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Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Francesco innova la pastorale ma non tocca la dottrina

Francesco: dove porta la barca di Pietro?

Al terzo anno dall’elezione di Francesco a vescovo di Roma, è impossibile in poche righe fare un sia pur rapido elenco delle “novità” da lui apportate. Conviene, piuttosto, sottolineare alcune sue caratteristiche decisive: l’insistenza sulla misericordia, per comprendere il mistero di Dio e fare della Chiesa una madre amorosa, abbandonando quel volto di matrigna che per troppo tempo l’ha caratterizzata; la volontà di riformare la “pastorale”, lasciando però immutata la dottrina (i princìpi dai quali discende l’operare); la consapevolezza che il baricentro della Chiesa dall’Occidente si sta spostando al Sud del mondo; l’urgenza di guardare i problemi della Chiesa e del mondo dal punto di vista degli impoveriti.
Cambiando la rotta della barca di Pietro al soffio di questi venti, era inevitabile qualche scossone in una comunità cattolica composta da 1,2 miliardi di fedeli, e frazionata tra persone che lo considerano un nocchiero imprudente, da altre che lo criticano per scelte ritenute gattopardesche, e da molte altre entusiaste di lui. Atteggiamenti variegati che, a volte in modo esplicito, segnano lo stesso episcopato e il collegio cardinalizio. Diffusa, comunque, è la convinzione che, dopo il ciclone Bergoglio venuto “dalla fine del mondo”, nulla sarà più come prima nella Chiesa romana, chiamata a profondissimi cambiamenti.
Andando all’osso, pochi giorni fa Hans Küng, il grande studioso svizzero per tanti anni docente a Tubinga (e al quale nel 1979 papa Wojtyla negò di potersi considerare teologo “cattolico” in quanto contestava l’infallibilità pontificia definita dal Concilio Vaticano I nel 1870), proponeva a Francesco di riaprire un corale dibattito su quel dogma, sostenendo che la sua permanenza impedisce di attuare le desiderate riforme. Forse, però, più della “infallibilità” in senso stretto (di fatto mai accampata dai pontefici), è l’”infallibilismo” il vero ostacolo: cioè la pretesa della Curia romana che i fedeli obbediscano “come se” il papa fosse sempre “infallibile”. E così teologi cattolici furono radiati perché espressero un dissenso responsabile contro la “Humanae vitae”, l’enciclica con cui Paolo VI nel 1968 proibiva i contraccettivi. Ma potrebbe un pontefice, da solo, senza un Concilio, scardinare solenni affermazioni del passato magistero?
Per superare l’impasse, Francesco cerca di dare un’interpretazione “liberal” di pronunciamenti papali antichi e recenti, lasciandone però immutato il cuore dottrinale. Il che, saggio per alcuni, ad altri appare una fragilità del suo impianto teoretico; secondo costoro, infatti, occorrerebbe avere il coraggio di riconoscere decaduta, se non è biblicamente fondabile, una data dottrina. La stessa aporia si pone sull’ipotesi della donna nei ministeri, dopo che Giovanni Paolo II nel 1994 ne proclamò con “sentenza definitiva” l’impossibilità. Bypassando questi, e altri, nodi irrisolti, all’alba del suo quarto anno Francesco prosegue la sua ardita navigazione, facendosi guidare dalla Croce del Sud.
Luigi Sandri [“Trentino”, 14.3.16]


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