Il gesuita che umiliò i generali
La storia finora mai raccontata della rete clandestina con cui il giovane Bergoglio salvò decine di “sovversivi” dalla ferocia dei dittatori argentini
di Sandro Magister
ROMA, 27 settembre 2013 da l’Espresso – Nella sua intervista a “La Civiltà Cattolica” che ha fatto il giro del mondo, papa Francesco descrive la Chiesa come “un ospedale da campo dopo una battaglia”, dove la primissima cosa da fare è “curare i feriti”.
Ma che cosa cambia quando la battaglia è in pieno corso?
Nella sua Argentina, tra il 1976 e il 1983, Jorge Mario Bergoglio ha traversato gli anni di piombo della dittatura militare. Sequestri, torture, massacri, 30 mila scomparsi, 500 madri uccise dopo aver partorito in prigione i figli a loro sottratti.
Ciò che fece in quegli anni l’allora giovane provinciale dei gesuiti argentini è rimasto per lungo tempo un mistero. Così fitto da far trapelare il sospetto che avesse assistito inerte all’orrore, o peggio, avesse esposto a maggior pericolo alcuni suoi confratelli, i più impegnati tra i resistenti.
La scorsa primavera, subito dopo la sua elezione a papa, queste accuse furono rilanciate.
Furono anche immediatamente contraddette da voci autorevoli, pur molto critiche del ruolo complessivo della Chiesa argentina in quegli anni: le madri di Plaza de Mayo, il Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel, Amnesty International. La stessa magistratura argentina aveva esonerato Bergoglio da ogni accusa, dopo averlo sottoposto a interrogatorio in un processo tra il 2010 e il 2011.
Ma se a questo punto era assodato che l’attuale papa non avesse fatto niente di condannabile, ancora restava ignoto che cosa avesse fatto eventualmente di buono in quegli anni terribili, per “curare i feriti”.
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Ignoto fino a ieri. Perché a sollevare per la prima volta il velo su questa faccia nascosta del passato di papa Francesco giunge ora un libro edito dall’EMI, piccolo di mole ma esplosivo nei contenuti. Sarà nelle librerie italiane dal 3 ottobre, e poi man mano in altri otto paesi del mondo dove già sono in corso le traduzioni. “La lista di Bergoglio”, si intitola. E il pensiero va subito alla “Schindler’s list” immortalata dal film di Steven Spielberg. Perché la sostanza è la stessa, come dice il seguito del titolo del libro: “I salvati da Francesco durante la dittatura. La storia mai raccontata”.
C’è nella parte finale del libro la trascrizione integrale dell’interrogatorio cui l’allora arcivescovo di Buenos Aires fu sottoposto l’8 novembre del 2010.
Di fronte ai tre giudici, Bergoglio è incalzato per tre ore e cinquanta minuti dalle domande insidiose soprattutto dell’avvocato Luis Zamora, difensore delle vittime. Un passaggio chiave dell’interrogatorio è quando a Bergoglio chiedono di giustificare i suoi incontri con i generali Jorge Videla ed Emilio Massera, nel 1977.
Due sacerdoti a lui molto vicini, i padri Franz Yalics e Orlando Yorio, erano stati sequestrati e rinchiusi in un luogo segreto. Il primo era stato per due anni suo direttore spirituale e il secondo suo professore di teologia, poi si erano impegnati a fondo con i poveri delle “villas miserias” di Buenos Aires è questo li aveva resi bersaglio della repressione. Quando furono catturati, l’allora provinciale dei gesuiti si attivò per sapere dove fossero detenuti. Lo seppe, erano nella famigerata Escuela Superior de Medicina degli ufficiali della marina, dalla quale pochi uscivano vivi.
Per chiedere la loro liberazione, Bergoglio volle incontrare anzitutto il generale Videla, all’epoca il numero uno della giunta. E ci riuscì due volte, la seconda convincendo a darsi per malato il sacerdote che diceva messa nella casa del generale e sostituendosi a lui. Dal colloquio col generale, ebbe la conferma definitiva che i due gesuiti erano nelle prigioni della marina.
Non restava quindi che puntare all’ammiraglio Massera, personaggio irascibile e vendicativo. Gli incontri furono anche qui due. Il secondo fu brevissimo. “Io gli dissi: Guardi, Massera, io li voglio indietro vivi. Mi alzai e me ne andai”, ha riferito Bergoglio nell’interrogatorio del 2010.
