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Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Il Card. Scola sui divorziati risposati

Comunione ai risposati, anche il cardinal Scola dice no: “Però snelliamo i processi di nullità”
L’Arcivescovo di Milano: «Il problema non è il peccato ma la condizione di vita di chi ha stabilito un nuovo vincolo»

Il cardinal Angelo Scola, arcivescovo di Milano

18/09/2014
ANGELO SCOLA
Nell’ambito del dibattito sul prossimo Sinodo sulla famiglia convocato da papa Francesco, pubblichiamo in esclusiva un articolo a firma dell’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola. Nella forma integrale apparirà sul prossimo numero (16/2014) della testata bolognese Il Regno, quindicinale edito dal Centro editoriale dehoniano di Bologna.

Spesso la Chiesa viene accusata di insensibilità e incomprensione di fronte al fenomeno dei divorziati risposati senza ponderare attentamente il motivo di questa posizione, che essa riconosce fondata nella divina rivelazione.
Infatti non si tratta di un arbitrio del magistero ecclesiale, ma della consapevolezza della natura singolare della differenza sessuale e dell’inscindibilità del legame tra eucaristia e matrimonio.
Eucaristia, singolarità della differenza sessuale, riconciliazione e divorziati risposati: le ragioni del magistero.

In questa prospettiva vanno richiamati due elementi che è necessario continuare ad approfondire. Certamente nell’eucaristia, a determinate condizioni, è presente un aspetto di perdono, tuttavia essa non è un sacramento di guarigione. La grazia del mistero eucaristico attua l’unità della Chiesa come sposa e corpo di Cristo e questo esige in chi riceve la comunione sacramentale l’oggettiva possibilità di lasciarsi incorporare perfettamente a lui.
Alla luce di questo intrinseco rapporto si deve dire che ciò che impedisce l’accesso alla riconciliazione sacramentale e all’eucaristia non è un singolo peccato, sempre perdonabile quando la persona si pente e chiede a Dio perdono. Ciò che rende impossibile l’accesso a questi sacramenti è invece lo «stato» (condizione di vita) in cui coloro che hanno stabilito un nuovo vincolo vengono a trovarsi. Una condizione che domanda di essere cambiata per poter corrispondere a quanto si attua nei due sacramenti.

Nello stesso tempo è importante evidenziare molto meglio come il non accesso ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia di coloro che hanno stabilito un nuovo vincolo non sia da ritenersi una «punizione» rispetto alla propria condizione, ma l’indicazione di un cammino possibile, con l’aiuto della grazia di Dio e dell’immanenza nella comunità ecclesiale. Per questa ragione, ogni comunità ecclesiale è chiamata a porre in essere tutte le forme adeguate per la loro effettiva partecipazione alla vita della Chiesa, nel rispetto della loro concreta situazione e per il bene di tutti i fedeli.

Senza negare il dolore e la ferita, la non accessibilità al sacramento dell’eucaristia invita a un percorso verso una comunione piena che avverrà nei tempi e nei modi decisi alla luce della volontà di Dio.
Nel quadro di una antropologia adeguata poi è decisivo considerare attentamente l’esperienza comune: ogni uomo è situato come «singolo» entro la differenza sessuale, che non può mai essere superata. Misconoscere l’insuperabilità della differenza sessuale significa confondere il concetto di differenza con quello di diversità. Ciò avviene spesso nella cultura contemporanea che al binomio «identità-differenza» sostituisce il binomio «uguaglianza-diversità».
La diversità mette in campo la relazione all’altro («inter-personale»). Al contrario, ciò che sperimentiamo nella differenza indica una dimensione insuperabile interna all’io («intra-personale»). È qualche cosa che riguarda l’identità costitutiva di ogni singolo.

Le cause di nullità matrimoniale
Occorre inoltre prendere in attenta considerazione la condizione di quanti ritengono in coscienza che il loro matrimonio non sia stato valido.
La singolarità della differenza sessuale e la intrinseca relazione tra matrimonio ed eucaristia, impongono una riflessione attenta sulle problematiche legate alla dichiarazione di nullità del matrimonio. Quando se ne presenti il bisogno e venga richiesto dai coniugi, diventa essenziale verificare rigorosamente se il matrimonio sia stato valido e pertanto sia indissolubile. Sappiamo bene quanto sia difficile per le persone coinvolte tornare sul proprio passato, segnato da sofferenze profonde. Anche a questo livello emerge l’importanza di concepire in modo unitario la dottrina e la disciplina canonistica.

Tra le questioni da approfondire va menzionata la relazione tra fede e sacramento del matrimonio, sulla quale Benedetto XVI è tornato più volte. In effetti la rilevanza della fede in ordine alla validità del sacramento del matrimonio è uno dei temi che la condizione culturale attuale, soprattutto in Occidente, costringe a valutare con molta cura. Oggi, almeno in determinati contesti, non si può dare per scontato che i coniugi con la celebrazione delle nozze intendano «fare quello che intende fare la Chiesa». Una mancanza di fede potrebbe oggi condurre a escludere i beni stessi del matrimonio. Se è vero che non è possibile giudicare ultimamente la fede di una persona, non si può però negare la necessità di un «minimum fidei» senza il quale il sacramento del matrimonio non è valido.

