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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

La crisi a Bose. Leggi il comunicato dell’agenzia stampa del Vaticano e quello della Comunità di Bose. Leggi anche il testo di Enzo Bianchi, l’articolo di Alberto Melloni su “Repubblica”, la riflessione di padre Alberto Simoni, quella di Lidia Maggi, quella di Paolo Farinella, quella di don Franco Barbero e, infine, quella di Riccardo Larini

Enzo Bianchi dovrà lasciare il monastero di Bose

La comunità annuncia i risultati della visita apostolica. Anche ad altri tre membri è stato richiesto di trasferirsi in un diverso luogo. Le motivazioni della decisione sono legate all’esercizio dell’autorità del fondatore

VATICAN NEWS

Enzo Bianchi, fondatore della comunità di Bose, e altri tre membri della stessa comunità, dovranno lasciarla e trasferirsi in altro luogo decadendo da tutti gli incarichi. Lo stabilisce un decreto a firma del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, approvato specificamente da Papa Francesco, che arriva dopo “prolungato e attento discernimento” e dopo che lo scorso gennaio si è conclusa una visita apostolica. Ne dà notizia un comunicato apparso sul sito web della Comunità di Bose.

“Come da noi annunciato a suo tempo, in seguito a serie preoccupazioni – si legge nella nota – pervenute da più parti alla Santa Sede che segnalavano una situazione tesa e problematica nella nostra Comunità per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità del fondatore,la gestione del governo e il clima fraterno”, Francesco ha disposto una visita apostolica. A compierla sono stati padre Guillermo León Arboleda Tamayo, abate Presidente della Congregazione Benedettina Sublacense-Cassinese, padre Amedeo Cencini, consultore della Congregazione per i religiosi, e madre Anne-Emmanuelle Devéche, abbadessa di Blauvac.

“Tenendo conto della rilevanza ecclesiale ed ecumenica della Comunità di Bose, a livello sia nazionale che internazionale, e dell’importanza che essa continui a svolgere il ruolo che le è riconosciuto, superando gravi disagi e incomprensioni che potrebbero indebolirlo o addirittura annullarlo, con la visita apostolica il Santo Padre ha inteso offrire alla medesima Comunità un aiuto sotto forma di un tempo di ascolto da parte di alcune persone di provata fiducia e saggezza”. La visita apostolica si è svolta dal 6 dicembre 2019 al 6 gennaio 2020 e, al termine “i visitatori hanno consegnato alla Santa Sede la loro relazione, elaborata sulla base del contributo delle testimonianze liberamente rese da ciascun membro della Comunità”.

“Dopo prolungato e attento discernimento e preghiera – spiega ancora la nota – la Santa Sede è giunta a delle conclusioni sotto forma di un decreto singolare del 13 maggio 2020, a firma del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità e approvato in forma specifica dal Papa”. Le decisioni sono state comunicate agli interessati nei giorni scorsi da padre Amedeo Cencini, nominato Delegato pontificio con pieni poteri ad nutum Sanctae Sedis, che era accompagnato dal Segretario della Congregazione per i religiosi, padre José Rodriguez Carballo, e dall’arcivescovo di Vercelli, monsignor Marco Arnolfo.

La comunicazione della decisione, informa la comunità di Bose, “è avvenuta nel massimo rispetto possibile del diritto alla riservatezza degli interessati. Poiché, tuttavia, a partire dalla notifica del decreto, l’annunciato rifiuto dei provvedimenti da parte di alcuni destinatari ha determinato una situazione di confusione e disagio ulteriori”, si è ritenuto necessario precisare che i provvedimenti riguardano Fr. Enzo Bianchi, Fr. Goffredo Boselli, Fr. Lino Breda e Sr. Antonella Casiraghi, i quali “dovranno separarsi dalla Comunità monastica di Bose e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti”.

Con una lettera del Segretario di Stato al Priore e alla Comunità, inoltre, “la Santa Sede ha tracciato un cammino di avvenire e di speranza, indicando le linee portanti di un processo di rinnovamento, che confidiamo infonderà rinnovato slancio alla nostra vita monastica ed ecumenica. In questo tempo che ci prepara alla Pentecoste – conclude il comunicato – invochiamo una rinnovata effusione dello Spirito su ogni cuore, perché pieghi ciò che è rigido, scaldi ciò che è gelido, drizzi ciò che è sviato e aiuti tutti a far prevalere non il sentimento personale ma la sua azione”.

 Comunicato della Comunità monastica di Bose

 Al termine di convulse ore in cui si erano rincorse voci e indiscrezioni su quanto sta accadendo a Bose, la comunità monastica, in accordo con la Santa Sede, ha pubblicato sul suo sito il seguente comunicato. 

