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Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Il Card. Martini dal vero, un credente che pensa e parla in libertà in una Chiesa di conformismi ed autoritarismi

CARLO MARTINI, IL CARDINALE CHE SI ARRISCHIA A PENSARE Lola Galán , giornalista di El PaísArt. pubblicato il 13.07.08
 
Il cardinale Carlo Maria Martini è visto in vasti settori come l’ultima grande voce progressista della chiesa, la controfigura di Joseph Ratzinger, il suo rivale nell’ultima elezione del Papa. A 81 anni, in pensione, malato di Parkinson, continua a dar fastidio. Il suo ultimo libro ha provocato ferite in Vaticano.            A un libro come quello che ha scritto lui, Martini non avrebbe applicato il suo sbrigativo metodo di lettura. Solo un’occhiata alla copertina, all’introduzione e all’indice, alla ricerca dell’essenziale. "Il cardinale ha detto sempre che ogni libro ha una unica idea. Lui la trova nell’ordinamento sequenziale del componimento”.  Lo racconta Gregorio Valerio, un uomo alto e robusto che è stato segretario personale di Carlo Maria Martini nei suoi ultimi anni quando era arcivescovo di Milano. Valerio conserva nella segreteria della sua casa parrocchiale, in un rione milanese semplice, una montagna di libri, ricordi vari e dischi di musica classica regalati a Sua Eminenza. Ma il meglio del cardinale lo conserva nella memoria. Per esempio questo mostruoso metodo di lettura, grazie al quale leggeva a tempo di record molti dei libri che arrivavano giornalmente al palazzo arcivescovile. Andando direttamente a quello che interessa, tralasciando il superfluo. Un metodo che non applicherebbe al suo ultimo libro «Colloqui notturni a Gerusalemme», dato che non contengono un’unica idea. Siamo davanti al testamento spirituale e personale dell’uomo considerato da molti il rappresentante massimo di una Chiesa a profilo liberale, dialogante, che scommette sulla comprensione delle società laiche del secolo XXI e non nello scontro con loro.            Nei colloqui, redatti da Georg Sporschill, gesuita austriaco di 62 anni, Martini avrà apprezzato pure questo impulso, in greco orgé, come piace dire al cardinale; questa qualità vitale che caratterizza le opere ispirate. La loro pubblicazione in tedesco, ha già sollevato la polvere  che normalmente accompagna le dichiarazioni di Carlo Maria Martini, considerato in molti ambienti della chiesa come la controfigura di Benedetto XVI. Instancabile nella sua ricerca di verità, questo torinese di buona famiglia pare che conservi intatta, a 81 anni, la capacità di scandalizzare, di far fluire le acque dai compartimenti stagni. Senza nemmeno alzare la voce, dicendo cose che si distanziano sempre dal chiacchiericcio ufficiale, dai luoghi comuni, dai binari particolarmente rigidi dell’istituzione a cui appartiene da 56 anni, la Chiesa cattolica apostolica romana.            "Il cardinale è soltanto un uomo che osa pensare", ha detto il chirurgo Ignazio Marino, che ha avuto con lui un dialogo famoso, pubblicato sul settimanale L’Espresso, nel 2006. In quel dialogo appariva chiaramente lo stile di Martini. Quello di un uomo disposto a ascoltare le ragioni dell’altro, a cercare un punto di consenso, e, soprattutto, a non squalificare. Qui si colloca la sua sofferta accettazione della ricerca sugli ovociti, prima che le cellule che li costituiscono comincino a dividersi. Il suo rifiuto dell’accanimento terapeutico. Martini si sforzò di comprendere il dramma di coloro che praticano l’eutanasia, per evitare sofferenze a un essere caro, pur considerandolo un atto terribile. Davanti a una delle bestie nere della chiesa, l’omosessualità, la sua posizione è perlomeno umana. "Ho tra i miei conoscenti, delle coppie di omosessuali, uomini molto stimati e molto socievoli. Non mi è stato mai domandato, e non l’avrei fatto, di condannarli", dichiara nel suo ultimo libro.E abbiamo anche una sua critica seria, erudita, per nulla ossequiosa verso il libro ‘Gesù di Nazareth’ pubblicato dal Benedetto XVI l’anno passato. "Un bel libro ", dichiara il cardinale, sebbene si veda chiaramente che il suo autore   “non ha studiato direttamente i testi critici del Nuovo Testamento". Oppure il suo rifiuto della messa in latino – "Considero che il Vaticano II è stato un passo avanti nella comprensione della liturgia" – pubblicato in un giornale economico poco dopo il motu proprio del Papa che autorizzava l’antico rito. Martini ha sempre avuto una caratteristica speciale. Nell’ultimo libro, l’ultimo scandalo non fa altro che rinforzare il mito di questo studioso atipico, autore di centinaia di opere erudite, molti di questi sono compendi di esercizi spirituali, omelie e conversazioni. Quello che ha detto il cardinale interessa.  