Il Consiglio di Stato: Eluana Englaro aveva il diritto di morire in Lombardia
Dichiarata illegittima la decisione dell’ex governatore Roberto Formigoni che di fatto bloccò la sentenza della Cassazione che autorizzava la sospensione del trattamento terapeutico. L’avvocato Angiolini: “Il diritto alla cura comprende il diritto ad interromperla”. Il padre: “Ormai c’è un prima e un dopo Eluana”
Eluana aveva il diritto di morire in Lombardia. E la Regione guidata all’epoca da Roberto Formigoni aveva l’obbligo di garantire la sospensione delle terapie alla donna rimasta in stato vegetativo per quasi 18 anni. Il Consiglio di Stato ha messo la parola fine, ieri pomeriggio, alla vicenda di Eluana Englaro, costretta a essere trasportata in Friuli nel febbraio 2009, alla clinica La Quiete di Udine, per vedere attuata la sentenza della Cassazione che autorizzava la sospensione del trattamento terapeutico e del sondino nasograstrico, e che la Lombardia si rifiutò di attuare.
Un ultimo viaggio in ambulanza, inseguita da telecamere e cronisti, dall’istituto Luigi Talamoni di Lecco fino alla sua terra d’origine, che trasformò la vicenda di Eluana Englaro in un caso internazionale, e che fu reso necessario da una decreto imposto da Roberto Formigoni, allora governatore della Regione Lombardia, che vietò la sospensione delle terapie che tenevano in vita Eluana su tutto il territorio lombardo. Terapie che dopo un iter giudiziario durato oltre 13 anni la Cassazione aveva autorizzata a sospendere.
Una decisione, quella della Lombardia, che è stata dichiarata illegittima ieri dal Consiglio di Stato e che apre, inevitabilmente, anche il capitolo del risarcimento danni alla famiglia di Eluana. «È una sentenza molto importante sul piano del diritto», spiega l’avvocato Vittorio Angiolini, il costituzionalista che ha seguito la famiglia Englaro nella lunga battaglia giudiziaria per vedersi riconosciuto il no alle terapie che tenevano in vita Eluana contro la sua volontà. «I magistrati stabiliscono che la Regione era tenuta a fornire le cure alla paziente Englaro e che il diritto di avere una cura comprende, in se stesso, il diritto di interromperla. Questo significa che Eluana avrebbe dovuto trovare questo tipo di assistenza, che poi trovò a Udine, anche in Lombardia, come anche il Tar aveva stabilito».
«La vicenda di Eluana porta avanti delle libertà fondamentali del cittadino di fronte alle istituzioni. E questa sentenza chiarisce ulteriormente il senso della decisione della Cassazione, che viene chiarita dentro l’organizzazione sanitaria», dice papà Beppino Englaro. «A dimostrazione del potere che ha il cittadino di portare avanti le proprie libertà fondamentali, allineate alla Costituzione, sostenuto da una magistratura che dimostra di non essere serva di alcun potere. Questa sentenza dimostra ancora una volta che c’è un prima e un dopo Eluana, e che sono i cittadini qualunque, come siamo tutti noi, ad avere la possibilità di cambiare veramente le cose dal basso, nel concreto».
Ben diverso fu il comportamento di Formigoni e dell’allora direttore generale della Sanità lombarda, Carlo Lucchina (rinviato a giudizio a Milano insieme a Giulio Boscagli, cognato di Formigoni, nell’ambito di un’inchiesta sul progetto Telemedicina), che con una deliberazione regionale decretarono il divieto sul territorio lombardo alla sospensione delle terapie come autorizzata dalla Cassazione. «Da questo divieto, dichiarato illegittimo ieri, è nata tutta la problematica questione del trasferimento di Eluana in un’altra struttura», aggiunge Angiolini.
Un trasferimento che espose la famiglia Englaro a mesi di polemiche, di bufera mediatica, di tentativi e rinunce. Fino all’arrivo, nel febbraio 2009, alla clinica La Quiete di Udine, dove le terapie furono sospese seguendo il protocollo medico autorizzato dalla Cassazione e dove Eluana morì il 9 febbraio, poco dopo le 19.30, mentre in Senato era in corso il tentativo di ripetere, a livello nazionale, il blitz con cui proprio Formigoni aveva vietato alla donna di esercitare il proprio diritto a non essere curata contro la propria volontà.
Si apre ora il capitolo del risarcimento danni. La famiglia Englaro, infatti, aveva atteso questa sentenza prima di agire, «in quanto all’epoca c’era una priorità più importante, che era Eluana», spiega Angiolini. In secondo luogo, «tutto si svolse molto velocemente e non ci fu il tempo per quantificare il danno arrecato da questo provvedimento. Ora che la sentenza chiarisce le responsabilità, valuteremo il da farsi». Con l’ipotesi di tirare in ballo non solo l’ente regionale, ma Roberto Formigoni e Carlo Lucchina, artefici materiali del divieto che costrinse Englaro a un’odissea fra ospedali e cliniche. Una vicenda che scosse il Paese e coinvolse le massime cariche dello Stato, dall’allora ministro della salute Maurizio Sacconi, che firmò un atto di indirizzo con l’intento di fermare il trasferimento di Eluana Englaro a Udine, fino all’ex premier Berlusconi che si schierò per il no alla sospensione delle terapie e che varò un decreto del governo, il 6 febbraio 2009, per bloccare Eluana. Decreto che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si rifiutò di firmare.
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