Come da noi annunciato a suo tempo, in seguito a serie preoccupazioni pervenute da più parti alla Santa Sede che segnalavano una situazione tesa e problematica nella nostra Comunità per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità del Fondatore, la gestione del governo e il clima fraterno, il Santo Padre Francesco ha disposto una Visita Apostolica, affidata al Rev.do P. Abate Guillermo León Arboleda Tamayo, OSB, al Rev.do P. Amedeo Cencini, FDCC e alla Rev.da M. Anne-Emmanuelle Devéche, OCSO, Abbadessa di Blauvac.

Tenendo conto della rilevanza ecclesiale ed ecumenica della Comunità di Bose e dell’importanza che essa continui a svolgere il ruolo che le è riconosciuto, superando gravi disagi e incomprensioni che potrebbero indebolirlo o addirittura annullarlo, con la Visita Apostolica il Santo Padre ha inteso offrire alla medesima Comunità un aiuto sotto forma di un tempo di ascolto da parte di alcune persone di provata fiducia e saggezza.

La Visita Apostolica si è svolta dal 6 dicembre 2019 al 6 gennaio 2020 e, al termine di essa, i Visitatori hanno consegnato alla Santa Sede la loro relazione, elaborata sulla base del contributo delle testimonianze liberamente rese da ciascun membro della Comunità. Dopo prolungato e attento discernimento e preghiera, la Santa Sede è giunta a delle conclusioni — sotto forma di un decreto singolare del 13 maggio 2020, a firma del Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità e approvato in forma specifica dal Papa — che sono state comunicate agli interessati alcuni giorni fa dal Rev.do P. Amedeo Cencini, nominato Delegato Pontificio ad nutum Sanctae Sedis, con pieni poteri, accompagnato da S.E. Mons. José Rodriguez Carballo, OFM, Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e da SE Mons. Marco Arnolfo, Arcivescovo Metropolita di Vercelli.

Tale comunicazione è avvenuta nel massimo rispetto possibile del diritto alla riservatezza degli interessati. Poiché, tuttavia, a partire dalla notifica del decreto, l’annunciato rifiuto dei provvedimenti da parte di alcuni destinatari ha determinato una situazione di confusione e disagio ulteriori, si ritiene necessario precisare che i provvedimenti di cui sopra riguardano Fr. Enzo Bianchi, Fr. Goffredo Boselli, Fr. Lino Breda e Sr. Antonella Casiraghi, i quali dovranno separarsi dalla Comunità Monastica di Bose e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti.

Con lettera del Segretario di Stato al Priore e alla Comunità, inoltre, la Santa Sede ha tracciato un cammino di avvenire e di speranza, indicando le linee portanti di un processo di rinnovamento, che confidiamo infonderà rinnovato slancio alla nostra vita monastica ed ecumenica.

In questo tempo che ci prepara alla Pentecoste invochiamo una rinnovata effusione dello Spirito su ogni cuore, perché pieghi ciò che è rigido, scaldi ciò che è gelido, raddrizzi ciò che è sviato e aiuti tutti a far prevalere la carità che non viene mai meno.

 

Comunicato ufficiale di fr. Enzo Bianchi, fondatore di Bose

 

La Visita Apostolica condotta da tre visitatori ha avuto nei giorni scorsi il suo esito e le sue conclusioni.

Io, fr. Enzo Bianchi, il fondatore, sr. Antonella Casiraghi, già sorella responsabile generale, fr. Lino Breda, segretario della comunità, e fr. Goffredo Boselli, responsabile della liturgia, sono stati invitati a lasciare temporaneamente la comunità e ad andare a vivere altrove.

Invano, a chi ci ha consegnato il decreto abbiamo chiesto che ci fosse permesso di conoscere le prove delle nostre mancanze e di poterci difendere da false accuse. In questi due ultimi anni, durante i quali volutamente sono stato più assente che presente in comunità, soprattutto vivendo nel mio eremo, ho sofferto di non poter più dare il mio legittimo contributo come fondatore.

In quanto fondatore, oltre tre anni fa ho dato liberamente le dimissioni da priore, ma comprendo che la mia presenza possa essere stata un problema. Mai però ho contestato con parole e fatti l’autorità del legittimo priore, Luciano Manicardi, un mio collaboratore stretto per più di vent’anni, quale maestro dei novizi e vicepriore della comunità, che ha condiviso con me in piena comunione decisioni e responsabilità.