Chi è realmente Carlo Maria Martini, il grande rivale di Joseph Ratzinger nell’ultimo conclave? Chi è il gesuita che ha rinunciato al suo status di principe della Chiesa quando è andato in pensione, per rifugiarsi in un’austera residenza della compagnia di Gesù, vicino a Roma?Gregorio Valerio, suo fedele segretario, e Sandro, l’autista di una vita, lo hanno accompagnato alla sua nuova abitazione in un giorno di settembre del 2002. Valerio ricorda tutti i dettagli. La casa spartana, un frigorifero vuoto, un sacchetto verde per metterci la roba da lavare. Il segretario ebbe un brivido:  “Il cardinale suda molto, mi preoccupava che non avesse roba disponibile. Quella austerità era qualcosa di tremendo. " I gesuiti, sai come sono ", disse con un gesto indecifrabile. Per fortuna, ho saputo prima del trasloco che il cardinale – “Padre Martini”, aveva detto uno degli interni  – avrebbe avuto un bagno indipendente.Cose insignificanti per uno che ha abbandonato le comodità della vita e ha scelto l’austerità del mondo dei gesuiti. E, oltre a ciò, Ariccia era dopo tutto un posto di passaggio. Il suo vero destino era Gerusalemme."Il cardinale era felice lì, ha detto il chirurgo Martino, senatore del PD, di sinistra, che lo ha visitato alcuni anni fa nella città santa p
er le tre religioni.  “Mi volle incontrare un giorno molto presto per andar al santo sepolcro. È stata una esperienza unica". Marino gira un po’ cogli occhi d’intorno e ricorda. Erano circa le sette di mattina. L’arabo che conserva le chiavi del sepolcro l’aveva appena aperto. La solitudine, il silenzio, davano all’interno un’atmosfera mistica. Martini mi mostrava i resti archeologici con sicurezza impressionante. " questo è storico, questo e quell’altro non lo sappiamo, quell’altro ancora fa parte della leggenda". Che guida!" e dopo, verso le 10.30, come tutti i giorni il cardinale lo portò al distributore di benzina, vicino all’Istituto Biblico, dove si beve il miglior caffè espresso della città.
Il sogno di Gerusalemme si è disfatto qualche mese fa. La malattia di Parkinson che lo tormenta progredisce e Martini deve sottomettersi a una cura nella residenza-ospedale che i gesuiti hanno a Gallarate (a circa 30 chilometri da Milano). Un casermone del secolo passato, circondato da un giardino dove il paziente vive la sua vita di routine, senza rinunciare al lavoro. Corregge, quando si sente in forze, le bozze della versione italiana del libro di Sporschill, e procede nell’analisi delle note marginali del codice Vaticano (il manoscritto contiene la versione in greco più antica che si conosca del Nuovo Testamento, a fianco del codice Sinaitico). Potrà ricevere la giornalista? Il cardinale non si trova in forze. Con un gesto che conferma il suo scarso riguardo ai protocolli, Martini telefona personalmente per chiedere scusa. "Sto facendo una cura medica. La mia salute non è buona. Mi dispiace molto dirle che non posso, ma non sto bene". La sua voce suona infinitamente fragile al telefono. Irriconoscibile, impossibile metterla in relazione con quella voce imperiosa, che dava enfasi a ogni parola, dell’arcivescovo di Milano, nell’intervista che concesse a El País mentre riceveva il premio Principe delle Asturie, nel 2000." Sta imparando a parlare un’altra volta. Lavora con un logopedista", spiega Franco Agnesi, una delle quattro persone con cui Martini ha condiviso la sua vita nella sua tappa di arcivescovo. Agnesi, che lo ha appena visitato a Gallarate, racconta che ha ancora nostalgia di Gerusalemme. "Mi dispiace non stare lì, ma mantiene il senso dello humour. Gli ho citato la frase del Vangelo di San Giovanni, cap. 21: "Quando sarai il vecchio ti porteranno dove