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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Il Card. Tettamanzi conferma la sua linea pastorale aperta a capire e a dialogare

Città ricca e senz’anima?


di Annachiara Valle – foto di Diego Zanetti
 ( da Jesus, giugno 2009) 

 

Spaventata dalla crisi economica e dall’aumento dell’immigrazione, Milano appare in crisi: triste, incapace di reagire, intollerante. La comunità diocesana, molto ben radicata sul territorio, coglie il rischio di questo disorientamento. E, sotto la guida del cardinale Tettamanzi, sprona i milanesi alla solidarietà.
     

 Un panino, una birra e un caffè doppio. A due passi dalla Madonnina, ma non ancora in piazza Duomo, il cameriere porge uno scontrino da 20 euro. La «Milano da bere», come recitava nel 1987 un famoso spot pubblicitario, non è alla portata di tutte le tasche. Eppure i pub sono pieni, soprattutto in centro città. Nell’intervallo del pranzo, impiegati in giacca e cravatta si mescolano con i turisti. Mangiano in fretta, con l’ansia che scorre nella voce, mentre parlano di lavoro e denaro. Milano corre. Sempre più stressata, sempre più senza meta. Qualcuno, però, trova il tempo per una pausa. Le porte della chiesa di San Fedele si aprono per l’ora di pranzo. E, nella penombra silenziosa, ci si ritrova per una Messa. Sono tante le chiese, soprattutto quelle del centro, che hanno deciso di offrire, nello spazio di uno spuntino, un luogo di riflessione in mezzo al caos della metropoli. Un modo per fermarsi, per pensare, per ritessere le fila della propria esistenza. In una città che spersonalizza sempre di più. «La Chiesa ambrosiana cerca di dare un’impronta precisa e di tessere legami e relazioni in una metropoli che da troppi anni ha smesso di avere un pensiero su sé stessa», dice Mauro Magatti, preside della Facoltà di sociologia dell’Università cattolica. «Mediolanum è terra di mezzo, come dice già il suo nome. Un privilegio, nel senso che può essere l’insieme di tante cose e di tante risorse. Un difetto, quando corre il rischio di essere solo un luogo attraverso cui passano cose, persone, informazioni, affari. Un luogo di passaggio nel quale non rimane nulla», continua Magatti. Al centro di tanti interessi economici, culturali, di tutta una serie di network internazionali, perennemente in transizione, senza un confine preciso neanche dal punto di vista geografico e istituzionale, Milano rischia di perdere la sua anima. «Da anni», dice ancora il sociologo, «Milano sembra non riuscire a pensare sé stessa. Questo rischia, da un lato, di farle perdere la sua ambrosianità, cioè la sua capacità di risolvere i problemi, la sua concretezza, la sua accoglienza. Dall’altro, le rende difficile trovare quell’equilibrio che possa mantenerla terra di attraversamento e di scambio senza farla diventare una prateria devastata».Qui, prima di tutto, c’è il cuore dell’economia. E per questo, oggi che l’economia è, più di ogni altro, il luogo della perdita di senso, Milano soffre. «Il risultato», sottolinea Magatti, «è che questa è una metropoli dove c’è tanto benessere, ma dove le persone non sono felici». La fatica è una delle cifre della città. I centri d’ascolto della Caritas, presenti in quasi tutte le parrocchie, registrano la difficoltà di vivere di fasce sempre più ampie di popolazione. «La ricchezza non è distribuita in modo equo», sottolinea don Roberto Davanzo, direttore della Caritas ambrosiana, «e anche se Milano ha straordinarie opportunità, ci sono anche grandi sacche di disagio».Ma non è solo una questione di denaro. Aumentano gli anziani soli, i single senza rete familiare, i soggetti deboli in generale – dagli immigrati ai giovani senza lavoro –, si allenta la coesione sociale, si sgretola la famiglia, si diventa più paurosi e più intolleranti. È il quadro che disegna anche l’annuale Rapporto sulla città, curato dall’Ambrosianeum. La Fondazione, nata nel 1948 da un’idea dell’allora cardinale di Milano Alfredo Ildefonso Schuster e dall’impegno di due esponenti della società civile, Enrico Falck e Giuseppe Lazzati, è uno degli istituti più attenti alle trasformazioni: «Sta venendo meno quello che possiamo chiamare il "prendersi cura"», spiegava a proposito dell’ultima ricerca Eugenio Zucchetti, ex presidente dell’Azione cattolica e uno dei curatori del Rapporto, «ma è proprio il prendersi cura che svolge un’indispensabile funzione sociale e di contenimento della vulnerabilità».Al prendersi cura, ai legami di coesione, al sentimento di generosità ha fatto appello più di una volta il cardinale Dionigi Tettamanzi. Ne ha parlato anche nell’ultimo libro appena pubblicato con la San Paolo, Non c’è futuro senza solidarietà. La città distratta e diffidente, nonostante tutto, ha ascoltato e risposto. Nel Fondo "Famiglia-lavoro", lanciato dal cardinale quattro mesi fa, i milanesi hanno già versato oltre 4 milioni di euro. Per aiutare la Chiesa a soccorrere i bisognosi, a progettare integrazioni e sostegni. La comunità diocesana, articolata e radicata sul territorio, coglie, più di chiunque altro, i segnali di una crisi che è anche culturale. E offre risposte. «La Chiesa ambrosiana oggi è molto impegnata sul piano sociale, ma non è un’agenzia di servizi», sottolinea don Virginio Colmegna, per anni direttore della Caritas e oggi animatore della Casa della carità. «Sulla spinta della pastorale del cardinale Martini, ripresa con continuità dal cardinale Tettamanzi, c’è una grande tensione spirituale e contemplativa. La dimensione biblica è entrata nella formazione, si coltiva una carità che mette in moto dinamiche di legami. In questo momento di crisi da tutti i punti di vista, crisi delle relazioni, del costume di vita, con un sistema sociale che sta vacillando, il nodo diventa quello della formazione. Bisogna investire sul piano dell’educazione e della cultura».