Tre testi di Claudia Fanti di Adista che partecipa all’incontro in Vaticano. Il primo introduttivo del 24 ottobre, il secondo e il terzo di ieri 27 ottobre
Quando il papa diventa un alleato.
Incontro dei movimenti popolari in Vaticano
Sono in tanti, tra i movimenti popolari, a ritenere che papa Francesco possa diventare un prezioso alleato nella lotta, mai come oggi tanto ardua, contro il capitale. E che tale possibilità non vada in alcun modo sprecata era già risultato chiaro in occasione del workshop “Emergenza Esclusi”, promosso in Vaticano il 5 dicembre 2013 dalla Pontificia Accademia delle Scienze, in collaborazione con l’Università Lumsa e il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e con l’inedita presenza di due rappresentanti dei movimenti sociali, Juan Grabois della Confederazione dei Lavoratori dell’Economia Popolare e João Pedro Stedile del Movimento dei Senza Terra-Via Campesina: un avvenimento, definito dai due leader «senza precedenti», in cui le organizzazioni popolari avevano potuto far sentire la propria voce in Vaticano, evidenziando la necessità «di comprendere le cause della moltiplicazione degli esclusi nel mondo, anziché concentrarsi esclusivamente sulle conseguenze».
L’«avvenimento senza precedenti» ha però anche un seguito, e un seguito di ben maggiore portata: un grande incontro mondiale dei movimenti popolari in Vaticano, dal 27 al 29 ottobre 2014, organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti di vari movimenti, con l’appoggio esplicito del papa. «Siamo profondamente grati a papa Francesco – scrivono nel comunicato di presentazione dell’iniziativa Joao Pedro Stédile, Juan Grabois, Xaro Castelló (Movimento Mondiale dei Lavoratori Cristiani della Spagna) e Jockin Arputham (Slum Dwellers International) – per questa possibilità, una nuova dimostrazione del suo permanente accompagnamento e della sua vicinanza non solo verso chi soffre l’ingiustizia, ma anche nei confronti di quanti si organizzano e lottano per superarla».
Parteciperanno all’incontro (che si svolgerà il primo e il terzo giorno al Salesianum in Via della Pisana e il secondo giorno nell’Aula Vecchia del Sinodo) circa cento delegati di organizzazioni popolari di ogni parte del mondo (in rappresentanza dei contadini senza terra, degli indigeni, dei precari, dei lavoratori del settore informale e dell’economia popolare, dei migranti, di quanti vivono nelle periferie urbane e in insediamenti di fortuna, come pure di quanti lottano al loro fianco) e di numerosi vescovi dei diversi continenti e della Curia Romana (tra le presenze italiane, alcune delle quali piuttosto sorprendenti, Banca Etica, Associazione Trentini nel Mondo, il Comitato Amig@s Mst-Italia, Genuino Clandestino, la fabbrica recuperata Rimaflow e addirittura il Centro Sociale Leoncavallo). Ed è con tutti loro che dialogherà il papa il secondo giorno – alla presenza anche di Evo Morales, non però nella sua veste di presidente della Bolivia, ma in quella del leader popolare che è stato per tutta la vita – in linea con quella «cultura dell’incontro» che – come hanno evidenziato, durante la conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa svoltasi presso la Sala Stampa della Santa Sede il 24 ottobre, Juan Grabois, il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, e mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali – è una delle cifre essenziali del pontificato di papa Francesco. Insieme alla centralità che con lui, in maniera inedita, assume la problematica dell’esclusione, come ha sottolineato mons. Sorondo ricordando le parole dell’Evangelii Gaudium: «Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali».
«Abbiamo compiuto un grande sforzo – ha spiegato Grabois – per garantire la presenza di dirigenti di organizzazioni rappresentative dei settori più impoveriti, più colpiti e più perseguitati, settori che vogliono ora parlare con la propria voce». Che devono essere – ha affermato da parte sua il card. Turkson – protagonisti della propria vita, non semplici e passivi destinatari della carità o dei progetti altrui».
Sarà, insomma, una sorta di Assemblea dei movimenti popolari, come quelle tenutesi durante i Forum Sociali Mondiali, ma nell’inconsueta e sorprendente cornice vaticana, allo scopo di individuare le cause strutturali dell’esclusione e i modi per combatterle, tracciando nuovi cammini di inclusione sociale. E con un obiettivo preciso: quello della creazione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno e la collaborazione della Chiesa.
