Franzoni e la Chiesa dei poveri
Il "Dom" compie ottantanni in questi giorni e nel suo "Laboratorio di religione" pratica la fede come atto di responsabilità. Una vita spesa dalla parte degli "altri": i poveri, gli emarginati, i dimenticati. «Ma restiamo ai margini del Vaticano»
Una volta Giovanni, come sempre l’abbiamo chiamato in Comunità mentre per alcuni è sempre Dom Franzoni, ci spiegava la distinzione tra profeti autentici, vicini alle persone semplici, e i profeti pagati dal principe, dal potere. Anche da bambino, ero interessato al mio tempo e non capivo perché Dio avesse mandato profeti solo nell’antico Israele. Giovanni accolse l’obiezione e passammo alcune settimane a farci raccontare e leggere di profeti contemporanei: tra gli altri, Don Milani, Monsignor Romero, Martin Luther King.
Nella comunità di Base di San Paolo a Roma, di cui è tra i fondatori, la messa è servita collettivamente. Ci sono molte voci autorevoli, ma ogni voce ha il suo spazio, anche se appena arrivata. Non c’è un pastore fìsso, o una gerarchia strutturata. Chi vuole può alzarsi e condividere le sue preghiere o il suo pensiero sulle letture della Bibbia e sui fatti del tempo corrente. Naturalmente si recita il Padre Nostro e si spezza il pane, come fanno i cristiani in tutto il mondo.
La comunità, mi spiega Giovanni Franzoni, è parte della Chiesa, ma sta ai suoi margini. E’ appena tollerata dalla Curia romana, ma ha molti amici e fratelli sparsi in tutto il mondo. Da quando, nel 1974, si è dimesso da Abate di San Paolo fuori le mura, una carica che ha il rango di delegato diretto del Papa, la comunità si riunisce in dei locali molto semplici al 152 di via Ostiense a Roma.
Vivere col Vangelo in una mano e il quotidiano nell’altra, era uno dei motti tipici degli esordi. Eppure i cattolici in politica, osservo, sono associati ai conservatori, alla destra. Non è vero, mi corregge Giovanni Franzoni, Joe Biden, il vice di Obama, per esempio è un cattolico aperto e progressista. Tuttavia, insiste, è giusta una grande prudenza nell’usare la propria fede come una bandiera. Noi non vogliamo strumentalizzare l’aggettivo "cristiano" per una posizione politica. La scelta di fede non è razionale, ma deriva da una esperienza religiosa personale. L’esperienza di fede porta all’assunzione di responsabilità, ma la responsabilità politica e sociale va impiegata laicamente, anche perché il percorso sarà condiviso con persone di altri fedi o nessuna.
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