È su questo versante che la Chiesa milanese dà il meglio di sé. Non solo con un’offerta culturale che va dalle mostre ai seminari, ai convegni, ai ritiri. Ma anche con le sue Scuole diocesane per operatori pastorali (Sdop). Scuole che, anche per la diminuzione del numero dei sacerdoti, danno grande spazio al laicato, con un intero percorso dedicato proprio alla corresponsabilità laicale. Nell’ultimo anno pastorale sono state attivate 57 "Sdop" con un totale di oltre 3.200 partecipanti. Si è parlato di formazione di coppie per la pastorale della famiglia e dei separati, divorziati, risposati; di introduzione all’ecumenismo, di cura della pastorale liturgica, di cammino verso le comunità pastorali. È una formazione che non resta teorica. «Una delle caratteristiche della Chiesa ambrosiana», sottolinea Franco Giulio Brambilla, vescovo ausiliare, preside della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e vicario episcopale per la cultura, «è quella di essere molto attiva, "organizzata" e molto radicata sul territorio grazie anche alla presenza degli oratori e del grande laicato dell’Azione cattolica e di altri movimenti e associazioni»Fin dai primi del Novecento, grazie alla spinta del cardinal Ferrari – e poi di Schuster, Colombo e Montini – gli oratori sono divenuti parte integrante della parrocchia milanese. Oggi è quasi nel canone ambrosiano: non si costruisce una chiesa se non c’è annesso un oratorio. Frequentato più nei giorni feriali che in quelli festivi, continua a scandire la quotidianità della gioventù milanese. E viene affidato sempre di più ai laici. In collaborazione con la diocesi, la cooperativa "Aquila e Priscilla" forma i "direttori di oratorio" che vengono poi assunti nelle parrocchie. Competenze pedagogiche e teologiche, inclinazioni personali, doti comunicative per una figura chiave all’interno della comunità: «Si valorizza così la corresponsabilità laicale», sottolinea Marco Vergottini, teologo e vicepresidente della cooperativa.Basta sfogliare il calendario delle attività dei singoli oratori, leggere gli avvisi sulle bacheche delle parrocchie, o visitare il sito della diocesi (www.chiesamilano.it) per rendersi conto di quanto sia pragmatica e operosa la Chiesa ambrosiana. Non c’è settore della pastorale che non sia organizzato a dovere. «C’è da fare però ancora uno sforzo», sottolinea don Colmegna, «perché l’operosità non sia slegata dalla dimensione contemplativa; perché non si generi una scissione tra liturgia, catechesi e carità; perché l’attivismo non sia generico, slegato dalle domande di senso»«Se perdiamo questa dimensione rischiamo solo di fare tante cose, anche belle, ma di non far maturare le coscienze», aggiunge don Gianfranco Bottoni, responsabile del Servizio per l’ecumenismo e il dialogo della diocesi. «È invece il tempo di farsi interpellare come cristiani e di promuovere vie di riconciliazione tra cristiani di diverse confessioni, e di dialogo con i credenti di altre fedi». Dal 2002 al 2004 don Bottoni è stato presidente del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano. L’organismo, nato nel 1998, è stato il primo del genere in Italia. Attualmente presieduto dalla cattolica Francesca Melzi d’Eril, succeduta all’ortodosso rumeno padre Traian Valdman, riunisce 18 denominazioni cristiane. Il dialogo non è astratto, come sottolineano anche le quattro commissioni specializzate in pastorale, liturgia, informazione, giustizia, pace e integrità del creato. Fra le tante attività, le confessioni cristiane promuovono la "Grotta d’Elia", un incontro di riflessione e preghiera infrasettimanale che si svolge tutti i giovedì nella chiesa di San Gottardo al Palazzo: un modo per conoscersi e camminare insieme, con lo sguardo rivolto verso agli altri.Lo stesso stile caratterizza anche il Forum delle religioni, autoconvocatosi a Milano dopo l’incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio nel 2000. Rifacendosi al tema "Religioni per la pace nello spirito di Assisi", il Forum ha fra gli scopi la tutela della libertà di culto, di religione e di fede e l’impegno contro ogni forma di discriminazione religiosa. Una sfida, in una città che alza i ponti, che ha paura dello straniero e del diverso, che guarda alla multiculturalità e alla differenza religiosa con sempre maggiore sospetto. «Nel 313», ricorda monsignor Brambilla, «l’imperatore Costantino emanò l’editto di Milano, che pose ufficialmente termine a tutte le persecuzioni religiose. Fu chiamato l’editto della tolleranza. Ci stiamo preparando alle celebrazioni del 2013 con la speranza che la parola "tolleranza" torni nel dizionario comune dei milanesi».Il cardinale Tettamanzi è convinto che «la città abbia energie e creatività e che possa tornare ad accogliere senza paura». Ma intanto sui muri della città si legge, sarcastica e minacciosa insieme, la scritta «più rum, meno rom». Capitale del non profit e dell’economia sociale, ma anche di forme di razzismo, intolleranza e indifferenza, Milano si scopre città contraddittoria. Qui i tanti sguardi parziali sembrano non avere più una cornice di riferimento e anche la religiosità più profonda rischia di non riuscire a tenere insieme la coscienza collettiva.E mentre ci si avvia a prendere la metropolitana si respira la rabbia di una città complessa che deve ancora decidere se rinnegare completamente sé stessa o ridare fiato alla sua interiorità. Intanto dall’altoparlante annunciano il blocco delle corse. Una ragazzina di 16 anni ha tentato il suicidio gettandosi sotto i vagoni. È il terzo caso in un mese. Lo scorso anno erano stati 11. Il cicaleccio si interrompe. In silenzio ci si avvia verso gli autobus sostitutivi. Per un attimo anche i più frenetici allentano la corsa e non spintonano più. Forse Milano ha ancora un cuore.Annachiara Valle
 

