Non solo Marina ma tutta Cagliari ora non sopporta più “il Mani sulla città”. Vuole scacciare Cugusi ma è lui a essere espulso dai fedeli: no al vescovo-feudatario
di Giorgio Melis (dal blog L’altra Voce.net)
27 lug 2010
Non era solo la gente di Marina ad aver voluto marcare con imponente presenza, devozione e solidarietà la celebrazione di e per don Cugusi. Una Messa intensa culminata nella vibrante e pacata omelia del parroco. Seguita dalla larghissima partecipazione alla Comunione, che ha richiesto l’impegno di tre sacerdoti mentre numerosi altri – anziani e più giovani ma autorevoli maestri e riferimenti culturali del parroco – testimoniavano attorno all’altare l’affetto e la considerazione per lui. La stessa che si coglieva pienamente nei fedeli: solo in piccola parte contenuti dai banchi insufficienti nell’occasione, gli altri in piedi per un’ora e mezza.
Non era solo gente di Marina ad affollare la Messa. Ma gruppi e singoli venuti da ogni angolo della città. In una domenica di fine luglio sottratta allo svago e alla gita fuori porta per presenziare ai Vespri a una celebrazione come poche se ne ricordavano a Sant’Eulalia. La chiesa carissima a Francesco Alziator, assunta a simbolo della città del sole in indimenticabili articoli di giornale e libri. Sotto le antiche navate era davvero rappresentata tanta parte se non tutta la città. L’anima della Cagliari di fede, tollerante ma capace di cogliere, accogliere e difendere personaggi che la loro testimonianza di vita – non solo religiosa – ha trasformato in simboli importanti, fecondi. Senza eccessi fanatizzanti, senza esaltazioni eccessive: nella misura della sobrietà ironica e seria insieme che è nel comun sentire cagliaritano.
Questo sentimento diffuso, e domenica militante tra preghiere, canti e lunghi applausi significativi, contiene un messaggio chiarissimo. Il vescovo-barone – assimilabile all’arrogante feudatario dell’inno patriottico cui il popolo chiede e impone di “moderare sa tirannia” – non ha saputo o voluto capire che non sta scacciando un parroco da un tempio. Sta espellendo i fedeli del quartiere e della città non da quello o altri templi, ma dalla Chiesa se interpretata come caserma e piazza d’armi, retta dalla forza gerarchica contro la forza della ragione e della fede. In un ribaltamento evangelico che trasforma il Buon Pastore nel cattivo pastore che bastona e punisce il suo gregge, incurante dell’agnello peraltro nient’affatto smarrito.
Monsignor Mani potrà allontanare materialmente don Cugusi da Sant’Eulalia. Ma moralmente e non solo il parroco resterà lì per volontà della comunità: allargata a quella dell’intera città. Non lo espellerà ma di fatto sarà Mani a ritrovarsi concretamente “espulso” dalla guida della curia. Per quanto vi resterà, sarà una sorta di sede vacante: col vescovo come deposto nel cuore dei fedeli. L’epilogo peggiore immaginabile per la Chiesa e soprattutto per un vescovo calato sulla diocesi come un dominatore-colonizzatore a lungo sopportato e ormai respinto.
Un grande vescovo domenica sera sarebbe tornato a Sant’Eulalia dopo la tempesta: a riallacciare il discorso, riproporre le proprie ragioni ma ascoltando e rispettando quelle del suo parroco e soprattutto dei fedeli. Non per troncare e sopire ma per dare coerente testimonianza del suo ruolo. Il personaggio è tetragono, fin troppo dominato dall’egocentrismo della carica. Interpretata con senso di superiorità mal riposto che rigetta le mediazioni nel rispetto degli altri. Potrebbe ancora accettare una soluzione ragionevole, per la quale si è proposto un personaggio di grande spessore religioso, morale e sociale come don Ettore Cannavera. Si vedrà se il vescovo abbia ancora qualche disponibilità a rivisitare le granitiche certezze che lo stanno portando fuori dal sentire dei fedeli o voglia confermarsi nell’iimmagine sostanziale che gli è valso l’appellativo squalificativo in cui si riassume un diffuso giudizio: “il Mani sulla città”.
Ma oltre il caso-Cugusi, resta in piedi e all’attenzione del Vaticano, la denuncia contro Mani di aver ostacolato e a lungo impedito l’ordinazione di un giovane sacerdote. “Colpevole” solo di aver denunciato per le vie gerarchiche una situazione di presunta pedofilia di un parroco romano. Al quale lo aveva indirizzato il l’arcivescovo di Cagliari. Con ritorsioni attribuite a Mani non contro il parroco denunciato ma in danno del giovane seminarista denunciante: proprio per non aver taciuto e, pare, con intimazione a ritrattare. Se comprovato, un atteggiamento gravissimo non solo di copertura del fatto: è non meno grave l’intimidazione e la ritorsione. L’esatto contrario di quanto proclama con energia e rigore il Papa. Se tutto sarà comprovato, lo sprezzante rigetto della trasparenza voluta da Ratzinger avrebbe perfino subìto un’escalation inaudita nella sfera puramente religiosa, nella parte fondamentale dell’ordinazione sacerdotale, se usata davvero come clava per far tacere o ritrattare l’aspirante prete. Con un illuminante esempio, un viatico devastante al neofita fornito dal proprio vescovo. La trasparenza sulla vicenda ormai è doppiamente indispensabile. Per la serenità già compromessa della comunità ecclesiale cagliaritana verso un prelato sul quale non può pesare anche un sospetto di tale gravità. E per lo stessa credibilità del Vaticano nella sua battaglia difensiva per la bonifica della Chiesa dalla peste della pedofilia.
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