non vuoi andare". Carlo Maria Martini è stato inviato dove non voleva andare, quand’era ancora un uomo di mezza età. La decisione di Giovanni Paolo II di nominarlo arcivescovo di Milano arrivò nel dicembre del 1979 e cadde come una bomba nei palazzi episcopali d’Italia. Chi era quel gesuita studioso di sacre scritture, senza nessuna esperienza pastorale che saliva fino alla cima più alta della gerarchia nazionale? Che cosa sapeva del mondo della curia, degli obblighi professionali di un arcivescovo, lo studioso e timido Martini? In fretta e furia il Papa lo consacrò vescovo subito dopo la nomina, sognata da una buona parte dei vescovi italiani. Lui, il gesuita alto, di portamento aristocratico, timido e riservato, non aspirava alla diocesi di Sant’Ambrogio. Andava bene come rettore dell’Università Gregoriana posto dove stava da poco più di un anno, dopo quasi nove anni come direttore dell’Istituto Biblico di Roma. Lo scarto tra una carica e l’altra e l’altra era stato quasi impercettibile. La Gregoriana e l’Istituto stanno quasi porta a porta, in un angolo relativamente tranquillo del centro storico di Roma. Martini passò da una casa austera a un’altra ugualmente austera. Da una vita di Comunità – con bagni in comune – a un’altra vita in comunità, un gradino più su nella scala accademica ecclesiastica. Stephen  Pirani, gesuita nordamericano che era stato suo alunno e attualmente rettore del biblico, ricorda quanto gli sia dispiaciuto che se ne andasse. "Come professore aveva una grande chiarezza di idee . Era capace di spiegare ammirabilmente una cosa così rara come la critica testuale, la sua specialità". Pirani ha mantenuto il contatto con il cardinale fin dagli anni 70. Martini mai si è allontanato, nemmeno sotto il peso della maggior diocesi d’Europa, dalla sua passione per i manoscritti e papiri biblici. Cambiò città e stili di vita, dopo aver ottenuto il permesso del superiore generale dei gesuiti, Pedro Arrupe. Si istallò nell’ala nobile del palazzo episcopale che s’affaccia sulla via del Duomo. E imparò in fretta. Si accorse subito del ritmo frenetico della città. Della particolarità della sua missione pastorale in tempi violenti. Gli anni di piombo erano alle ultime battute con azioni terribili di terrorismo nero e delle brigate rosse, che gambizzavano uomini d’affari e professori universitari. Condannò il terrorismo, ma non si sottrasse all’ascolto dei terroristi. Celebrò funerali per le vittime e una volta battezzò due gemelli concepiti durante uno di quei processi di massima sicurezza contro i brigatisti Rossi. Martini visitò le prigioni, convinto che là dentro non c’era spazio per " la riabilitazione dei prigionieri"; percorse ospedali e parrocchie. E dal pulpito condannò lo scandalo di tangentopoli, il sistema di corruzione politico-economico che avrebbe finito per minare la vita politica italiana agli inizi degli anni 90. Niente di tutto questo lo distinse dagli altri vescovi. Altre furono le iniziative che hanno motivato l’insorgere del mito Martini. La prima, lettura del Vangelo ai giovani e spazio al silenzio e alla meditazione nelle loro vite. La scuola della parola, come vennero chiamati questi incontri mensili, si sarebbe rivelata un successo. Il Duomo si riempiva di giovani a ogni incontro. Migliaia di giovani si riunivano davanti all’altare per ascoltare testi sacri e meditare un tempo sopra la propria vita. In mezzo alla vita frenetica giornaliera di Milano – che insieme a Torino è il motore economico dell’Italia – Martini predica il silenzio e la pausa. Una seconda iniziativa indovinata del cardinale (Woityla gli concede il berretto nel 1983) avviene nel 1987 e sarà detta "La cattedra dei non credenti". Incontri sporadici con intellettuali laici per dibattere sulle ragioni del dubbio, della fede o della mancanza di fede. Una frase del libro di Ratzinger “Introduzione al cristianesimo", in cui riflette sul “Non credente che esiste in ogni credente ", può dare un’idea. Il cardinale si ispira pure all’affermazione del filosofo Norberto Bobbio: "L’importante non è credere ma pensare o non pensare". A partire da qui, la cattedra decolla. Martini dibatte con il semiologo Umberto Eco e con decine di intellettuali in aule