Logo Noi Siamo Chiesa

Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

La Cgil invita a votare No alla riforma costituzionale

Assemblea Generale Cgil Nazionale

Roma 7 – 8 settembre 2016

ORDINE DEL GIORNO
La CGIL è partita da una discussione tutta di merito delle modifiche costituzionali,
proposte volute dal Governo, approvate dal Parlamento e che saranno sottoposte al
Referendum costituzionale, non volendo essere rinchiusa in una logica di schieramento
o pregiudiziale. In tal senso andava l’ordine del giorno approvato dal Direttivo
nazionale della CGIL il 24 maggio scorso. In questi mesi, a partire da quell’ordine del
giorno, abbiamo organizzato centinaia di iniziative di confronto e approfondimento che
hanno riscontrato anche posizioni diverse ma un consenso nei confronti dei giudizi
espressi dalla Cgil. Per la nostra organizzazione, infatti, l’auspicabile obiettivo di
superare il bicameralismo perfetto, che anche la CGIL richiede da tempo, istituendo
una seconda camera rappresentativa delle Regioni e delle Autonomie locali, e di
correggere le criticità della riforma del 2001, si è tradotto in un’eccessiva
centralizzazione dei poteri allo Stato e al Governo.
Il nuovo Senato, per composizione e funzioni, avrà difficoltà a svolgere l’auspicato e
necessario ruolo di luogo istituzionale di coordinamento fra Regioni e Stato, essenziale
a conciliare le esigenze di decentramento con quelle unitarie.
Al Senato, infatti, non è attribuita congrua facoltà legislativa in tutte le materie che
hanno ricadute sulle istituzioni territoriali e la sua stessa composizione non garantisce
l’adeguata rappresentanza e rappresentatività di Regioni e autonomie.
Pur condividendo l’intenzione di cambiare l’equilibrio dei poteri tra Regioni e Stato,
definito dalla modifica costituzionale del titolo V nel 2001, l’esito finale è sbagliato: si
passa da un eccesso di materie concorrenti ad una riduzione drastica della facoltà
legislativa autonoma delle Regioni.
La previsione, inoltre, che sia lo Stato a dettare le “disposizioni generali e comuni” su
molte materie cruciali, potrebbe tradursi in una omologazione normativa, non
necessariamente in positivo, che non lascia spazio a processi di innovazione e
sperimentazione che possono scaturire da un sistema plurale e che meglio possono
rispondere alle esigenze del singolo territorio.
La possibilità, poi, per il Governo di attivare una corsia preferenziale, per i
provvedimenti ritenuti essenziali per l’attuazione del programma, in assenza di limiti
quantitativi e qualitativi (salvo l’esclusione di alcune materie), attribuisce al Governo
un eccesso di potere in materia legislativa compensato solo parzialmente
dall’introduzione di limitazioni alla decretazione d’urgenza e dalla previsione della
determinazione di “diritti per le minoranze” e di uno “statuto delle opposizioni”, la cui
definizione, però, è rinviata, senza alcuna certezza, al Regolamento della Camera
stessa. Tale eccesso di potere non trova compensazione nelle disposizioni relative agli
altri livelli istituzionali la cui capacità di incidere nel procedimento legislativo è
limitata, né nella partecipazione diretta dei cittadini né in quella delle formazioni
sociali.
La semplificazione del procedimento legislativo che si voleva ottenere, con il
superamento del bicameralismo perfetto, è vanificata dalla moltiplicazione dei
procedimenti previsti a seconda della natura del provvedimento in esame. Una
moltiplicazione che richiederà il consolidamento di una prassi e rischia di rendere lo
stesso iter delle leggi oggetto di contenzioso davanti la Corte costituzionale.
I nuovi criteri, infine, per l’elezione degli organi di garanzia – Presidente della
Repubblica, Giudici della Corte costituzionale di nomina parlamentare, componenti laici
del CSM – rischiano di essere subordinati alla legge elettorale, facendo così venir
meno la certezza del bilanciamento dei poteri di cui la Costituzione deve essere
garante, con la possibilità di determinare un restringimento del pluralismo e della
rappresentanza delle minoranze. La CGIL, dunque, valuta la modifica costituzionale da
una parte un’occasione persa per introdurre quei necessari cambiamenti atti a
semplificare, rafforzandole, le istituzioni. E, dall’altra, giudica negativamente quanto
disposto da tale modifica perché introduce, senza migliorare la governabilità né il
processo democratico, un rischio evidente di concentrazione dei poteri e delle
decisioni: dal Parlamento al Governo, dalle Regioni allo Stato centrale. Ferma restando
la libertà di posizioni individuali diverse di iscritti e dirigenti, trattandosi di questioni
costituzionali, dopo questi mesi di discussione sul merito della riforma, l’Assemblea
generale della CGIL invita a votare NO in occasione del prossimo Referendum
costituzionale.
L’Assemblea generale impegna tutte le strutture a diffondere queste valutazioni.
La CGIL e tutte le sue Strutture, nel preservare la propria autonomia, non aderiscono
ad alcun Comitato e considerano, come sempre, fondamentale la partecipazione al
voto e sono impegnate a promuoverla e favorirla tra le lavoratrici e i lavoratori, le
pensionate e i pensionati, i giovani e i cittadini tutti.
Roma, 8 settembre 2016


Pubblicato

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *