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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Intervento di Mauro Castagnaro alla 24a Assemblea Nazionale di NOI SIAMO CHIESA

RIPORTIAMO LA RELAZIONE INTRODUTTIVA DI MAURO CASTAGNARO, MEMBRO DEL COORDINAMENTO NAZIONALE DI “NOI SIAMO CHIESA”, ALLA 24a ASSEMBLEA NAZIONALE DEL 2/12/2023.
NOI SIAMO CHIESA OGGI
Teniamo la nostra 24ª Assemblea nazionale – la prima dopo la scomparsa di Vittorio Bellavite, per oltre 15
anni Coordinatore nazionale – non alla cascina Contina, impossibilitata quest’anno a ospitarci a causa dei
danni provocati da un incendio, ma presso le Acli milanesi, che ci hanno accolto subito con grandissima
disponibilità, e di questo le ringraziamo davvero. E la teniamo in un momento storico segnato, sul piano
ecclesiale,  dal complesso processo sinodale della Chiesa universale, e su quello sociopolitico, dalla
ricomparsa della guerra come elemento stabile, almeno indirettamente, nella nostra vita quotidiana.
Questo binomio – sinodalità della Chiesa, presenza permanente della guerra – chiama in causa, a mio parere, le ragioni che sono alla base del nostro movimento fin dall’Appello dal popolo di Dio e ne conferma
l’attualità, pur in un contesto ben diverso da quello di 27 anni fa e coscienti dell’esiguità delle nostre forze.
Mi pare perciò utile non tanto proporvi una “storia di Noi siamo Chiesa”,che peraltro Vittorio aveva
cominciato a scrivere e dovremo certamente portare a termine – alcun ielementi si possono comunque
ritrovare nella sua ampia relazione per il nostro ventennale, che invito caldamente a rileggere
(https://www.noisiamochiesa.org/ventennale-di-noi-siamo-chiesa-il-racconto-di-venti-anni/) – ma
ripercorrere sommariamente le nostre vicende per individuare alcuni snodi di fondo del nostro cammino, così
da rafforzare una “memoria condivisa” non dei singoli fatti, ma dei caratteri e delle scelte che hanno
orientato un lavoro quasi trentennale. Questo perché, com’è naturale, gran parte di chi oggi aderisce a Noi
siamo Chiesa non era presente alla sua nascita.
Questi tratti, che sono venuti formando “l’identità” o, come diceva Vittorio, “il Dna” di Noi siamo Chiesa,
credo si possano ricondurre a cinque: il suo essere un movimento internazionale, il suo agire tenendo conto
della congiuntura ecclesiale, il suo concepire la riforma della Chiesa non sconnessa dall’ impegno per un
mondo più giusto e sostenibile, il suo costante impegno a “fare rete” con altre sigle e la sua scelta di operare
per la riforma della Chiesa cattolica.
1. Noi siamo Chiesa: un movimento riformatore internazionale
Noi siamo Chiesa nasce in Austria nell’ estate del 1995, quando alcuni cattolici e alcune cattoliche, di fronte
alle rivelazioni sugli atti di pedofilia compiuti dal card. Hans Groër, arcivescovo di Vienna, lanciano un
Appello al popolo di Dio che in un mese raccoglie oltre mezzo milione di firme – quasi la metà dei cattolici
austriaci“ praticanti” – in calce a cinque richieste: 1) superamento della divisione tra clero e laicato e
partecipazione delle Chiese locali alle nomine dei vescovi; 2) piena equiparazione dei diritti delle donne e
loro accesso ai ministeri diaconale e presbiterale; 3) libera scelta del presbitero tra forma di vita celibataria e
non celibataria; 4) valutazione positiva della sessualità (quindi libertà di coscienza nella regolazione delle
nascite, netta distinzione tra metodi contraccettivi e aborto, maggiore comprensione per i rapporti
prematrimoniali e la condizione omosessuale) e più esplicita enfasi su pace, giustizia e salvaguardia del
creato; 5) messaggio gioioso e non minaccioso, con maggiore disponibilità alla riconciliazione con divorziati
risposati e preti sposati.  In autunno, in Germania, un analogo appello raccoglie in due mesi 1,8 milioni di
firme e nel semestre successivo un testo in alcuni casi quasi identico a quello austriaco, in altri un po’
modificato, viene lanciato in Spagna, Francia, Belgio, Svizzera, Italia, Olanda, Canada, Stati Uniti, Brasile e
Cile, coinvolgendo però un numero più modesto di sottoscrittori (comunque nell’ordine di alcune decine di
migliaia); e in novembre a Roma viene fondato il Movimento internazionale Noi siamo Chiesa (Imwac, oggi
Wac-I), che nell’ottobre 1997, sempre a Roma, in occasione del 35° anniversario dell’apertura del Concilio
Vaticano II, realizza un “Incontro del popolo di Dio”, cui partecipano oltre 500 persone provenienti da 16
paesi di tutto il mondo e consegna in Vaticano 2,5 milioni di firme raccolte in due anni, principalmente in
Europa.
