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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Joao Padro Stédile ragiona sull’incontro dei movimenti popolari e sui forum sociali mondiali

Le nuove sfide dei movimenti popolari

Intervista a João Pedro Stédile
Claudia Fanti – Adista

1. Quali sono i principali frutti di questo percorso di dialogo tra il papa e i movimenti popolari? Quali novità introduce rispetto al processo del Forum Sociale Mondiale?

A partire dalla sua elezione nel 2013, papa Francesco, tramite le sue amicizie all’interno dei movimenti popolari argentini, ha espresso il desiderio di costruire un percorso di dialogo permanente con le organizzazioni degli esclusi di tutto il mondo. Ed è dal 2014, dal primo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari in Vaticano, che noi stiamo costruendo questo percorso. Per quanto riguarda il papa, io penso che vi sia da parte sua la volontà di promuovere il protagonismo dei movimenti popolari, soprattutto a partire dalla necessità di organizzazione dei lavoratori nella lotta per la terra, la casa e il lavoro. E, per quanto riguarda i nostri movimenti, abbiamo sempre guardato con interesse a un dialogo con il papa, come forma di riflessione collettiva sui problemi che la classe lavoratrice affronta proprio su questi tre grandi temi della terra, della casa e di un lavoro dignitoso. Così, nel corso di questi tre anni, in questo spirito di dialogo e di condivisione di idee, abbiamo maturato una riflessione via via più estesa. Se, durante il primo incontro, l’attenzione si è concentrata sulla realtà e sulle cause dei problemi dei lavoratori, nel secondo, che si è svolto a Santa Cruz de la Sierra nel 2015, durante la visita del papa in Bolivia, abbiamo ampliato il dibattito al tema della sovranità alimentare e al diritto dei popoli al territorio, e ora, in questo terzo incontro, abbiamo avviato una riflessione su questioni che, pur avendo pesanti ricadute sulla classe lavoratrice, investono in realtà la società intera, come quella relativa alla natura dello Stato e al fallimento della democrazia rappresentativa o quella della difesa dei beni della natura, un tema, quest’ultimo, che il papa ha affrontato nell’enciclica Laudato si’, uno dei massimi contributi mai prodotti sulle cause dei problemi ambientali e sulle loro soluzioni.
In questo terzo incontro, con l’aiuto di specialisti come Vandana Shiva, io credo sia risultata estremamente chiara la dinamica attraverso cui, di fronte alla crisi del capitalismo mondiale, la classe capitalista si sta appropriando con una violenza via via crescente dei beni della natura – quei beni che dovrebbero essere comuni e che si riducono invece a meri oggetti di profitto – devastando l’ambiente ed escludendo una enorme quantità di persone dal diritto all’acqua, alla terra, a un ambiente sano. Ed è risultata altrettanto chiara la necessità di impedire che la natura venga trattata come una merce, come pure di combattere l’uso dei veleni agricoli e dei transgenici, che non solo distruggono la biodiversità ma rappresentano una minaccia alla salute pubblica. In questo senso, l’Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari presenta caratteristiche differenti rispetto al Forum sociale Mondiale. Il FSM è una grande fiera di idee che riunisce persone e movimenti accomunati appena da una visione antineoliberista, e questo è il motivo per cui non è riuscito ad approfondire la riflessione sulle cause dei problemi né a proporre alternative reali. Inoltre, essendo una fiera, ha operato in maniera democratica ma molto anarchica: chiunque può partecipare al Forum Sociale e offrire il proprio contributo, pur non rappresentando nessuna realtà. E dunque non esiste alcuna necessaria connessione tra la partecipazione al FSM e un impegno concreto di cambiamento nei movimenti e nelle organizzazioni popolari.

2. Come valuti il discorso che il papa ha rivolto ai movimenti in questa terza edizione?

Papa Francesco ha offerto un importante contributo in relazione al tema del fallimento dello Stato borghese, soffermandosi su un aspetto che pochi governanti e leader mondiali hanno il coraggio di toccare: quello del terrorismo di Stato. Nel suo discorso, il papa ha denunciato il terrorismo del sistema capitalista, responsabile dell’esclusione di milioni e milioni di persone, ma si è anche richiamato all’esistenza di un terrorismo di Stato, pur non utilizzando esplicitamente questa espressione: la presenza, cioè, di un terrorismo che non utilizza necessariamente le armi per controllare le persone, ma fa ricorso alla paura attraverso la manipolazione dei mezzi di comunicazione, della televisione e di internet, con cui gli Stati suscitano nella popolazione la paura del cambiamento, la paura di lottare per i propri diritti. E questo non è altro che terrorismo di Stato. Mi è sembrata molto importante anche la sua riflessione sulla natura della corruzione, come parte del sistema politico capitalista: il papa ha affermato che non è solo il sistema politico a essere corrotto, ma anche le istituzioni in generale e persino la Chiesa e i movimenti popolari. Una riflessione, questa, che io ho interpretato come una sorta di avvertimento rispetto alla necessità di operare un cambiamento delle forme di organizzazione politica non solo dello Stato ma dell’intera società, in quanto la corruzione è diventata parte della forma del sistema politico.