universitarie e stanze per conferenze. Molti dei colloqui sono stati pubblicati. Non è casuale che nel 2000, sia Eco  che il cardinale abbiano ricevuto il Nobel spagnolo, il premio Principe delle Asturie. A Martini costò molto accettare questo onore. Normalmente, rifiuta i premi. Si sente oppresso dagli elogi e gli interessano soltanto i commenti critici, dai quali impara di più. Lo dice il suo stesso blasone cardinalizio: "Amare le cose ‘avverse’ per amore della verità", parole tratte dalle regole pastorali di San Gregorio Magno, nonostante che Martini sia, soprattutto, un gesuita. Apprezza il silenzio e le pause nel continuo correre di tutti i giorni. Una regola d’oro
che ha mantenuto nei suoi anni di arcivescovo. "Mi probì di prendere impegni nella sua agenda il giovedì mattina”, racconta il suo segretario, Valerio. Se ne andavano in macchina sui monti. Una volta arrivati nel luogo prescelto, ognuno andava per conto suo. Ma col cellulare in tasca. Senza essere un alpinista, Martini conservava dalla sua infanzia il piacere di fare escursioni sulle Alpi. Le lunghe ferie di famiglia si dividevano tra le spiagge della Liguria e le montagne vicino a Torino. Suo padre preferiva le camminate. Quand’era arcivescovo, Martini si arrischiava a scalare cime alpine. Quasi sempre dal lato della Svizzera italiana, per non essere riconosciuto. Dopo, purificato dall’altezza e dalla solitudine, tornava in curia e riprendeva la sua agenda. Gregorio Valerio lo ricorda sempre corretto, incapace di dire una parola cattiva anche alla lontana. È un uomo passionale, ma si controlla. Ci riesce con la forza della volontà e con l’esercizio. Vestiva in clergyman non eccetto che nelle uscite pastorali. Moderato nell’alimentazione, il cardinale seguiva una dieta ferrea, sotto il controllo di uno specialista, almeno alcune settimane all’anno. Motivi di salute o forse il desiderio di purificazione fisica. C’è un lato curioso anche nella personalità dell’intellettuale, biblista di fama internazionale e pensatore ribelle: le sue doti di degustatore di vini. Arrivavano all’arcivescovado molti regali, a volte casse di vino. Io mi fidavo sempre dell’opinione del cardinale. Quando diceva: "Questo è un eccellente vino da tavola", io sapevo che il vino non valeva niente ", conta il suo segretario.
Il cardinale passava ore nella sua stanza quasi sempre con la porta aperta. Quando la chiudeva era segno che non voleva essere disturbato. Martini condivideva i pasti (colazione, pranzo e cena) con i suoi collaboratori diretti. Quello che era allora il numero 3 della curia milanese, Franco Agnesi, lo definisce come un uomo con grande senso dello humour, anche se sempre controllato, distante. Un comportamento che molti fedeli interpretavano come insuperabile freddezza. “Quando si congratulava dopo le messe in Duomo, era come una sfinge", racconta un milanese devoto, che non nasconde le sue preferenze per il nuovo arcivescovo, Dionigi Tettamanzi. Martini ha sempre creduto nella forza della ragione, in perfetta armonia con la sua fede. Cose che a Milano gli hanno causato qualche problema. "Il movimento Comunione e Liberazione gli rese la vita abbastanza difficile, disse Agnesi. Era a quel tempo un movimento giovane, molto legato alla destra politica, in una fase di aggressiva espansione. Il cardinale risolse la situazione con il suo autocontrollo abituale. Senza per questo tralasciare di apprezzare due qualità in questi movimenti: da un lato la loro riscoperta di Cristo; dall’altro la loro capacità di stabilire relazioni molto intense dentro al gruppo. Amici e avversari, collaboratori e semplici osservatori, concordano nel considerare Martini un uomo molto riservato. La sua educazione, la sua storia, i colpi della vita avevano fatto di lui una persona quasi impenetrabile. Secondo di tre fratelli, Carlo Maria Martini era nato il 15 febbraio 1927, a Torino, in una famiglia della borghesia industriale. Leonardo suo padre, era un ingegnere con una fiorente impresa di costruzioni. Sua madre, Olga, era una cattolica straordinariamente devota. Il bambino fu inviato al collegio dei gesuiti, uno dei più prestigiosi della città. E lì nacque la vocazione. "A mio padre non piacque molto l’idea", avrebbe