Qui c’è il primo aspetto fondamentale di Noi siamo Chiesa: il suo carattere internazionale. Iniziative per
chiedere riforme della Chiesa, infatti, non erano mai mancate negli anni attorno al Concilio, ma erano sempre
state circoscritte a singole personalità, a piccoli gruppi, a Chiese locali o nazionali. La grande intuizione
questa volta è stata quella, in una fase ancora “ascendente” dei movimenti nei singoli paesi, di mettersi
insieme e di farlo rispettando le differenze di sensibilità, di storia, di forme organizzative e di attivismo
esistenti nei diversi contesti.  Così, per fare qualche esempio, non si è mai arrivati a un unico appello
internazionale, ma ciascun paese ha il suo, con differenze a volte significative tra l’uno e l’altro; queste
diversità esprimono visioni non del tutto identiche della riforma della Chiesa, prevalentemente centrate sugli
aspetti intraecclesiali nei paesi di lingua tedesca, molto sensibili alla dimensione anche sociale in quelli
latini; tra i gruppi nazionali aderenti, a volte ce n’è solo uno per paese, altre volte ce ne sono di più, con nomi
che variano da Noi siamo Chiesa a Nous sommes aussi l’Eglise, ad altri con denominazioni proprie; le stesse
dimensioni numeriche variano, da movimento relativamente di massa in Austria e Germania fino a realtà con
poche decine di aderenti, come pure gli stili di lavoro, soprattutto all’inizio centrati sulla raccolta di firme nei
paesi tedeschi e su attività di approfondimento altrove, e in seguito su azioni dirette o su produzione di
documenti, ecc.
Le dinamiche che si sviluppano in ogni paese sono distinte. Se in Germania e Austria Wir sind Kirche
mantiene una forte identità propria, pur in presenza di movimenti riformatori che la precedono e la seguono
nel tempo, in altri paesi (Spagna, Belgio, Francia, ecc.) da  subito le sezioni di Nsc operano soprattutto
all’ interno di reti con altri gruppi, comunità, riviste, ecc.; in alcune nazioni gruppi presenti all’ inizio in
seguito scompaiono (Svizzera, Danimarca Sud Tirolo, ecc.),  in altri nascono più tardivamente (Svezia,
Norvegia, ecc.), in qualche caso sorgono e poi spariscono rapidamente (Catalogna, Sudafrica), a volte per poi
ricomparire dopo qualche anno (Irlanda).
Tutto ciò ha comportato anche fatiche, momenti di paralisi,  conflitti, che però non hanno impedito a questa
organizzazione, fondata esclusivamente sul volontariato e sull’autofinanziamento, di sopravvivere dopo oltre
un quarto di secolo.  Oggi Wac-I è presente in una ventina di paesi (Austria, Australia,  Belgio, Brasile, Cile,
Francia, Germania, India, Inghilterra, Irlanda, Italia, Olanda, Norvegia, Pakistan, Portogallo, Scozia, Spagna,
Stati Uniti,Svezia), ma non sono ma state superate le difficoltà ad aprire sezioni o almeno collegarsi con
sigle nell’Europa orientale e in Africa.