3. Già nell’ambito del Forum Sociale Mondiale la parte relativa all’azione è sempre apparsa la più debole. Come ti spieghi che le proposte di azione approvate dai delegati siano appena delle dichiarazioni di principio?

È vero. Ma il senso di questi incontri dei movimenti popolari in dialogo con papa Francesco è quello di riflettere sulle cause dei problemi e sulle loro soluzioni. Non ci siamo mai proposti di risolvere i problemi dal punto di vista delle azioni concrete, perché questo è solo uno spazio di dialogo e di riflessione. In questo senso, l’aspetto più importante è quello di creare un’unità di principi, di programmi, di idee, affinché tutto ciò entri a far parte della riflessione dei nostri movimenti. È a questo punto che essi, attraverso meccanismi di democrazia interna, e in base ai processi unitari in corso in ogni Paese o alle differenze esistenti in ogni realtà, sono chiamati a discutere le azioni concrete. Non abbiamo mai pensato di assumere decisioni all’interno dei nostri incontri con il papa, così come non abbiamo mai voluto utilizzare questi spazi per esigere che la Chiesa adotti determinate misure. I problemi della Chiesa appartengono alla Chiesa. È vero che durante questi incontri capita sempre che qualcuno proponga che la Chiesa ceda una certa percentuale delle sue terre o si impegni maggiormente nell’educazione, ma non è certo questo l’obiettivo dell’incontro. Quello che la Chiesa deve fare è un problema della Chiesa, non dei movimenti popolari. D’altro canto, approfitto della domanda per sottolineare come, nell’ambito dei movimenti popolari, la nostra principale preoccupazione sia quella di creare un processo di articolazione a livello mondiale che ci conduca, più che a delineare programmi unitari, a sviluppare azioni e mobilitazioni che, a livello internazionale, affrontino realmente i problemi provocati dal capitalismo. Ma non è questo percorso di dialogo con il papa lo spazio per portare avanti questo compito. E non lo è neppure il Forum Sociale Mondiale, i cui limiti sono risultati ancor più evidenti in occasione dell’ultima edizione in Canada, che non ha avuto nessuna rappresentatività né ha prodotto alcuna deliberazione. Certo, esistono altri spazi propri di ogni categoria sociale, come quelli specifici del movimento sindacale o dei partiti. Per il movimento contadino abbiamo, per esempio, La Via Campesina. Ma quello di cui si sente ora la mancanza è uno spazio che unisca tutte le forze popolari, un compito su cui il Movimento dei Senza Terra e i movimenti popolari dell’America Latina stanno riponendo le loro energie. Così, a dicembre, realizzeremo a Bogotà la seconda Assemblea continentale di tutti i movimenti popolari delle Americhe, dal Canada fino alla Patagonia, proprio per riflettere su cosa fare. In Africa si è già tenuta una conferenza l’anno scorso e se ne svolgerà un’altra quest’anno. Stiamo organizzando un incontro in Medio Oriente per il prossimo aprile e anche in Asia i movimenti si stanno articolando per tenere un incontro all’inizio dell’anno prossimo. E tutti questi sforzi convergeranno nel compito di realizzare, nell’ottobre del 2017, a Caracas, un grande incontro mondiale dei movimenti popolari. Spero che potremo portare 5-6mila movimenti di tutto il mondo.

4. E riguardo invece a questo percorso di dialogo con papa Francesco cosa c’è da migliorare e quale può essere il prossimo passo?

