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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Il vescovo potrà essere rimosso per “mancanza grave di diligenza”, così ha deciso papa Francesco nel Motu Proprio “Come una madre amorevole”


Lettera Apostolica Motu Proprio del Santo Padre Francesco “Come una madre amorevole”, 04.06.2016

Come una madre amorevole la Chiesa ama tutti i suoi figli, ma cura e protegge con un affetto particolarissimo quelli più piccoli e indifesi: si tratta di un compito che Cristo stesso affida a tutta la Comunità cristiana nel suo insieme. Consapevole di ciò, la Chiesa dedica una cura vigilante alla protezione dei bambini e degli adulti vulnerabili.

Tale compito di protezione e di cura spetta alla Chiesa tutta, ma è specialmente attraverso i suoi Pastori che esso deve essere esercitato. Pertanto i Vescovi diocesani, gli Eparchi e coloro che hanno la responsabilità di una Chiesa particolare, devono impiegare una particolare diligenza nel proteggere coloro che sono i più deboli tra le persone loro affidate.

Il Diritto canonico già prevede la possibilità della rimozione dall’ufficio ecclesiastico “per cause gravi”: ciò riguarda anche i Vescovi diocesani, gli Eparchi e coloro che ad essi sono equiparati dal diritto (cfr can. 193 §1 CIC; can. 975 §1 CCEO). Con la presente Lettera intendo precisare che tra le dette “cause gravi” è compresa la negligenza dei Vescovi nell’esercizio del loro ufficio, in particolare relativamente ai casi di abusi sessuali compiuti su minori ed adulti vulnerabili, previsti dal MP Sacramentorum Sanctitatis Tutela promulgato da San Giovanni Paolo II ed emendato dal mio amato predecessore Benedetto XVI. In tali casi si osserverà la seguente procedura.

Art. 1

§ 1. Il Vescovo diocesano o l’Eparca, o colui che, anche se a titolo temporaneo, ha la responsabilità di una Chiesa particolare, o di un’altra comunità di fedeli ad essa equiparata ai sensi del can. 368 CIC e del can. 313 CCEO, può essere legittimamente rimosso dal suo incarico, se abbia, per negligenza, posto od omesso atti che abbiano provocato un danno grave ad altri, sia che si tratti di persone fisiche, sia che si tratti di una comunità nel suo insieme. Il danno può essere fisico, morale, spirituale o patrimoniale.

§ 2. Il Vescovo diocesano o l’Eparca può essere rimosso solamente se egli abbia oggettivamente mancato in maniera molto grave alla diligenza che gli è richiesta dal suo ufficio pastorale, anche senza grave colpa morale da parte sua.

§ 3. Nel caso si tratti di abusi su minori o su adulti vulnerabili è sufficiente che la mancanza di diligenza sia grave.

§ 4. Al Vescovo diocesano e all’Eparca sono equiparati i Superiori Maggiori degli Istituti religiosi e delle Società di vita apostolica di diritto pontificio.

Articolo 2

§ 1. In tutti i casi nei quali appaiano seri indizi di quanto previsto dall’articolo precedente, la competente Congregazione della Curia romana può iniziare un’indagine in merito, dandone notizia all’interessato e dandogli la possibilità di produrre documenti e testimonianze.

§ 2. Al Vescovo sarà data la possibilità di difendersi, cosa che egli potrà fare con i mezzi previsti dal diritto. Tutti i passaggi dell’inchiesta gli saranno comunicati e gli sarà sempre data la possibilità di incontrare i Superiori della Congregazione. Detto incontro, se il Vescovo non ne prende l’iniziativa, sarà proposto dal Dicastero stesso.

§ 3. In seguito agli argomenti presentati dal Vescovo la Congregazione può decidere un’indagine supplementare.

Articolo 3

§ 1. Prima di prendere la propria decisione la Congregazione potrà incontrare, secondo l’opportunità, altri Vescovi o Eparchi appartenenti alla Conferenza episcopale, o al Sinodo dei Vescovi della Chiesa sui iuris, della quale fa parte il Vescovo o l’Eparca interessato, al fine di discutere sul caso.

§ 2. La Congregazione assume le sue determinazioni riunita in Sessione ordinaria.

Articolo 4

Qualora ritenga opportuna la rimozione del Vescovo, la Congregazione stabilirà, in base alle circostanze del caso, se:

1°. dare, nel più breve tempo possibile, il decreto di rimozione;

2°. esortare fraternamente il Vescovo a presentare la sua rinuncia in un termine di 15 giorni. Se il Vescovo non dà la sua risposta nel termine previsto, la Congregazione potrà emettere il decreto di rimozione.

Articolo 5

La decisione della Congregazione di cui agli artt. 3-4 deve essere sottomessa all’approvazione specifica del Romano Pontefice, il Quale, prima di assumere una decisione definitiva, si farà assistere da un apposito Collegio di giuristi, all’uopo designati.