Questa dimensione internazionale, naturalmente poco visibile nella nostra vita quotidiana, anche per la
debolezza del nucleo centrale di coordinamento, che noi abbiamo sempre puntato a rafforzare per renderlo
più adeguato alla struttura della Chiesa cattolica, è stata comunque fondamentale per il movimento italiano,
non solo perché a quel livello esso ha operato in modo molto caratterizzato (per es. sostenendo un’idea “non
autoreferenziale” della riforma) e propositivo (da noi sono venute idee come la partecipazione ai Forum
sociali mondiali o il progetto Council 50 che nel 2015 ha riunito a Roma un centinaio di rappresentanti dei
movimenti cattolici riformatori e progressisti di tutto il mondo), ma anche perché essa ha dato al nostro
piccolo gruppo un respiro e legami extranazionali che nessun altra realtà italiana a noi affine può vantare, ci
ha permesso di maturare uno sguardo planetario sui problemi della Chiesa e di non sentirci soli nonostante i
nostri evidenti limiti.
2.  Operare in un contesto ecclesiale mutevole
Un secondo elemento caratterizzante è stato lo sforzo di perseguire i propri obiettivi tenendo conto della
mutevolezza del contesto, soprattutto ecclesiale.
La nascita di Noi siamo Chiesa è risultata subito un evento “controcorrente”. La metà degli anni ’90 erano
infatti il momento in cui il progetto wojtylian-ratzingeriano di neocristianità appariva trionfante: la
“normalizzazione” dei fermenti postconciliari era sostanzialmente compiuta, le correnti critiche e riformatrici
erano state messe ai margini soprattutto in Europa e America latina, i nuovi movimenti ecclesiali
conservatori (Comunione e liberazione. Opus Dei, Legionari di Cristo, ecc.) vivevano il momento di
massima auge,  l’istituzione cattolica incassava i dividendi in termini di prestigio e influenza della caduta del
Muro di Berlino e della fine dell’Unione Sovietica, ecc.
In questo contesto e per tutto il pontificato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Noi siamo Chiesa ha
svolto un compito “testimoniale”, nel senso che si è adoperata, spesso in solitudine, per tenere accesa la
fiaccola delle riforme della Chiesa, nella piena consapevolezza che il loro raggiungimento avrebbe richiesto
tempi lunghi, visto che perfino parlarne pubblicamente era di fatto vietato, come testimonia la rimozione del
vescovo australiano Bill Morris ancora nel 2011.  Da questo punto di vista, se l’arrivo di Ratzinger al soglio
pontificio e poi l’incontro tra Benedetto XVI e Hans Kung avevano suscitato qualche speranza in Wir Sind
Kirche-Germania, la sezione italiana parlò subito di “pesante continuità, chiusura, rigidità dottrinale,
pastorale e disciplinare”.
D’altro canto, più che altrove, in Italia i primi anni di vita di Noi siamo Chiesa erano stati segnati dal totale
ostracismo da parte dell’istituzione ecclesiastica. Basti citare tre episodi: l’immediato divieto imposto ai
Consigli pastorali parrocchiali da mons. Attilio Nicora, all’epoca vescovo di Verona, di discutere i contenuti
dell’appello, l’indisponibilità della diocesi di Milano a concedere nel gennaio1997 l’uso di una qualunque
chiesa per una Messa celebrata da mons. Jacques Gaillot, la pressione esercitata direttamente dal card.
Martini su mons. Armand Le Bourgeois, vescovo emerito di Autun, in Francia, che aveva accettato di
intervenire al nostro convegno del2001 sui divorziati risposati, affinché desse all’ultimo momento forfait.  E
quel convegno fu il primo che potemmo svolgere in una sede ecclesiale, grazie alla disponibilità della Corsia
dei Servi e di p.Ermes Ronchi.  A ciò si aggiungevano la rigida “cortina del silenzio” della stampa cattolica nei nostri confronti, salvo pochissime eccezioni (in primis Adista e Tempi di fraternità, con le quali il
rapporto è stato di collaborazione),e il disinteresse della stampa laica (che dura ancora oggi) nonché la
distanza anche di settori progressisti del cattolicesimo italiano, per esempio quello formato da molti missionari, che giudicavano secondario l’impegno per la riforma della Chiesa rispetto a quello per la giustizia sociale e la pace, ritenendo quindi di non dover rischiare interventi disciplinari delle autorità ecclesiastiche che
avrebbero assai ridotto la loro possibilità di operare nelle parrocchie e in altri spazi ufficiali.  Ci sono però state alcune eccezioni, rappresentate da Pax Christi, con cui abbiamo sempre avuto un rapporto sororale,  da
teologi come Carlo Molari e Giannino Piana, e da vescovi come Giuseppe Casale e Luigi Bettazzi, tutti
scomparsi di recente, che hanno partecipato da subito ai nostri incontri, hanno prefato i nostri libri e hanno
pubblicamente appoggiato le nostre tesi.  Di fatto, in molti casi, quella di Noi siamo Chiesa è stata l’unica
voce a sollevare certi temi con libertà all’interno della Chiesa italiana.
