L’INTERVISTA CAMILLO RUINI
«La paura non deve annichilirci. I nostri simboli vanno difesi»
Il cardinale: i musulmani non sono turbati dai presepi ma dall’idea che non crediamo in nulla L’Occidente è stanco. Oggi in Europa prevalgono gli interessi dei singoli Paesi Dobbiamo sperare che gli Stati Uniti tornino a essere un punto di riferimento
Roma. Un giubileo in tempo di guerra appare come il tentativo di far risaltare la misericordia nei giorni dell’odio. Il tema del conflitto attraversa tutta la riflessione di Camillo Ruini, senza che il cardinale ne faccia mai esplicito riferimento, ma lasciando intuire la preoccupazione per una crisi mondiale che è anche crisi di valori: per l’Europa, che dovrebbe «oggi riconoscere le proprie radici giudaico-cristiane come qualcosa di vivo»; per gli Stati Uniti, che da Paese guida dell’Occidente «si spera ritornino a essere un solido punto di riferimento»; per i credenti, che a volte si consegnano all’«auto-annichilimento». Ed è dai credenti e dai suoi pastori che l’ex presidente della Cei avvia il ragionamento, confutando la tesi in base alla quale sarebbe un paradosso la scelta del Papa di indire l’Anno Santo mentre i cristiani si scristianizzano, «perché affidarsi alla preghiera e alla misericordia di Dio – dice – è particolarmente necessario quando la fede e la vita cristiana sembrano indebolirsi». Ruini spiega i motivi che portano questo indebolimento a sfociare in certi casi nell’auto-annichilimento: «Quando c’è, può nascere dalla paura, che è un sentimento comprensibile, anzi inevitabile, ma non deve guidare le nostre scelte. La paura è una cattiva consigliera. Un?altra causa di auto-annichilimento è il cosiddetto politicamente corretto, l’idea cioè che i gesti, i simboli, i contenuti religiosi non abbiano diritto di cittadinanza sulla scena pubblica».
Non trova paradossale che il dibattito sulla scristianizzazione avvenga tra lo stupore dell’intelligenza laica -che ne dibatte sui media – e il silenzio delle gerarchie ecclesiastiche?
«È un silenzio molto relativo. Se ci si riferisce al terrorismo di matrice islamista, il Papa ha detto che è una bestemmia uccidere in nome di Dio e questa è la convinzione generale dei vescovi».
È come se si stesse perdendo il senso della missione dei pastori: c’è il «vescovo di strada» a Palermo che si presenta ai fedeli richiamandosi ai «valori della Costituzione italiana», e c’è il parroco di provincia a Monza che in una scuola cattolica decide di non dire la messa di Natale «per non discriminare studenti di altre fedi»
«Premetto che non intendo esprimere giudizi sulle scelte che vescovi, preti, persone in genere compiono in situazioni che non conosco. Io ritengo che le nostre celebrazioni non siano una discriminazione ma un?offerta rivolta alla libertà di ciascuno e non vi sia quindi motivo per ometterle».
Invece si offre un’immagine di smarrimento da parte di chi dovrebbe indicare una via: da cosa nasce la scelta di abdicare rispetto ai propri valori, se non dalla paura? Perché è da tempo che in Italia c’è una nutrita comunità musulmana, e sono secoli che i cattolici vivono insieme ai «fratelli maggiori» ebrei. Ma finora nessuno aveva messo in discussione i riti cristiani.
«Non penso che la comunità musulmana sia disturbata dal nostro essere e comportarci da cristiani, salvo naturalmente gli estremisti. Ciò che sconcerta e scandalizza i musulmani sono piuttosto quei comportamenti che danno l’idea che noi cristiani occidentali non crediamo più in niente».
Per contrastare questo fenomeno, l’esortazione ricorrente è quella di difendere «i nostri valori»Ma quali sono oggi «i nostri valori»?
«I valori, o meglio la sostanza della fede cristiana, è l’amore di Dio per tutti gli uomini. E per conseguenza il comandamento di amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come noi stessi, fino al punto di amare anche i nemici: lo “scontro di civiltà” non è nel dna del cristianesimo»
Questo impedisce di dare il nome alle cose e di parlare di terrorismo islamico?