In questa situazione, per me come per tutti, molto dolorosa, chiedo che la Santa Sede ci aiuti e, se abbiamo fatto qualcosa che contrasta la comunione, ci venga detto. Da parte nostra, nel pentimento siamo disposti a chiedere e a dare misericordia. Nella sofferenza e nella prova abbiamo altresì chiesto e chiediamo che la comunità sia aiutata in un cammino di riconciliazione.

Ringrazio dal profondo del cuore i tanti fratelli e sorelle di Bose che in queste ore di grande dolore mi sostengono e le tante persone che mi e ci hanno attestato la loro umana vicinanza e il loro affetto sincero.

Nella tristezza più profonda, sempre obbediente, nella giustizia e nella verità, alla volontà di papa Francesco, per il quale nutro amore e devozione finale.

Enzo Bianchi, fondatore di Bose

28 maggio 2020

Dietro il “mistero” di Bose di Alberto Melloni in “la Repubblica” del 28 maggio 2020

 

Per la chiesa italiana e per l’ecumenismo quella uscita la sera del 26 maggio non è una notizia: è una bomba – contenuta in un atto che ordina a Enzo Bianchi, di “separarsi” dal monastero di Bose di cui è fondatore.Il decreto è ad oggi ignoto, così come gli atti della visita apostolica da cui discende, le denunce che l’hanno preceduta. Si conosce solo un comunicato apparso sul sito di Bose (ma scritto in vaticanese)che dice poco e pone domande inquietanti. Ne cito quattro.

  1. I) Nella prassi della Santa Sede si caccia da una casa religiosa chi si è macchiato di delitti turpi sostenuti da accuse e prove che oggi nessuno può o vuole più coprire. Enzo Bianchi viene invece punito con l’esilio da Bose senza alcuna accusa infamante.Gli si imputa invece di aver esercitato “l’autorità del fondatore” in modo nocivo al “clima fraterno”:un “reato di caratteraccio” – definizione di un cardinale romano – che viene punito con una pena capitale e l’ordine di trasferirsi entro il 1° giugno a Praglia o a Bardolino o a Chevetogne. Ammessoche il clima fraterno fosse il punto, era col parricidio che Roma pensava di alleviare le tensioni a Bose?
  2. II) Il provvedimento notificato all’ex priore è contenuto in un “decreto singolare” firmato dal cardinale Parolin il 13 maggio e approvato personalmente dal Papa “in forma specifica”: dunque un atto amministrativo mediante il quale vengono presi provvedimenti che “per loro natura non suppongono una petizione fatta da qualcuno” (can. 48). Eppure lo stesso comunicato del monastero allude a “serie preoccupazioni pervenute da più parti alla Santa Sede” relative a una “situazione tesae problematica” a Bose.È dunque stato un pezzo di quella che un saggio vescovo italiano chiama la “faida vaticana contro Francesco” aver saputo usare la litigiosità monastica, la Segreteria di Stato e il Papa stesso per togliere di mezzo – come fu per l’allontanamento di don Dario Viganò dalla congregazione delle comunicazioni o del comandante Domenico Giani dalla Gendarmeria – persone vicine al pontefice?

III) La “visita apostolica” compiuta a Bose nell’inverno era ovvio che avrebbe portato a galla problemi e incertezze.Ma chi l’ha invocata o permessa ha capito che sarebbe stata usata per risucchiare Bose nella ordinarietà degli ordini e castrarne l’identità ecumenica? E si è chiesto quando padre Cencini, uno dei tre visitatori, è tornato a Bose per portare la sentenza è venuto come “delegato Pontificio ad nutum Sanctae Sedis, con pieni poteri” e dunque con la forza del successore di Pietro, laddove bastava il vescovo di Biella?

  1. IV) Del provvedimento contro Enzo Bianchi nessuno ha prevenuto l’episcopato italiano e nessuno si è sentito in dovere di informare né il patriarca ecumenico né il patriarca di Mosca né le chiese concui Bose aveva legami fraterni: ai primi questo dice che “nessuno è al sicuro”, come racconta qualche vescovo, e ai secondi si è offerta la versione più manesca del primato papale.C’è qualcuno che ha dimenticato di dire al Papa che Bose fa parte della storia di tutta della chiesa italiana ed è stato l’unico antidoto allo spiritualismo svenevole dell’ecumenismo italiano, si ami o detesti il profilo pubblico del suo ex priore?