Con l’ascesa di Bergoglio al soglio pontificio c’è un cambiamento della fase ecclesiale, non perché
“dall’opposizione siamo andati al governo”, che è affermazione ridicola, ma perché la libertà di parola fa si
che i nostri temi si trovino tutti al centro del dibattito ecclesiale e vengano discussi perfino in un Sinodo. Il
nostro ruolo, allora, non è più quello di “testimoniare”, ma di agire per ottenere risultati concreti, passi
avanti nell’adozione delle riforme, in una Chiesa dove la crescita  di consenso nella base cattolica in molti
paesi verso cambiamenti strutturali si accompagna alla pesante eredità di quasi 40 anni di restaurazione
postconciliare (per es. nella mentalità del clero giovane), ai processi di secolarizzazione nelle aree
tradizionalmente “centrali” della cattolicità e ai fenomeni di polarizzazione dell’opinione pubblica ecclesiale
che riflettono quelli emergenti in molte società.
Per un decennio i nostri inviti al dialogo rivolti ai vertici della Cei sono stati del tutto ignorati. Solo nel
2007 Vittorio Bellavite fu ricevuto dal card. Bagnasco, da poco succeduto al card, Ruini alla presidenza della
Conferenza episcopale, per un incontro formale e rimasto senza seguito, finché nell’aprile di quest’anno una
delegazione di Noi siamo Chiesa si è riunita col card. Matteo Zuppi. Nel frattempo,nel 2015, Vittorio potè
partecipare, su nostra richiesta, al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze.
Non si tratta comunque di iscriversi al “partito di Bergoglio”, con un atteggiamento che in fondo ripropone la
centralità del Papa, sia pur questa volta più aperto dei due ultimi predecessori, ma di leggere correttamente la
congiuntura in cui siamo chiamati a operare, mantenendo sempre la nostra libertà di giudizio e soprattutto
sottraendosi alla pretesa di “leggere nella testa del Papa” per discettare se è un riformista, un rivoluzionario,
un conservatore mascherato o semplicemente un “vorrei, ma non posso”, come pure all’altalena tutta
sentimentale tra speranza e illusione.  Assai più utile, mi pare,  per il nostro lavoro, è cercare di interpretare il
momento ecclesiale alla luce delle tendenze di lungo periodo che vi operano, dei diversi soggetti che vi
interagiscono, dei differenti progetti che vi si incontrano e scontrano.
In questo senso, per esempio, e contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare, in una parte dei settori
ecclesiali che più avevano patito la “restaurazione” wojtylian-ratzingeriana e ad essa avevano opposto
resistenza, l’elezione di Bergoglio, col mutamento di clima che ha comportato, non ha prodotto una
mobilitazione finalizzata al rilancio della spinta riformatrice conciliare, ma un ripiegamento accompagnato
da una sorta di delega al Papa, quasi che, dopo aver faticosamente tentato di “reggere” al “ritorno alla grande
disciplina”, il venir meno della cappa opprimente avesse fatto dire: “Finalmente possiamo respirare e lasciare
il campo.  Tanto ci pensa Francesco”.  Questo fenomeno si innesta in una dinamica più ampia, che mostra le
differenze tra l’epoca del Vaticano II e l’attuale: se, infatti, allora le riforme conciliari giunsero sull’onda di
una poderosa spinta dal basso, maturata sia nella Chiesa coi movimenti biblico , ecumenico, liturgico, ecc.,
sia fuori di essa, col movimento progressivo legato all’espansione della democrazia politica, alla decolonizzazione, ecc.,  oggi il percorso avviato da Francesco appare mosso dal’ alto, in una fase di ripresa
dei movimenti tradizionalisti nella Chiesa, nel quadro di un rilancio della verticalizzazione delle società e del
pensiero reazionario e nazionalista.