«È giusto chiamare le cose per nome, senza ipocrisie. Bisogna però essere precisi e non contraddirci: chiediamo insistentemente ai musulmani di condannare la violenza, faremmo una vera autorete se dicessimo che il terrorismo è il frutto dell’islam, ossia che i veri islamici sono i terroristi. Per questo ho parlato di terrorismo di matrice islamista, cioè fondamentalista e fanatica, e non semplicemente di matrice islamica»
.Intanto si fa strada la strumentalizzazione, come il tentativo politico di appropriarsi dei simboli cristiani per racimolare consenso.
«Le strumentalizzazioni, specialmente di cose come la religione o l’etica, sono sempre tristi. Chi si appella ai simboli cristiani deve sapere cosa in realtà essi significano: il contrario, come dicevo, dello scontro di civiltà»
E la confusione crea polemiche: come quella legata all?assenza di una guida pastorale.
«Sono stato, per quel che ho potuto, una guida pastorale per parecchi anni e ricordo bene che a molti ero gradito ma a molti altri no. Penso che qualcosa di analogo capiti anche adesso»
Si avverte inoltre l’assenza di una guida politica in Europa. Dopo i fatti di Parigi, le risposte sono dettate dalle esigenze dei singoli Stati: dalle limitazioni alla libera circolazione, alle polemiche sulle quote degli immigrati.
«L’Unione Europea sta attraversando la prova forse più impegnativa da quando, negli anni 50, ha cominciato a esistere. In effetti sembrano prevalere sempre più gli interessi immediati dei singoli Stati. Dobbiamo però riconoscere che trovare risposte efficaci è molto difficile, per tutti».
Anche l’Europa vive dentro un paradosso: è finita nel mirino del terrorismo islamico perché vista come culla del cristianesimo, sebbene l’Unione Europea abbia rinnegato le proprie radici all?atto di scrivere la sua Costituzione.
«È un altro paradosso. Le radici giudaico-cristiane non sono soltanto un fatto storico, ma qualcosa che deve essere riconosciuto vivo oggi, perché l?Europa abbia un?anima, un principio di unità pienamente umano, e non solo economico»
.Dopo il secolo dei totalitarismi, l’umanità vive il secolo dei fondamentalismi. Ma l’Occidente, che ha vinto la sfida del ‘900, sembra un maratoneta stanco e incapace di partecipare a una nuova, imprevista maratona.
«Vorrei sperare che per superare i fondamentalismi non sia necessario un intero secolo. È vero però che l’Occidente è stanco. La prova più evidente è la sua crisi demografica: specialmente in Italia facciamo troppo poco per contrastarla».
E nell’Occidente gli Stati Uniti, che erano considerati il Paese guida, appaiono incerti.
«Questo aggrava le difficoltà. E dobbiamo sperare che gli Stati Uniti ritornino a essere un solido punto di riferimento».
Dentro questa crisi politica e di valori, il Papa richiama alla misericordia in una Chiesa attraversata da vicende che la offuscano: fino a che punto è utile che gli scandali emergano?
«È utile se servono a ravvedersi e purificarsi: anche noi uomini di Chiesa dobbiamo chiedere a Dio la forza interiore per farlo».
Ma è evidente lo iato tra la popolarità di Francesco e le riserve verso le gerarchie ecclesiali. Pensa che questo possa nuocere alla Chiesa?
«Le contrapposizioni non fanno bene, specialmente all’interno della Chiesa. Quella tra Papa e vescovi è però una leggenda metropolitana».
Fernandez, rettore dell?università Cattolica argentina, ha detto che «se si rifacesse il Conclave non so se Bergoglio verrebbe rieletto»
.«È un’opinione che lascio volentieri a lui».
C’è nostalgia nel clero di Benedetto XVI?
«Il valore di papa Benedetto e del suo pontificato emergerà sempre di più, nel tempo. I rapporti tra lui e papa Francesco dimostrano quanto sia sbagliato contrapporli»
Verderami Francesco
Pagina 19
(14 dicembre 2015) – Corriere della Sera
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