Come emerge anche nell’Instrumentum laboris, è auspicabile che a proposito dei processi di nullità si tenti qualche via che non solo ne snellisca i tempi – nel pieno rispetto di tutti i passaggi necessari – ma renda più evidente l’intima natura pastorale di tali processi. In tal senso la prossima Assemblea straordinaria potrebbe suggerire al Papa di valorizzare di più il ministero del vescovo. In concreto, potrebbe suggerire di verificare la praticabilità dell’ipotesi, indubbiamente complessa, di dar vita a un procedimento canonico di carattere non giudiziale e avente come referente ultimo non un giudice (o un collegio di giudici), ma il vescovo o un suo delegato. Intendo un procedimento normato dalla legge della Chiesa, con modalità formali di acquisizione delle prove e di valutazione delle stesse.

A titolo puramente esemplificativo si potrebbe esplorare il ricorso ai seguenti elementi: la presenza in ogni diocesi (o in un insieme di piccole diocesi) di un servizio di ascolto delle situazioni di fedeli che hanno dubbi circa la validità del loro matrimonio. Da qui potrebbe prendere avvio un procedimento di valutazione della validità del vincolo, rigoroso nella raccolta di elementi di prova, condotto da un apposito incaricato, da trasmettere al vescovo, con il parere dello stesso incaricato, del difensore del vincolo e di una persona che assiste il richiedente. Il vescovo sarebbe chiamato a decidere in merito alla nullità. Contro tale decisione sarebbe sempre possibile l’appello (da parte di uno o dell’altro coniuge) alla Santa Sede. Questa ipotesi non vuole essere un escamotage per affrontare la delicata situazione dei divorziati risposati, intende piuttosto rendere più evidente il nesso tra dottrina, pastorale e disciplina canonica.


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Commenti

2 risposte a “Il Card. Scola sui divorziati risposati”

  1. Avatar Vittorio da rios
    Vittorio da rios

    Non voglio addentrarmi in disquisizioni di teologia morale o dogmatica
    meno che mai nel ginepraio del diritto canonico-romano con le sue norme
    codificate in precetti e divieti. Bisogna essere molto realisti e pragmatici; il
    Cardinale Scola è il prodotto di una cultura tradizionalista-dogmatica, e ovviamente
    sulla questione della comunione ai divorziati non può che non avere quella
    posizione, che assai difficilmente muterà, usa raffinatezze linguistiche: il problema
    non è il peccato ma la condizione di vita di chi ha stabilito un nuovo vincolo.
    Cercando tra gli scaffali, mi è capitato tra le mani un libro del 1974 Coines edizioni
    dove sono riportate le varie prese di posizioni dei credenti che erano per il no al
    referendo sul divorzio. Il Prof. Luigi Pedrazzi nella sua relazione Testualmente
    afferma: la coscienza chiede che siano prima di tutto le azioni a conformarsi ai
    principi,la vita reale ad esprimere le idee. La coscienza critica dell’umanità, e noi
    cristiani possiamo ben citare qui il vangelo, chiama ipocrita,mistificata, autoritaria,
    evasiva, legalistica– ma mai morale–la coscienza di chi, prima e più dei fatti personali
    e collettivi,considera le norme inscritte nei Codici. Certo le norme vanno considerate
    e hanno una loro importanza, un loro significato, una loro incidenza. Ma nessuno che
    voglia meritare il titolo di maestro e di guida deve contribuire a che si dimentichi il loro
    contesto concreto, le situazioni reali. Bene ritengo che queste considerazioni fatte allora
    sulla questione del divorzio sia nella sostanza, oserei dire –teologica–estensibili di diritto
    alla attualità –dell’annoso–problema dei divorziati risposati o semplicemente conviventi
    che non vogliono rinunciare all’eucarestia. Il buon Scola rifletta e lasci da parte riflessioni
    prive non solo di –reale–giustificazione evangelica,ma tanto incomprensibili quanto mi si
    consenta di dire fuori da qualsiasi reale contesto di vita viste le mutazioni –antropologiche–
    avvenute. Una breve e ultima considerazione: ma quando questi prelati la smetteranno di dare
    lezioni di cosa è giusto e cosa è sbagliato nel matrimonio? e di pretendere in virtù della
    loro autorità sacerdotale,di decidere a chi dare e non dare la comunione? Ma siamo un po
    seri anche se di questi tempi è assai difficile esserlo; ma sono questi i problemi che stanno
    devastando l’uomo contemporaneo? O invece sono ben altri di cui prelati della formazione
    del Scola ben se ne guardano ad affrontare e denunciare?
    Un caro saluto a tutti

  2. Avatar klement
    klement

    Si potrebbe pensare a una dispensa dall’indissolubilità del vincolo, concessa dal Vescovo accertata la perdurante incompatibilità. Così sarebbe sempre fermamente un’eccezione, essendo comune separarsi non solo se si fa a botte, ma semplicemente perché si preferisce cambiare potendoci ripensare in qualunque momento.
    Comunque la storia della comunione è un falso problema, visto che salvo qualche minuscolo paesino ben difficilmente il prete conosce tutti, e i risposati non ce l’hanno scritto in fronte

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