CARD. MARADIAGA, UN FILOGOLPISTA PER RIFORMARE LA CURIA
di Adista Notizie n. 16 del 27/04/2013
37133. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Scelto da papa Bergoglio come coordinatore del gruppo di lavoro incaricato di studiare un progetto di riforma della Curia (v. notizia precedente), il card. Oscar Rodríguez Maradiaga non si presenta con un bel biglietto da visita: se sul nuovo papa pesano le accuse relative al suo atteggiamento nei confronti della dittatura militare in Argentina, l’arcivescovo di Tegucigalpa è stato addirittura ribattezzato dal popolo honduregno come “cardinale golpista” o “cardeMal”, a causa del suo sostegno al golpe con cui, il 28 giugno del 2009, ha avuto brutalmente termine il processo di cambiamento avviato dal presidente Manuel Zelaya (v. Adista nn. 79, 83 e 105/09) .
All’indomani del colpo di Stato, come è noto, l’arcivescovo era apparso in televisione a reti unificate per leggere un comunicato della Conferenza episcopale in cui assicurava come i tre poteri dello Stato, Esecutivo, Legislativo e Giudiziario, fossero «in vigore legalmente e democraticamente in base a quanto prescrive la Costituzione della Repubblica dell’Honduras» e come dunque non di un colpo di Stato si trattasse, ma appena di una successione costituzionale. Secondo la Conferenza episcopale, anzi, sarebbe stato il presidente Zelaya, con la sua iniziativa di consultazione popolare sulla “quarta urna” (cioè sull’opportunità che alle successive elezioni per il rinnovo della presidenza, del congresso e delle autorità locali, si chiedesse al popolo di pronunciarsi anche sulla convocazione o meno di un’Assemblea Costituente), a rendersi «responsabile dei delitti di attentato alla forma di governo, tradimento della Patria, abuso di autorità e usurpazione di funzioni». E concludeva, Maradiaga, con «un appello all’amico» Zelaya, chiedendogli di non venir meno ai tre comandamenti da lui stesso citati il giorno del suo insediamento – «non mentire, non rubare, non uccidere» – ed esortandolo a non rientrare in Honduras dal suo esilio in Costa Rica: «Un’azione precipitosa, un ritorno nel Paese in questo momento, potrebbe scatenare un bagno di sangue».
Ed è così che, mentre la comunità internazionale denunciava senza esitazioni il colpo di Stato (denuncia a cui i vescovi hanno reagito rivendicando il diritto di definire il proprio destino «senza pressioni unilaterali di alcun genere»), la Conferenza episcopale guidata da Maradiaga legittimava (con l’eccezione di un solo vescovo, mons. Luis Alfonso Santos) il sequestro di un presidente da parte di militari incappucciati e armati fino ai denti, lo stato d’assedio e la sospensione delle garanzie costituzionali, gli oltre 200 assassinii, i sequestri, gli arresti illegali, la persecuzione di funzionari, dirigenti sociali, giornalisti, sacerdoti, la repressione brutale dei manifestanti, la chiusura di mezzi di comunicazione come la Radio Progreso dei gesuiti. Non una parola il cardinale avrebbe speso sulle ripetute violazioni dei diritti umani da parte, prima, del governo golpista di Roberto Micheletti e, poi, dell’attuale illegittimo governo di Porfirio Lobo, in uno stillicidio continuo di omicidi di leader comunitari, membri del Fronte di Resistenza, militanti e attivisti, lanciando invece critiche pesanti, e infondate, all’«amico» Zelaya, come quella di aver saccheggiato le casse dello Stato.
Tutto ciò non ha comunque impedito a Maradiaga di tenere conferenze in giro per il mondo, Italia compresa (v. Adista nn. 124/ 09, 8 e 46/10), per parlare di lotta alla povertà e di giustizia sociale, esponendosi così alle critiche di chi, nelle vibranti parole del cardinale contro il disumano e immorale sistema neoliberista e a favore dell’opzione preferenziale per i poveri, non ha potuto ravvisare altro che una straordinaria prova di incoerenza: se il governo Zelaya, grazie ai programmi sociali portati avanti nel quadro dell’Alba (l’Alleanza Bolivariana per l’America a cui l’Honduras aveva aderito), qualcosa di concreto per il superamento della povertà lo stava davvero realizzando, Maradiaga, schierandosi con i golpisti, ai poveri di casa sua ha invece voltato decisamente le spalle. Con un sicuro tornaconto, aveva prontamente denunciato Giorgio Trucchi dell’Associazione Italia-Nicaragua: il salario mensile di 5.300 dollari che era stato concesso all’arcivescovo nel 2001 dal presidente della Repubblica Carlos Flores Facussé, e che gli era stato sospeso proprio da Manuel Zelaya, è «stato immediatamente ripristinato dal governo di fatto» poco dopo il colpo di Stato. (claudia fanti)
Articolo tratto da
ADISTA
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