La notte successiva i padri Yalics e Yorio furono narcotizzati, caricati su un elicottero e scaricati nel mezzo di una palude.
Ma ai due sacerdoti, in sei mesi di prigionia e di torture, era stato fatto credere che erano vittime di una delazione del loro padre provinciale. E in una scheda dei servizi segreti qualcuno scrisse: “Nonostante la buona volontà di padre Bergoglio, la Compagnia di Gesù argentina non ha fatto pulizia al suo interno”, insinuando una sua complicità con la repressione.
“Una canagliata”, tagliò corto a proposito di questa insinuazione il procuratore del processo del 1985 che condannò all’ergastolo sia Videla che Massera.
Quanto ai padri Yalics e Yorio, riconobbero poi entrambi la falsità delle accuse contro il loro superiore, con il quale si rappacificarono pubblicamente.
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Ai generali l’allora provinciale dei gesuiti era riuscito a dare di sé l’idea che se ne stesse rintanato nel suo Colegio Máximo di San Miguel, in attesa della bonaccia. Ma quello che il libro rivela per la prima volta è enormemente di più.
Nello Scavo, l’autore dell’inchiesta, cronista giudiziario di “Avvenire”, ha scoperto, rintracciando numerosi scampati e accostando come in puzzle le loro testimonianze, che Bergoglio tesseva silenziosamente una rete clandestina che arrivò a salvare molte decine se non centinaia di persone in pericolo di vita.
Mentre il generale Videla ordiva i suoi piani sanguinosi dai saloni della Casa Rosada, a pochi passi, lungo il vicolo che si addentra nel quartiere di Monserrat, c’era la chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, con annessa una residenza dei gesuiti e una scuola. E lì il provinciale dei gesuiti dava appuntamento ai ricercati, per le ultime istruzioni prima di imbarcarli clandestinamente sui battelli che trasportavano frutta e mercanzie da Buenos Aires a Montevideo, in Uruguay, a un’ora di navigazione. Mai i militari avrebbero potuto immaginare che quel sacerdote li avrebbe sfidati così da vicino.
La riuscita di ogni operazione era legata alla segretezza che intercorreva anche tra chi la compiva o ne beneficiava. Le persone che entravano nella rete di protezione organizzata da Bergoglio non sapevano di altri che erano nelle loro stesse condizioni.
Nel collegio di San Miguel arrivavano e partivano, per motivi apparentemente di studio o di ritiro spirituale o di discernimento della vocazione, uomini e donne che in realtà erano ricercati come “sovversivi”. Per metterli al sicuro la meta era spesso il Brasile, dove a sua volta c’era una rete analoga di protezione organizzata dai gesuiti del posto.
Ma era Bergoglio il solo che teneva le fila di tutto. L’anziano gesuita Juan Manuel Scannone, che è oggi il teologo più importante dell’Argentina e più stimato dall’attuale papa, era anche lui all’epoca a San Miguel. Ma non si avvide di nulla. Solo dopo molti anni lui e altri cominciarono a confidarsi e a capire: “Se uno di noi avesse saputo e fosse stato sequestrato e sottoposto a tortura, l’intera rete di protezione sarebbe saltata. Padre Bergoglio era consapevole di questo rischio e per questo tenne tutto segreto. Un segreto che ha mantenuto anche in seguito, perché non ha mai voluto farsi vanto di quella sua eccezionale missione”.
La “lista” di Bergoglio è un insieme di storie personali diversissime, di appassionante lettura, il cui tratto comune è d’essere state salvate da lui.
C’è Alicia Oliveira, la prima donna a diventare giudice penale in Argentina e anche la prima ad essere licenziata dopo il golpe militare, non cattolica e neppure battezzata, entrata in clandestinità, che Bergoglio portava in macchina, nel bagagliaio, dentro il collegio di San Miguel, per farle incontrare i suoi tre bambini.
Ci sono i tre seminaristi del vescovo di La Rioja Enrique Angelelli, ucciso nel 1976 dai militari con un incidente stradale simulato, dopo che aveva scoperto i veri responsabili di numerosi assassini.
C’è Alfredo Somoza, il letterato salvato a sua insaputa.
Ci sono Sergio e Ana Gobulin, impegnati nelle baraccopoli, sposati da padre Bergoglio, lui arrestato e lei ricercata, entrambi salvati e fatti espatriare con l’aiuto dell’allora viceconsole italiano in Argentina, Enrico Calamai, un altro degli eroi della storia.
Come papa, ma prima come uomo, Francesco non cessa di stupire.
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