detto Martini più tardi. Aveva forse altri progetti per lui, ma il suo destino era segnato. Sarebbe stato gesuita. I primi anni di formazione coincisero con la seconda guerra mondiale, ma i Martini non attraversarono difficoltà particolari. A 25 anni, Carlo Maria è ordinato sacerdote. Dieci anni dopo la licenza in teologia e filosofia e dopo avere completato la sua formazione di gesuita, occupa la cattedra di critica testuale nell’Istituto Biblico di Roma. Nel 1972, conosce Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, che lo invita a visitare gli specialisti biblici della sua città. Martini fece il viaggio in macchina con il suo fratello maggiore, Francesco. E fu l’ultimo che fecero insieme. Nell’ottobre del 72 suo fratello muore d’infarto cerebrale. In appena diciotto mesi, Martini perde anche i suoi genitori. La famiglia del cardinale si riduce adesso a sua sorella minore, Maria Stefania e ai suoi nipoti Giulia Giovanni. Colpi della vita che lo segnarono, come la malattia. La malattia di Parkinson lo spia  fin dall’inizio del nuovo millennio. Nonostante le iniziali smentite ufficiali, la notizia è di dominio pubblico prima del conclave del 2005. La morte di Giovanni Paolo II in quell’anno offre alla Chiesa una occasione per realizzare, forse, la riforma che molti aspettavano. I seguaci di Martini speravano nelle sue possibilità di essere eletto. "Sarebbe stato peggio", disse il vaticanista del giornale conservatore ‘Il giornale’, Andrea Tornielli. "Martini avrebbe diviso la Chiesa molto più che Ratzinger". Il cardinale si presenta in Roma appoggiato a un bastone. Gli specialisti sanno che il bastone significa "Non sceglietemi, sono malato", nelle metalinguaggio Vaticano. Il giorno seguente, l’omelia di Martini sta sullo giornale La Repubblica e è motivo di chiacchiere nei corridoi vaticani. "Credo che il cardinale sia un po’ ingenuo. A volte dice cose senza capire che possono essere utilizzate erroneamente", opina il  Vescovo Vincenzo Paglia, amico personale di Martini. "Non è un uomo di sinistra, anche se si impegnano a trasformarlo in antipapa. Non ha una visione politica, ma evangelica della Chiesa. Certo parla con libertà, ma molte volte è mal interpretato". Non sono soltanto gli amici e collaboratori di una volta concordi nella lamentare una " distorsione" mediatica che ha trasformato il cardinale in un personaggio di sinistra dentro la gerarchia cattolica. Anche coloro che lo osservano da maggiore distanza, come il vaticanista Tornielli, credono che il personaggio Martini è un’invenzione di alcuni giornalisti. "Si impegnano in questo come si sono impegnati nell’affermare che Ratzinger fu eletto all’ultimo conclave grazie e sul suo appoggio. Il che è assolutamente falso". Martini non è un liberale,  crede Tornielli (che si è dato al lavoro di riassumere molti degli interventi del porporato, a suo giudizio contrario a questa aureola, in un libro intitolato "L’elezione di Martini”. “Come un buon gesuita, ha detto e non ha detto", sottolinea il vaticanista. Tornielli non trova, tuttavia, un motivo di scandalo negli ultimi interventi di Martini. Nemmeno nel libro del gesuita Sporschill. Ancora non è stato pubblicato in italiano. Il cardinale è in pensione. Le sue parole non scandalizzano più. Quello che ha detto, lo ha detto perché obbligato a mantenere il suo personaggio, insiste. Molti seguaci del cardinale liberale aspettano questo testo con ansia. Sanno, dai riassunti pubblicati, che raccoglie o una conversazione senza riserve con Georg Sporschill. I due si erano conosciuti qualche decina d’anni fa, nella città di Vienna. "Il cardinale dava un corso per sacerdoti e lavoratori sociali nelle prigioni", ricorda l’autore. A partire da quel momento è nata l’amicizia. Sporschill ammirava il cardinale e Martini sempre si è interessato al lavoro dell’austriaco, che si occupa di bambini di strada a Bucarest. Così, tra i due, prese corpo l’idea di un incon