Seguendo il metodo proprio della teologia latinoamericana del vedere-giudicare-agire (lungamente combattuto in Vaticano), l’incontro è organizzato per mettere a fuoco, il primo giorno, la realtà di esclusione attraverso le testimonianze dei partecipanti; per discernere, il secondo giorno, sulle questioni di emarginazione sociale alla luce dell’insegnamento di papa Francesco; per individuare infine, il terzo giorno, gli impegni concreti da assumere. La riflessione si svolgerà attorno a tre grandi tematiche: Pane (lavoratori dell’economia informale, giovani precari e nuova problematica del mondo del lavoro); Terra (contadini, problematica ambientale e sovranità alimentare, agricoltura); Casa (insediamenti informali, abitazioni precarie e problematica delle periferie urbane). Più alcune sessioni parallele su Ambiente e Cambiamenti Climatici e Movimenti per la Pace. E sarà l’occasione per riflettere sul pensiero sociale di papa Francesco; per elaborare una visione comune attorno alle cause della crescente disuguaglianza sociale e dell’aumento dell’esclusione in tutto il mondo; per ragionare sulle esperienze organizzative dei movimenti popolari; per proporre soluzioni alternative ai problemi della guerra, della fame, della disoccupazione, dell’esclusione generati dal capitalismo finanziario e dalle transnazionali; per discutere, infine, la relazione dei movimenti popolari con la Chiesa, in vista della creazione di un’istanza di collaborazione permanente.
Da Adista n. 38/14
Per una lotta senza frontiere. Aperto l’incontro dei movimenti popolari in Vaticano
Che sia una lotta senza frontiere, come senza frontiere è l’offensiva del capitale: questa l’esigenza espressa in apertura dell’incontro globale dei movimenti popolari in Vaticano – Terra, Labor, Domus – promosso, dal 27 al 29 ottobre, dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti di vari movimenti, su esplicito invito di papa Francesco. Un incontro inteso come una grande esperienza di dialogo e di incontro, punto di partenza del processo di costruzione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno e la collaborazione della Chiesa, come ha affermato il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, introducendo i lavori dinanzi ai delegati di organizzazioni popolari di circa 40 Paesi dei diversi continenti (in rappresentanza dei contadini senza terra, degli indigeni, dei precari, dei lavoratori del settore informale e dell’economia popolare, dei migranti, di quanti vivono nelle periferie urbane e in insediamenti di fortuna, come pure dei loro alleati) e a numerosi vescovi di varie parti del mondo e della Curia Romana. Un incontro, ha spiegato il cardinale, che non può non richiamarsi all’insegnamento di Giovanni XXIII, il quale “voleva che la Chiesa tenesse le finestre spalancate sul mondo”, in maniera da poterci guardare dentro e da vedere così “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”, nella convinzione che “nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco” nel cuore dei discepoli di Cristo. E, a distanza di quasi 50 anni dalla chiusura del Concilio, “è questo – ha evidenziato Turkson – il motivo principale per cui vi abbiamo invitato qui”, rispondendo all’esortazione rivolta dal papa alla Chiesa e al mondo tutto ad ascoltare il grido dei poveri e degli esclusi, i quali devono essere, ha sottolineato il cardinale, “non semplici e passivi destinatari di elemosine altrui”, ma artefici della propria vita, protagonisti della ricerca di una vita più dignitosa e di un diverso modello di sviluppo.
> Un protagonismo di cui i rappresentanti dei movimenti presenti hanno dato senz’altro grande prova, raccontando le proprie esperienze di lotta e di liberazione, in base al programma del primo giorno dei lavori, quello destinato a mettere a fuoco la realtà di esclusione attraverso le testimonianze dei partecipanti, secondo il metodo, proprio della teologia latinoamericana, del vedere-giudicare-agire. E se – come ha sottolineato, nel suo discorso di introduzione, Juan Grabois, della Confederazione dei Lavoratori dell’Economia Popolare – a molti dei presenti (per i quali non era scontato neppure uscire dal proprio quartiere, e tanto meno dal proprio Paese o addirittura dal proprio continente) deve risultare “quasi surreale” fare ingresso in Vaticano, “questo – ha affermato – non è che il segno dei venti di cambiamento che non soffiano solo sulla Chiesa, ma su tutto il mondo”, portando la voce dei movimenti di quel popolo degli esclusi che “chiede ora di essere ascoltato” e di diventare “artefice della costruzione del proprio destino”. Ed è un auspicio comune a tutti quello a cui vuole rispondere questo incontro dei movimenti popolari: che a nessuno manchi la terra, un lavoro e un tetto sulla propria testa, “tre diritti sacri, tre diritti elementari che tuttavia, sempre di più, vengono sottratti a una parte maggioritaria dei nostri popoli”, calpestati da “un mostro idolatrato come un dio, il dio Denaro, a cui tutto viene sacrificato, compresa la natura e compresa la dignità degli esseri umani.
