista presidente della Regione Luca Zaia, protestano con veemenza e
respingono il trasferimento di un centinaio di profughi in un condominio. Pochi giorni fa due
vescovi, mons. Gardin (Treviso) e mons. Pizziolo (Vittorio Veneto), scrivono una lettera aperta, per
condannare la rivolta: siamo cristiani «nella maniera che ci è richiesta dal Vangelo o secondo un
cristianesimo accomodante che ci siamo rimodellati sulle nostre ideologie o sulle nostre chiusure?»,
chiedono i due vescovi, «sconcertati di fronte alla deformazione di un cristianesimo professato a
gran voce, e magari “difeso” con decisione nelle sue tradizioni e nei suoi simboli, ma svuotato
dell’attenzione ai poveri, agli ultimi». Non si scompone Zaia: «I vescovi, che rispetto in quanto
cattolico, io li capisco perché il Vangelo predica la solidarietà, ma i veneti hanno capito che molti di
questi che noi aiutiamo come profughi non sono affatto in difficoltà. I vescovi hanno dato tutto
quello che potevano dare? I seminari sono tutti pieni di immigrati e di profughi? Non mi risulta. Chi
è senza peccato scagli la prima pietra». Pochi giorni prima il capo di Zaia, Matteo Salvini,
segretario della Lega Nord e paladino dei presepi nelle scuole, dopo aver criticato il papa sempre
sul tema immigrati, se l’era presa con don Formenton, un prete veneto da anni trapiantato in
Umbria, che all’indomani della protesta anti-immigrati di Quinto (e di Roma, con i fascisti di Casa
Pound ad alzare le barricate contro il trasferimento di un gruppo di rifugiati in un centro di
accoglienza), aveva affisso sul portone della sua parrocchia a Sant’Angelo in Mercole (Spoleto), un
cartello: «In questa Chiesa è vietato l’ingresso ai razzisti, tornate a casa vostra!», e le parole di Gesù
del Vangelo di Matteo «Ero straniero e non mi avete accolto… Lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno». Salvini commenta su Facebook: «Don Gianfranco Formenton attacca la Lega, parlando di
razzismo, odio, squadrismo, Hitler e Mussolini “Vietato l’ingresso ai razzisti” si legge all’ingresso
della “sua” chiesa. Forse il parroco preferisce gli affaristi alla Mafia Capitale? Preferisce gli scafisti,
gli schiavisti, i terroristi? Povera Spoleto e povera Chiesa, se questo è un prete…».
Dalla Lega a Forza Nuova. A fine luglio alcuni militanti del movimento politico fondato da Roberto
Fiore e Massimo Morsello affiggono di fronte alla cattedrale di Avezzano (Aq) un manifesto contro
il vescovo, mons. Santoro, reo di una pastorale di accoglienza verso i migranti: «Per il vescovo
prima i clandestini, per Forza Nuova prima gli italiani». Forza Nuova non è nuova ad iniziative di
questo tipo: l’anno scorso striscioni con la scritta «No fiabe gay. Proteggiamo i nostri bambini»
vennero issati davanti alle librerie Paoline di Treviso, Trieste e Verona perché negli scaffali erano i
vendita alcuni libri contro la violenza di genere e l’omofobia. E qualche anno prima i neofascisti si
erano arrabbiati con un altro prete, don Armando Zappolini, che nella sua parrocchia a Perignano
(Pisa) accanto al presepe aveva piazzato un cartello a sostegno della legge per la cittadinanza ai
bambini stranieri nati in Italia: «Gesù, bambino nato in Italia nella notte fra il 24 e il 25 dicembre da
genitori palestinesi senza documenti di soggiorno, non potrà diventare cittadino italiano». Eppure
Forza Nuova è movimento che rivendica la propria cattolicità: il 20 giugno era in piazza a Roma,
insieme ai neocatecumenali e ad altri gruppi cattolici, “per la famiglia e contro il gender”; e l’8
agosto i forzanovisti calabresi concluderanno il proprio Campo d’azione – durante il quale è
prevista la proiezione di Sodom. La rivoluzione antropologica in atto, documentario a cura
dell’associazione cattolica Pro Vita – a Belmonte Calabro (Cs) con il rito del “presente” a Michele
Bianchi (gerarca fascista calabrese morto nel 1930) al termine di una messa officiata da don Giulio
Tam, prete lefevriano – quindi fuori dalla Chiesa cattolica – espulso anche dalla Fraternità San Pio
X, che dice del proprio look: «la mia tonaca è una camicia nera taglia XXL».
Il terzo episodio a Crema, dove il vescovo, mons. Cantoni, su richiesta della Prefettura, decide di
accogliere in un ex convento di suore una ventina di giovani profughi extracomunitari. Ma non
aveva considerato, il vescovo, che accanto al convento c’è una scuola cattolica, e che i cattolicissimi
genitori dei bambini si sarebbero ribellati: proteste in Municipio e in Curia, raccolta di firme,
minacce di ritirare dalla scuola i propri figli al grido «gli immigrati dove ci sono i nostri figli non li
vogliamo». Il vescovo fa dietrofront, ma bacchetta le «reazioni sconsiderate e irrazionali», dettate
dal «demone della paura dell’altro, del diverso da noi, dello straniero» e «dal nostro perbenismo
fondato sul pensare solo a noi stessi o ai nostri figli».
Si può chiedere alla Chiesa, se davvero è lontana da questo cattolicesimo antievangelico, di
impiegare la stessa energia e la stessa determinazione usata in altre situazioni e contro altri “nemici”
per isolare questi “buoni cattolici”?


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