Tutto ciò che ho deliberato con questa Lettera Apostolica data Motu Proprio, ordino che sia osservato in tutte le sue parti, nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione, e stabilisco che venga pubblicato nel commentario officiale Acta Apostolicae Sedis e promulgato sul quotidiano “L’Osservatore Romano” entrando in vigore il giorno 5 settembre 2016.

Dal Vaticano, 4 giugno 2016

FRANCESCO

LA BONTÁ DI PAPA FRANCESCO
NELL’ESPULSIONE DI VESCOVI
PER CAUSE GRAVI

José M. Castillo

Probabilmente non pochi credenti e parecchi chierici hanno sperimentato un serio malessere a causa della decisione presa da papa Francesco perché siano espulsi dal loro incarico i chierici responsabili di “cause gravi” (can. 193) (Motu proprio “Come una madre amorevole”, 4.6.2016). Tra queste cause, in questi giorni spiccano i casi di occultamento di abusi sessuali, dei quali tanto si sta parlando da alcuni anni nella Chiesa.

Nel procedere in questo modo papa Francesco agisce come un dittatore implacabile? Se si analizza questa questione con interesse e con una seria documentazione, piuttosto si dovrebbe dire proprio il contrario. Il papa, su questo tema come su tanti altri, sta procedendo con la dovuta prudenza e parecchia misericordia. Più di quello che alcuni immaginano. Perchè si sa – ed è una questione ben studiata – che la tradizione e la pratica della Chiesa, nel corso di più di dieci secoli, sono state durissime e tassative in questo ordine di cose.

In realtà, è abbondantemente provato e documentato che, nel corso di più di dieci secoli, le disposizioni dei papi, dei concili e gli insegnamenti dei teologi e dei Padri della Chiesa erano queste: per i chierici, specie se si trattava di vescovi, quando avevano comportamenti gravi, specialmente in materia sessuale e con danno del prossimo, si prendeva la decisione non di espellerli dall’incarico o dalla carica che ricoprivano, ma era qualcosa di molto più radicale, privarli del ministerio presbiterale, in maniera tale che erano ridotti allo stato laicale: laica communione contentus. Era la formula che esprimeva l’espulsione dal clero. Semplicemente, in futuro cessavano di essere preti e ritornavano ad essere ed a vivere come laici, come uno tra tanti, con la dignità che avevano. La documentazione che si conserva su questa questione è enorme. Ed è stata ampiamente studiata (C. Vogel, P. M. Seriski, E. Herman, P. Hischius, F. Kober, K. Hofmann, J. M. Castillo). I testi dei concili affermano che il soggetto, che era punito dalla disciplina dei Sinodi o Concili, doveva essere “privato dell’onore, della potestà, del sacerdozio”; o che doveva “perdere l’ordine” o che “cessava di essere chierico”…. Semplicemente lo si spogliava dell’ordinazione ricevuta. Queste affermazioni (o simili) si ripetono un sacco di volte nei volumi che contengono le edizioni critiche dei Sinodi dell’Antichità o del Medioevo. E risulta che questo stato di cose si mantenne, con la più grande certezza, per lo meno fino al secondo Concilio del Laterano (anno 1215).

Ed ancora, un’avvertenza. La dottrina del “carattere sacramentale” è stata inventata nel secolo XI ed è stata spiegata in tre maniere molto diverse nel secolo XII. Ma non si è mai arrivati ad un comune accordo. In maniera tale che nemmeno il Concilio di Trento, nella Sessione VII, raggiunse quest’accordo tra i Padri ed i teologi conciliari. Per questo, nella formula definitiva del canone 9 (della Sessione VII), si dice che ci sono tre sacramenti (Battesimo, Confermazione, Ordine) che imprimono il carattere, il che significa che questi sacramenti non si possono ripetere, ossia possono essere amministrati solo una volta nella vita (DH 1609). Cioè, il cosiddetto “carattere” sacramentale non significa che il sacramento è un “marchio” o che modifica ontologicamente chi lo riceve. Tale cosa non è dogma di Fede, nè cosa che gli assomigli. L’Ordine è, quindi, un “ministero” che la Chiesa concede a determinate persone. E da queste persone, ciò che concede, lo può togliere o sopprimere. Non c’è, quindi, nessun “sacerdos in aeternum”.

Papa Francesco è stato benevolo e misericordioso. Con i chierici ai quali imporrà, senza dubbio, quello che ha detto nel suo recente Motu proprio. E con le vittime di questi chierici, che il Papa ha il diritto ed il dovere di difendere, per restituire loro la dignità della quale si sono viste private.


Articolo pubblicato nel Blog dell’Autore su Religión Digital il 5.6.2016
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI


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