tro fisso sulle grandi questioni della Chiesa e le opinioni più personali del cardinale. "L’ho frequentato a Gerusalemme per tre settimane, in un periodo di vari mesi. Quando stava lì, noi ci vedevamo tutti i giorni, si parlava ore a fila, sempre che la sua salute lo permettesse", precisa Sporschill in una e-mail. Il risultato è un libro non voluminoso ma denso e polemico. Con questo, Martini confessa i dubbi che l’hanno tormentato per anni. La sua difficoltà a capire le ragioni di Dio per far soffrire suo figlio in croce. Già da vescovo, Martini considerava insopportabile, a volte, la contemplazione di un crocifisso. Allo stesso modo non è capace di accettare la morte, finché un giorno ha capito. "Senza la morte noi non ci consegneremmo totalmente a Dio. Resterebbero uscite di emergenza aperte". Il cardinale emerito confessa che ha sognato per anni la possibilità " di una Chiesa povera e umile, indipendente dai poteri del mondo". Ora ha smesso di sognare. Ma anche così, domanda alla Chiesa il coraggio di trasformarsi,  accettare che il mondo cambia. Anche se soltanto per puro formalismo, dovrebbe spalancare le braccia ai preti sposati, valorizzare l’ipotesi dell’ordinazione di donne. Martini riconosce pure che l’enciclica di Paolo VI, la Humanae vitae, con cui il magistero della chiesa condanna l’uso degli anticoncezionali, è superata. Ignazio Marino, chirurgo e il senatore, che considera Martini " una delle grandi personalità del nostro tempo", non è rimasto sorpreso per la sincerità del cardinale, anche se gli dispiace che le sue parole siano quasi sempre pietra di scandalo. "Ha sempre parlato con libertà, ma ama la Chiesa e è enormemente fedele al Papa". È un cardinale di sinistra? "Dire questo sarebbe una semplificazione". Il rettore Pirani teme che l’immagine di Martini sia stata distorta dai giornalisti. "Molte volte abbiamo discusso insieme e gli dà fastidio il fatto che si tenti di contrapporlo al Papa o ad altri cardinali". La cosa è semplice. "In lui si coniuga una grande fedeltà alla Chiesa con la capacità di fare domande".
Questo è una opinione condivisa dal vescovo Vincenzo Paglia, che l’ha conosciuto negli anni 70, quando era rettore dell’Istituto Biblico e viveva angustiato per la mancanza di contatto con i poveri. La comunità di Sant’Egidio era allora un’esperienza nuova e Martini era interessato a conoscerla. All’inizio dette una mano per aiutare un vecchio malato che viveva nella miseria, in seguito ampliò il raggio della sua attività pastorale. "Andava a celebrare la messa in un rione povero, il rione alessandrino. Ricordo che celebrava in una vecchia pizzeria, e preparava l’omelia, al sabato, con due ragazzi della comunità", racconta Paglia. Bibbia e fede religiosa sono un tutt’uno in Carlo Maria Martini. Lui stesso ha raccontato delle sue instancabili peregrinazioni per le librerie di Torino, la sua città natale, quando era adolescente, in cerca di un esemplare in italiano dell’antico e Nuovo Testamento tradotti dal greco. La Bibbia che conosce dall’A alla Z, così poco frequente nella formazione dei cattolici, è la vera base della spiritualità di Martini. Per rispondere a qualunque domanda, per risolvere qualunque problema, il cardinale usa a piene mani le scritture. Senza paura di restare solo. «Lui segue la massima di sant’Ignazio: ‘Solo e a piedi», aggiunge Franco Agnesi, il suo antico collaboratore, che dice di sentire nostalgia degli anni passati a fianco del cardinale, al quale chiede ancora consigli. Questo è stato il motivo della sua ultima visita: domandargli che deve fare adesso che gli assegnano un’altra parrocchia. Il cardinale lo ha ascoltato e lo ha consigliato. E è stato capace di dominare la nostalgia quando si parlò, di passaggio, di Gerusalemme, la città dove voleva morire e in cui ha una tomba riservata. Adesso questa possibilità è remota. Lo stesso Martini ha detto "Gerusalemme è un luogo buono per morire, ma un posto brutto per un moribondo".   


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Commenti

Una replica a “Il Card. Martini dal vero, un credente che pensa e parla in libertà in una Chiesa di conformismi ed autoritarismi”

  1. Avatar
    Anonimo

    Se fossi in Martini starei molto attento alle adulazioni di certi ambienti a cui del cardinale(e di Cristo) non importa nulla se non il fatto che può essere usato come una specie di anti-papa.
    Costoro hanno solamente in odio Cristo e la sua Chiesa.

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