> Ma è stato un vescovo congolese, mons. Fridolin Ambongo, il primo a entrare nel cuore della realtà di esclusione, denunciando il passaggio distruttivo del dio Denaro nel continente africano, considerato a livello globale una sorta di “riserva di risorse naturali da cui tutti possono attingere”, come se non esistessero abitanti, come se si trattasse di “una terra di nessuno”. E se i regimi politici locali sembrano fare di tutto per alimentare il dilagante “afropessimismo”, calpestando ogni regola democratica e mettendo a tacere la voce dei popoli, è dal punto di vista economico che meglio si comprende la realtà di esclusione africana: “l’economia del continente – ha spiegato – è essenzialmente centrata sullo sfruttamento delle risorse naturali senza valore aggiunto e destinate alle esportazioni. Uno sfruttamento, accompagnato da conflitti e violenze, di cui sono massimamente responsabili le multinazionali, le quali preferiscono però passare attraverso il circuito mafioso degli sfruttatori locali – a cui sono peraltro lasciate appena le briciole -, in un lunga catena simile a una nebulosa su cui diventa difficile far luce”. Un quadro reso ancora più grave dai cosiddetti aiuti umanitari, il cui effetto è quello di inondare i mercati africani con riso e mais a un costo assai più basso di quello locale, “con la conseguente rovina dell’agricoltura contadina”. Vi sono, è vero, ha concluso Ambongo, persone che lottano per la giustizia e la dignità, ma “il problema dell’Africa, è che non presenta movimenti popolari organizzati come in altre parti del mondo, ma solo timide iniziative di organizzazione. Per questo la nostra presenza qui può rappresentare una benedizione per il Continente: siamo qui per imparare dagli altri”.
La parola agli esclusi. La riflessione dei movimenti popolari su Terra, Pane e Casa
Si è svolta attorno a tre grandi tematiche – Terra (contadini, problematica ambientale e sovranità alimentare, agricoltura); Pane (lavoratori dell’economia informale, giovani precari e nuova problematica del mondo del lavoro); Casa (insediamenti informali, abitazioni precarie e problematica delle periferie urbane) – la riflessione del primo giorno dell’incontro globale dei movimenti popolari, dedicato al compito di mettere a fuoco la realtà di esclusione attraverso le testimonianze dei partecipanti (secondo il metodo latinoamericano del vedere-giudicare-agire). E a prendere la parola sono stati i/le rappresentanti del popolo degli esclusi, a cominciare dalla cilena Luz Francisca Rodriguez, di Via Campesina Internazionale, la quale ha espresso nel suo intervento tutto l’orgoglio dell’identità contadina, della missione – la più nobile che vi sia – di garantire alimenti sani per tutta l’umanità, proteggendo al contempo la Madre Terra (e persino mitigando il riscaldamento globale). Ma anche denunciando
– l’avanzata senza freni del capitale sulle campagne;
– l’accaparramento della terra, dell’acqua, delle risorse naturali, sempre più concentrate nelle mani di poche transnazionali, le stesse, ha affermato, che “prima ci fanno ammalare e poi ci vendono i farmaci con cui curarci”;
– la mancanza di adeguate politiche agrarie da parte dei governi, i quali, al contrario, costruiscono ponti d’oro alle grandi imprese;
– il disprezzo nei confronti delle conoscenze e delle culture contadine, delle millenarie prassi di cura e di scambio delle sementi;
– il ruolo di una scienza al servizio del capitale, disposta persino a mettere a repentaglio la vita, attraverso per esempio l’imposizione delle colture transgeniche.
“Ci troviamo di fronte – ha affermato – a un processo di massiccia distruzione della vita, a una strategia diretta non più ad alimentare l’umanità, ma ad aumentare i profitti. Ma noi continuiamo a resistere, a difendere la nostra funzione sociale, che è quella di alimentare i nostri popoli; a custodire il sogno di continuare ad essere contadini e contadine al servizio del buen vivir”. Ed è in questo che consiste il paradigma della sovranità alimentare, il diritto dei popoli, cioè, a decidere in materia di agricoltura e di alimentazione, puntando sulla produzione locale per il mercato locale, la produzione sostenibile di alimenti su piccola scala che, sola, permetterebbe di rigenerare i suoli, di risparmiare combustibile e di ridurre il riscaldamento globale, dando lavoro a milioni di agricoltori, pescatori e piccoli allevatori. La sovranità alimentare, ha affermato la rappresentante di Via Campesina, “è principio di vita, diritto alla terra, all’acqua, alle sementi, alle nostre conoscenze, alle nostre forme culturali di produzione”.
Perché, ha concluso, “non possiamo più accettare che anche una sola persona in questo mondo soffra la fame”.
Del resto, come ha sottolineato, il contadino indiano Kommara Thimmarayagowda Gangadhar della Krrs (Karnataka State Farmers Union), l’Agricoltura non è solo un’attività economica, ma una cultura del mondo, non offre solo la sicurezza del lavoro, ma preserva la salute umana, e protegge la natura per l’umanità presente e per quella futura. “La mia responsabilità come cittadino globale – ha concluso – è custodire la terra per le generazioni future”.