3. Una riforma della Chiesa legata dall’impegno per un mondo più giusto e sostenibile
Com’è noto l’Appello dal popolo di Dio viene lanciato in Italia il 6 gennaio 1996 da sei firmatari: Assunta
Berardinelli di Napoli, Piero Cappelli di Firenze, Elisabetta Cislaghi di Milano, Luigi De Paoli di Roma,
Robert Hochgruber di Bolzano e Augusto Cavadi di Palermo (subito sostituito da Romolo Menighetti e poi
da Piero Spalla). Luigi De Paoli assume il ruolo di coordinatore nazionale, ricoprendolo fino al 2005, quando
 l’incarico passa a Vittorio Bellavite.
Rispetto a quello austriaco, il testo italiano aggiunge la rivendicazione del “diritto di celebrare l’eucaristia in
una pluralità di forme”, esplicita la necessità del “superamento di ogni discriminazione delle persone omosessuali” e soprattutto e questo è per noi un terzo aspetto qualificante – introduce un sesto punto per richiamare la Chiesa a un impegno anche ecumenico per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato , al fine di sottolineare che “la proposta di riforma della Chiesa per essere credibile, non può essere scissa, in chi la propone, da una collocazione chiara e militante sui grandi problemi dell’ umanità di oggi, come il rapporto
nord/Sud, il disarmo, l’ Aids”, ecc, evitando una logica ecclesiocentrica ed eurocentrica nonché favorendo una naturale convergenza coi movimenti cattolici impegnati per una trasformazione della società
in senso più giusto, nonviolento e sostenibile nel Nord come nel Sud del mondo.  “Non è questo il nostro
impegno principale – scriveva Vittorio Bellavite nel 2006 – ma abbiamo la necessità di testimoniare questo rapporto – ‘cambiare la Chiesa-cambiare la società’ – anche in relazione alle altre sezioni del movimento internazionale che non tutte hanno una sensibilità sufficiente”. La convinzione di fondo era che la riforma della Chiesa, destinata a dare spazio al pluralismo, alla partecipazione consapevole e alla comunione, debba andare di pari passo con la trasformazione della società in senso più libero, giusto e democratico; anzi, l’una sia condizione
dell’ altra e viceversa: la “opzione per i poveri” esige una Chiesa più fraterna, comunitaria, sinodale,
ministeriale e inclusiva e, al contempo, solo in una Chiesa che operi per la liberazione degli oppressi
ciascuno e ciascuna può essere soggetto parimenti libero e responsabile, la diversità dei carismi può
manifestarsi pienamente e le scelte sono compiute in modo davvero condiviso.
In questi decenni l’ impegno di Noi siamo Chiesa è sempre stato finalizzato a rendere più solide, diffuse e
condivise le proposte di riforma strutturale della Chiesa cattolica e a far maturare la coscienza dei
credenti su tutte le questioni, gli eventi o i documenti magisteriali su cui, nel tempo, la fedeltà allo spirito
dell’Appello dal popolo di Dio è parsa esigesse di parlare. Questa elaborazione, frutto nella maggior parte
dei casi di una spontanea condivisione tra noi, ma a volte anche di un dibattito non facile, che in qualche
caso è stato seguito da allontanamenti, costituisce oggi il patrimonio del movimento, di cui si trova in gran
parte traccia nel sito.
Nei nostri interventi ci siamo quindi occupati, ovviamente in misura più o meno ampia e continuativa, di
 diritti umani nella Chiesa e di libertà di ricerca teologica, di Terzo rito della penitenza e di abusi del clero sui
minori, dell’ 8×1000 e di cappellani militari, dell’ospitalità eucaristica e di testamento biologico, di Giubileo
e della notifica contro Jon Sobrino, di omiletica e di ristrutturazione delle parrocchie in Unità pastorali, dello
status delle Chiese nella Costituzione europea e della Charta oecumenica, del crocifisso nelle scuole e delle
famiglie, della legge contro l’omofobia e di quella sulle unioni civili, di fecondazione assistita e del digiuno
ambientalista di dom Cappio, del rapporto tra Benedetto XVI e Bush e di quello tra il card. Ruini e
Berlusconi, dei casi Welby ed Englaro e del Sinodo sulla Parola di Dio, della “fabbrica dei santi” e della
fantomatica “ideologia gender”,  di legge 194 e di trasparenza finanziaria delle diocesi, di elezioni politiche e
di stampa cattolica, dello jus soli e della nomina di Giovanni XXIII a patrono dell’ esercito italiano, di
indulgenze e di Palestina, di mons. Romero e della frattura tra i patriarcati di Mosca e Costantinopoli, di
libertà religiosa e dei referendum costituzionali, della Grande Guerra e di nonviolenza, del rapporto tra
cattolici e politica e di Patti lateranensi, dell’enciclica Spe Salvi e della Fratelli tutti, delle leggi
sull’ immigrazione e dell’ora di religione cattolica, del dialogo cristiano-islamico e della canonizzazione di
papa Wojtyla, ecc..