La diocesi più grande d’Italia Divisa in sette zone pastorali, la diocesi ambrosiana è la più estesa d’Italia e la prima in Europa per numero di cattolici. Oltre a Milano città, la diocesi comprende Varese, Lecco, Rho, Monza, Melegnano e Sesto San Giovanni. Ogni zona pastorale è, a sua volta, suddivisa in decanati. In tutto, la diocesi di Milano copre oltre 4 mila chilometri quadrati con più di 5 milioni e 160 mila abitanti. Di rito ambrosiano, con l’eccezione della sola città di Monza, la diocesi conta 1.104 parrocchie. I sacerdoti secolari sono poco più di 2.070, oltre mille sono i religiosi, oltre 8 mila le religiose e poco più di 100 i diaconi permanenti. Da qualche anno sono state avviate le comunità pastorali e al momento ne sono operative circa 150. La diocesi è detta ambrosiana dal nome del suo patrono, sant’Ambrogio, che ne fu vescovo dal 374 al 397. Accanto ad Ambrogio, la Chiesa milanese ricorda san Carlo Borromeo. Il suo episcopato, che si estese dal 1560 al 1584, segnò la "rifondazione" della Chiesa ambrosiana dopo il Concilio di Trento. Grande spessore è da riconoscere, in anni più recenti, agli episcopati di Giovanni Colombo, di Carlo Maria Martini e dell’attuale cardinale, Dionigi Tettamanzi, che guida Milano dal 2002.

 


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