E a prendersi cura dell’ambiente sono anche i raccoglitori e riciclatori dei rifiuti (“quanti sopravvivono con i rifiuti dell’umanità, come ha evidenziato mons. Luis Infanti, vescovo di Haysén, nella Patagonia cilena), sulla cui lotta per l’inclusione sociale si è soffermato Sergio Sanchez, della Federazione argentina dei cartoneros e dei riciclatori: una lotta comune ai venditori ambulanti, ai lavoratori delle fabbriche recuperate e in fondo a tutta la classe lavoratrice e a tutta l’umanità, perché “tutti – ha detto – chiediamo le stesse cose: terra, casa, lavoro”.
In questo quadro non sono mancate sollecitazioni alla Chiesa, quella Chiesa che, come ha affermato il mozambicano Agostinho Bento dell’Unione nazionale dei contadini del Mozambico, ha taciuto sui programmi della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, e che non si è opposta come avrebbe dovuto allo sfruttamento da parte delle multinazionali. Quella Chiesa che egli ha invitato ad agire concretamente a favore del popolo spogliato delle sue risorse.
E non ha risparmiato critiche all’istituzione ecclesiastica neanche Jockin Arputham, leader di Slum Dwellers International, il quale vive in uno slum di Mumbai, lottando contro gli sgomberi delle comunità: “La Chiesa parlava di giustizia sociale, ma quando sono arrivati gli sgomberi, in India come in Kenya e in Cambogia, non ha fatto nulla, per non ‘mischiarsi con la politica’”, ha denunciato Arputham, ringraziando tuttavia il papa per aver invitato in Vaticano, finalmente, i rappresentanti, e soprattutto le rappresentanti, delle persone che lottano e che spesso pagano questa lotta con la vita. Una lotta che può essere a volte anche semplicemente per ottenere dei bagni, di fronte al dramma che può rappresentare il fatto di avere una toilette per 800 persone in una baraccopoli di 500mila abitanti. “Il mondo non cambia – ha concluso – se i poveri non si organizzano unendo le loro forze e dicendo basta con le elemosine. Come ci hanno insegnato gli antenati, se si lotta si otterrà latte e miele, se non si lotta non si conquisterà un bel niente”.
Non si può tuttavia parlare di Terra, di Pane e di Casa, senza affrontare il nodo dell’emergenza ambientale e climatica, “un problema che – come ha sottolineato l’esperto di cambiamenti climatici Veerabhadran Ramanathan – si trasformerà ben presto in un disastro”. Se in appena 30-40 anni abbiamo cambiato il clima più che negli ultimi 2 milioni di anni, non è tuttavia troppo tardi, si è detto convinto Ramanathan, per risolvere il problema: occorre però operare profondi cambiamenti nel nostro atteggiamento nei confronti della natura e nei confronti gli uni degli altri, in una mobilitazione che non può fare a meno dell’aiuto dei leader religiosi. E’ un problema, peraltro, che chiama fortemente in causa la giustizia, dal momento che, ha evidenziato, i tre miliardi di poveri che contribuiscono alle emissioni di gas ad effetto serra per meno del 5% sono anche quelli che pagheranno maggiormente le conseguenze del riscaldamento globale. E a indicare i veri colpevoli ci ha pensato Silvia Ribeiro dell’Etc Group, ricordando come l’1% più ricco dell’umanità controlli quasi il 50% della ricchezza globale e come al 70% della popolazione mondiale resti meno del 3% delle ricchezze. Ma è la stessa classifica dei Paesi responsabili del più alto livello di emissioni climalteranti a chiarire la situazione: se per quantità di emissioni la Cina, con il 23%, batte gli Stati Uniti, responsabili del 15,5%, a livello pro-capite gli Usa non hanno concorrenti (17 tonnellate contro le 5,4 della Cina).
Per non parlare delle responsabilità storiche, che vedono gli Stati Uniti dominare la classifica degli inquinatori a tal punto che le loro emissioni, da sole, superano quelle dei cinque Paesi che seguono (Unione Europea, Cina, Russia, Giappone e Canada). E colpevole è anche il sistema agroindustriale, responsabile dal 44 al 57% delle emissioni di gas ad effetto serra, a cui è chiamata sempre più ad opporsi quell’agricoltura contadina a cui già spetta il merito di alimentare il 70% della popolazione mondiale.
“Gli esperti chiamano Antropocene l’attuale fase planetaria, per sottolineare l’impatto dell’umanità sulla vita della Terra. Non sono d’accordo: quella attuale – ha concluso Silvia Ribeiro – è l’era della plutocrazia, quella in cui 85 miliardari, da soli, consumano risorse quanto la metà della popolazione mondiale”.
Claudia Fanti – Adista
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