4. Fare rete senza settarismo e con spirito di servizio
Fin da subito la raccolta delle firme fu messa in secondo piano a favore di un lavoro di approfondimento e
sensibilizzazione dell’ opinione pubblica sui temi dell’appello, alcuni dei quali (per es. la democrazia nella
Chiesa, i ministeri femminili, le persone omosessuali, ecc.) quasi mai comparsi nel dibattito ecclesiale
italiano postconciliare.  Alla fine vennero raccolte comunque circa 35mila firme, oltrealle18mila riunite in
precedenza nella diocesi di Bolzano-Bressanone.  Rapidamente divenne chiaro che il contesto italiano era
particolarmente ostico allo sviluppo di un movimento come Noi siamo Chiesa, per la tradizionale debolezza
del laicato, rafforzata dal pieno allineamento dell’associazionismo cattolico tradizionale alla linea ruiniana,
per il forte controllo esercitato dalla gerarchia sul clero, per l’emarginazione dei teologi più aperti dopo la
Lettera dei 63 del 1989 e la conseguente stasi della riflessione italiana sui temi controversi. Ciò spinse
l’ Associazione Noi siamo Chiesa, formalmente costituitasi nell’ottobre 1996, a ricercare subito relazioni e
collaborazioni con piccole realtà percepite in qualche modo come affini.
Il combinato disposto di queste scelte si tradusse nei primi convegni organizzati a Milano, nel 1999 sulle
“Persone omosessuali nelle Chiese cristiane”, insieme al Coordinamento dei gruppi di omosessuali cristiani
in Italia, i cui atti comparvero nel volume “Il posto dell’altro”, e nel 2001 su “Il problema dei cristiani
divorziati e risposati nella Chiesa cattolica oggi”, promosso con le Famiglie separate cristiane, cui fece
seguito il libro “Dopo il matrimonio”. Questo filone “convegno nazionale+libro” proseguì anche negli anni
successivi, per esempio sulla confessione (con un primo “debordare” da una rigida e letterale interpretazione
dell’ Appello dal popolo di Dio), sulla “Chiesa povera” e sui preti sposati (con Vocatio), sulla “ospitalità
eucaristica”  (attraverso il Coordinamento milanese 9 marzo), cui si affiancarono testi sui temi della riforma
tradotti da altre lingue (“La Chiesa oltre la democrazia”, “Né Eva nemmeno Maria” ,“Eucaristia senza
prete?” e “Correggere la Chiesa”) nonché volumi scritti da membri dell’associazione (“L’ agenda del nuovo
papa” di Luigi De Paoli e Luigi Sandri nel 2002, “Il dissenso soffocato” di Mauro Castagnaro con Ludovica
Eugenio nel 2013, fino a “La morte buona” e “Io sono la terra di tutti” di Giuseppe Deiana nel 2021 e 2022).