Il sistema capitalista è in crisi in tutto il mondo e questo sta producendo non solo una crisi economica, ma anche una crisi sociale, una crisi politica e una crisi ambientale. E potremmo parlare anche di una crisi etica, una crisi, cioè, dei valori che orientano l’evoluzione nella società. Penso allora che, in questo dialogo tra papa Francesco e i movimenti popolari, esista un ventaglio molto ampio di questioni da affrontare, a cominciare proprio da quella relativa alla crisi dello Stato e alla democrazia partecipativa, un tema che, durante questo terzo incontro, non siamo riusciti ad approfondire in maniera adeguata. Avevamo invitato Bernie Sanders, il quale, durante la campagna elettorale negli Stati Uniti, aveva condotto buone riflessioni sui limiti della democrazia rappresentativa, ma non è potuto venire. Era presente invece l’ex presidente uruguayano Pepe Mujica, ma neanche lui ha affrontato il tema della crisi dello Stato, soffermandosi più sulla propria esperienza personale. Penso allora che sarà necessario portare avanti una profonda riflessione sulla crisi dello Stato e della democrazia borghese – una crisi presente ovunque, anche qui in Italia, dove c’è un presidente del Consiglio che nessuno ha votato -, sulla necessità di una nuova democrazia popolare e partecipativa, sulla crisi etica, sui valori che devono orientare le istituzioni pubbliche e che i movimenti devono assumere o recuperare nella loro pratica quotidiana. E sicuramente dovremo continuare ad approfondire i temi legati alla crisi ambientale, la cui gravità non fa altro che crescere, e la questione dei migranti, dei rifugiati e degli sfollati, che anche papa Francesco ha voluto toccare nel suo discorso, sottolineando come, in caso di bancarotta di una banca, si intervenga per salvarla con un’enorme quantità di denaro, mentre, di fronte alla quotidiana perdita di vite umane, alla tragedia vissuta da persone costrette ad abbandonare il loro territorio, non si trovi neppure il denaro per organizzare i trasporti, come è appena avvenuto con lo sgombero dell’accampamento di migranti a Calais, che ora stanno vivendo all’interno di baracche a Parigi. E la stessa cosa avviene in America Latina, dove, tutti i giorni, muoiono persone nel tentativo di arrivare negli Stati Uniti e dove esistono migliaia di immigrati sfruttati come manodopera a basso costo: a São Paulo, dove vivo, sono migliaia, per esempio, i boliviani che lavorano come schiavi nell’industria tessile che poi vende abiti di alta moda per la “buona società”. Questa tragedia a cui assistiamo in pieno XXI secolo resterà sicuramente all’ordine del giorno anche nel prossimo incontro. Il papa ha parlato della possibilità di un viaggio in India il prossimo anno e credo che questa possa essere una buona occasione per un incontro con i movimenti popolari dell’India e dell’Asia, in cui affrontare, tra gli altri temi già citati, anche quello della discriminazione razziale.

5. In un momento particolarmente difficile per i movimenti latinoamericani e brasiliani, quali sono le principali sfide che questi sono chiamati a raccogliere?

L’America Latina è storicamente immersa nello scenario capitalista mondiale, in una funzione dipendente e subordinata agli interessi del grande capitale, delle banche e delle transnazionali. Ma in questo momento della storia in cui il capitalismo è in crisi in tutto il mondo, si è fatta molto più aggressiva, in America Latina, l’offensiva delle imprese, che, per non perdere i propri profitti, stanno aumentando la loro pressione sui lavoratori e accentuando il loro controllo sulle risorse naturali, sui beni comuni della natura. Il risultato è che sono entrate in crisi tutte e tre le proposte che negli ultimi 15 anni si sono scontrate in ciascuno dei nostri Paesi: la proposta neoliberista sostenuta dagli Stati Uniti e applicata in Paesi come Messico, Colombia, Cile e Perù; quella neosviluppista portata avanti, per esempio, da Uruguay, Argentina e Brasile, sulla base di un’alleanza della classe lavoratrice con settori della borghesia; e la proposta dell’Alba (Alleanza Bolivariana delle Americhe) lanciata dal Venezuela di Hugo Chávez, a cui hanno aderito Cuba, Ecuador, Bolivia e Nicaragua, orientata all’integrazione delle nostre economie. Ebbene, tutti i Paesi, indipendentemente dal progetto a cui hanno aderito, stanno attraversando un periodo di crisi. In questo contesto storico, i movimenti popolari sono chiamati allora a promuovere un dibattito e a portarlo nella società, nei partiti, nell’insieme della popolazione, perché le vere soluzioni a questi problemi potranno emergere solo dal coinvolgimento delle masse, e non dall’impegno dei singoli settori. Le principali sfide che devono affrontare i movimenti sono allora: 1) elaborare un programma che si richiami a un nuovo progetto, dal momento che i tre progetti attualmente esistenti sono in crisi (un compito, questo, che comporta la necessità di agglutinare forze sociali disposte a costruire un altro progetto a livello sia nazionale che internazionale); 2) discutere, come movimenti popolari, una nuova strategia di accumulazione di forze, in quanto è risultato chiaro in America Latina che non è più sufficiente lottare per far eleggere i nostri rappresentanti in Parlamento, per quanto combattivi possano essere, perché i veri cambiamenti non nascono dalla presidenza della Repubblica o dall’iniziativa di alcuni leader, bensì dalla mobilitazione delle masse; 3) creare nuove forme di organizzazione che riescano ad agglutinare tutte le forze sociali, perché l’elaborazione di un nuovo progetto non è il compito di un movimento o di un partito, bensì il frutto di un’articolazione di una nuova sinistra politica e sociale. C’è poi un’ultima sfida che siamo chiamati a raccogliere: possiamo e dobbiamo avanzare idee e proposte chiare su questi aspetti, ma le idee non bastano se non convinciamo le masse a lottare per realizzarle. E dunque le soluzioni vere dei problemi che stiamo affrontando oggi dipenderanno dalla rinascita di un ampio movimento di massa, tale da innescare un nuovo ciclo storico in tutta l’America Latina. Il che significa la presenza di masse per le strade, in lotta per un programma, per una strategia e per cambiamenti concreti.


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