Dall’inizio abbiamo utilizzato una varietà di  strumenti (pubblicazioni, convegni, documenti, raccolte di
firme, partecipazione a eventi e consultazioni, dialoghi con altre componenti ecclesiali, ecc.), di volta in
volta privilegiando quelli che  parevano più adeguati al momento e alle condizioni socioecclesiali, ma
sempre con l’attenzione a costruire relazioni con altri soggetti già attivi sul tema in oggetto o percepiti
come vicini. Oltre ad aderire ad iniziative altrui (v. “Il Vangelo che abbiamo ricevuto” tra il 2009 e il 2015),
abbiamo dunque promosso reti locali (p. es. a Milano il Coordinamento 9 marzo e la Consulta per la laicità
delle istituzioni),  nazionali (dopo i primi falliti tentativi di creare un coordinamento di  gruppi “conciliari” di
base in vista del Convegno ecclesiale nazionale di Verona del 2006, p. es. ChiesadituttiChiesadeipoveri, che
nel2012 riunì 800 persone a Roma in rappresentanza di un centinaio tra gruppi, associazioni, movimenti e
riviste, la Rete pace e disarmo, fino alle più recenti ItalyChurchtoo. Retesinodale e Costituente Terra) e
internazionali, come l’European network Church on the move,che è membro delConsiglio d’Europa,
coproducendo libri e pubblicazioni nonché proponendo a esponenti di altre associazioni (Coordinamento
gruppi omosessuali cristiani in Italia, Vocatio, Gruppo promozione donna, Pretioperai, ecc.) di entrare nel
Coordinamento nazionale di Nsc, e appoggiando, nei limiti delle nostre possibilità, realtà della nostra area
nascenti (Donne per la Chiesa) o in difficoltà (Vocatio).
Questa assenza di settarismo e questo spirito di servizio costituiscono un nostro quarto elemento tipico,
che ha permesso a una piccola associazione come Noi siamo Chiesa, fino al 2006 priva di adesione formale e
poi mai cresciuta oltre i 150 iscritti, concentrati soprattutto al Nord, di cui poche decine attivi, basata solo sul
volontariato e con bilanci modestissimi, non solo di sopravvivere per quasi 30 anni, ma di essere riconosciuta
come “rappresentativa” di una ben più ampia area d’opinione nella Chiesa, di realizzare un gran numero
di iniziative, di diventare un soggetto credibile a livello nazionale e internazionale (non solo all’interno di
We are Church International, ma nel Forum mondiale di teologia e liberazione e in particolare negli
ambienti della teologia della liberazione latinoamericana, con cui peraltro si è posta in un rapporto solidale,
ma anche dialettico, come avvenne in occasione della scomunica di Martha Heizer quando io stesso scrissi
una lettera pubblica a Pablo Richard per smentire le sue accuse di eurocentrismo rivolte a We are Church).
Questo ci ha consentito di proporre e promuovere attività di grande rilevanza (dai seminari nei Forum sociali
europei al meeting Council50 a Roma nel 2015), nonché di essere presenti in molte Marce Perugia-Assisi,
alle manifestazioni contro la guerre in Kosovo, Afghanistan e Iraq, a Genova nel 2001 in occasione del G8 e
alle Arene di pace, ma anche alle Assemblee ecumeniche europee di Graz (1997) e Sibiu (2007), oltre che ad
incontri nazionali di cattolici progressisti, come a Lione nel 2010 e a Detroit nel 2011.
5. Noi siamo Chiesa: un movimento per la riforma della Chiesa cattolica
Alla luce di questa storia, e qui sta un quinto tratto caratterizzante, Noi siamo Chiesa ha sempre mantenuto,
pur sviluppando un rapporto per certi aspetti privilegiato con le Comunità di base, il profilo di
un’associazione impegnata per la riforma della Chiesa cattolica, respingendo le tesi di quanti arrivavano a
ritenere questo obiettivo impossibile, almeno in tempi non lunghissimi e quindi sceglievano di dedicarsi ad
altri impegni, come pure  di quanti sostenevano la necessità di privilegiare la costruzione diretta della “Chiesa
che vogliamo” e quindi un’azione ad intra (fossero pratiche liturgiche innovative, formazione di piccole
comunità, ordinazioni non autorizzate, ecc.), sia pur guardando a esse con interesse. Questo non solo nella logica di “volere non un’altra Chiesa, ma una Chiesa altra”,  ma di incidere  sulla “Grande Chiesa” non
accontentandosi di creare al suo interno pur preziose “isole felici”.  Come scriveva Vittorio Bellavite in occasione del  nostro ventennale, “siamo riusciti, borderline come siamo, a credere che la vita di fede secondo
l’ Evangelo richiede una appartenenza a una vicenda collettiva, una corresponsabilità, faticosa spesso, ma
fornita della libertà che nella Chiesa ci dà lo Spirito”.  Ciò tenendo in questo momento conto che la sinodalità
non solo è quanto di più vicino alla “democrazia” possa essere pensato a livello ecclesiale, ma che il suo
sviluppo crea le condizioni per le riforme, in una Chiesa cattolica, per la prima volta nella sua bimillenaria
storia, diffusa in ogni angolo del pianeta, ma al contempo sempre più plurale al proprio interno per contesti
socioculturali, opinioni teologiche e urgenze pastorali, il che apre la strada a una sua effettiva (cioè
strutturale) organizzazione come comunione di Chiese unite nella diversità.
Il programma di lavoro a breve-medio termine di Noi siamo Chiesa
Oggi si tratta di proseguire, alla luce della piena attualità dell’Appello dal popolo di Dio, sulla stessa
strada, secondo un concetto “ampio” di riforma della Chiesa, con lo sforzo di “leggere” sempre la
congiuntura socioecclesiale e le “sensibilità”presenti dentro e fuori di noi per individuare gli strumenti
più efficaci a perseguire in quel contesto i nostri obiettivi, anche attraverso la costruzione di alleanze.
In conformità con quanto sopra
  • a) i temi/rivendicazioni esplicitamente citati dall’Appello dal popolo di Dio (democrazia nella Chiesa e partecipazione del popolo all’elezione dei vescovi, sacerdozio ordinato e sacerdozio universale, celibato del clero, accesso delle donne a tutti i ministeri e dei divorziati risposati ai sacramenti, impegno profetico per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato, ecc.) devono essere oggetto costante di attenzione e iniziativa, naturalmente tenendo conto della maggiore o minore ampiezza e organicità degli interventi effettuati nel tempo su ciascuno di essi e delle priorità poste dall’attualità.
  • b) Ad essi si affiancano quelli su cui, nello spirito dell’Appello dal popolo di Dio, abbiamo iniziato a lavorare in seguito, con maggiore o minore costanza (Chiesa povera e dei poveri, liturgia e omiletica, abusi del clero sui minori, Sinodo sulla sinodalità, Cammino sinodale delle Chiese in Italia, questioni bioetiche: inizio vita, salute/cura e fine vita, con particolare riferimento alla maternità surrogata/gestazione per altri, alla clonazione umana e all’eutanasia, insegnamento non confessionale della storia delle religioni a scuola, laicità dello Stato, ecc.), per i quali l’impegno dovrà derivare dalla maturazione della nostra sensibilità e competenza nonché dalle urgenze dell’attualità e dagli spazi di intervento che di volta in volta si aprissero.
  • c) Altre proposte di lavoro riguardano la pubblicazione di una biografia di Vittorio Bellavite e di una storia di Nsc nonché un approfondimento su questioni scientifico-antropologiche quali il rapporto tra essere umano e macchina, tra intelligenza umana/logos umano e Intelligenza artificiale/logos artificiale
Organizzazione interna
Per “presidiare” questi ambiti di intervento si è definita un’organizzazione strutturata in “attività
operative” (comunicazione, archivio, gestione sede, tesseramento, gruppi locali, diffusione materiali prodotti, rappresentanza nelle reti italiane e internazionali, ecc.) e “settori tematici” (democrazia e
sinodalità; Ministeri ecclesiali; Liturgia, omiletica ed eucaristia; Nuova etica sessuale; Pace, giustizia e
salvaguardia del creato; Chiesa povera, trasparenza finanziaria e beni ecclesiastici; Abusi del clero sui
minori; Questioni bioetiche; Insegnamento non confessionale della storia delle religioni a scuola;
Concordato, laicità dello Stato e delle istituzioni; Riabilitazione Buonaiuti; Giustizia di genere; Ecumenismo
e dialogo interreligioso; Questioni vaticane e prospettive conciliari, ecc.), individuando responsabili o
gruppi di competenza.
Questo schema di distribuzione dei compiti pare in grado di garantire l’ operatività del movimento, anche se
le forze umane restano poche,per cui ampi sono gli spazi in cui inserirsi e le possibilità di impegno, anche
parziale.
Molto abbiamo fatto in questi 27 anni, ma molto resta ancora da fare.
2 dicembre 2023      Mauro Castagnaro

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