Questa tragedia, che fa stappare champagne agli integristi, va dunque catalogata insieme alle operazioni ecclesiastiche più sofisticate e tragiche del Novecento: perché con un solo spiedo ( agnosco stylum romanae curiae) infilza l’anomalia di Bose, il priore, l’ex priore, il mancato priore,l’ecumenismo, la terza loggia vaticana, i vescovi italiani, un lembo della tonaca del Papa e – per finire con una tocco di crudeltà – propone a Enzo Bianchi di andare in esilio nel monastero di Chevetogne, da cui il fondatore dom Lambert Beauduin, venne esiliato dal 1931 al 1951… Qualunque cosa accada di questa vicenda dolorosa bisogna dire che se qualcuno l’ha pensata, l’ha pensata bene. E se non l’ha pensata vien da chiedersi come diavolo ha fatto a riuscirci.

 

INTERROGARSI,

 GUARDANDO A BOSE DAL DI FUORI

 “NORMALIZZAZIONE” DI PAPA FRANCESCO?

Indipendentemente da situazioni e dinamiche interne, tutte da capire, la vicenda Bose si presta a qualche considerazione di carattere più generale, forse meno interessante ma certamente importante. Annotavo di passaggio nell’ultimo Koinonia-forum che nei momenti di svolte epocali nella storia della chiesa, la risposta a varie istanze avveniva con la creazione di nuovi ordini religiosi, che però sembra abbiano fatto il loro tempo e vivano per forza di inerzia. Ma se oggi si continua a parlare di “cambiamento d’epoca”, la risposta non sembra poter essere la stessa. E se le istanze di svolta del Vaticano II sono ancora da soddisfare, un passo avanti decisivo può venire non più attraverso formazioni precostituite ed autoreferenziali ma dal basso, alla stregua di una chiamata alla fede per ogni singolo in funzione ecclesiale e di missione. E’ una convinzione avvalorata dalla esperienza!

Anche se il rilievo non veniva colto – anche perché del tutto controcorrente – non ho fatto mai mistero nel dire che la diffusa risposta “monachesimo” al Concilio, per quanto di successo, era la meno appropriata, salvo cambiamenti di rotta dentro gli stessi monasteri, come può essere avvenuto a Camaldoli col P.Calati. In linea generale, il proliferare di iniziative e fenomeni monacali non ha fatto che creare poli di attrazione e di dissanguamento del corpo ecclesiale di base, là dove una effettiva riforma sarebbe dovuta avvenire ma dove però era più ardua, come il parallelo fenomeno “comunità di base” dimostra. Così come i vari tentativi di ripensare gli stessi conventi in ordine alla attuazione del Concilio sono stati fatti abortire, in nome di una “vita comunitaria” assolutizzata e formale, assurta a pretesto e a criterio di emarginazione, senza margini di verifica.

Guardando le cose dall’esterno, la vicenda Bose porta in primo piano tutta questa storia vissuta ma non scritta, e niente impedisce di ipotizzare che anche dentro il monastero di Bose sia esploso questo conflitto tra “ideale comunitario” di tradizionale “vita evangelica” (o ”vita religiosa” fine a se stessa) e urgenze di evangelizzazione, ciò che forse ha portato Enzo Bianchi a muoversi in spazi aperti, sempre da “monaco” ma meno legato al “monastero”. E’ quando l’appello alla “fraternità” viene giocato a senso unico in maniera formale, con formule preconcette di equilibri prestabiliti tutt’altro che inclusivi!

Ma non è questo che interessa chiarire, quanto piuttosto il fatto che l’esperienza di Bose, iniziata l’8 dicembre del 1965 giorno di chiusura del Concilio (mi trovavo in Piazza San Pietro), è assurta a simbolo di rinnovamento conciliare, ed in questo senso è stata di approdo e di rifugio per tanti, dando vita al tempo stesso ad un fenomeno di eterogenesi dei fini, e quindi a contraddizioni intrinseche esplose solo ora. Ponendosi in immediata continuità col Vaticano II, forse troppo prematuramente, di fatto il fenomeno Bose nasceva in contrasto col Concilio stesso: riproponeva infatti forme di vita cristiana e spirituale datate per quanto aggiornate, simbolo di altre epoche, e cioè di quella cristianità che si voleva oltrepassare. La stessa idea di monastero rimaneva indice di sedentarietà, di territorialità, di stabilità istituzionale, di spazio sacro e di laicità consacrata, di governo monarchico. Insomma un otre vecchio per vino nuovo, anche se di successo, perché in fondo “nessuno che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!” (Luca 5,39) Serviva creare riserve o cenacoli o immettersi come lievito evangelico nella massa, naturalmente “non il lievito vecchio, né lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”? (1Corinzi 5,8)

Proprio questa ambiguità fa sì che le tensioni presenti nella chiesa riguardo alla posta in gioco del Vaticano II si siano riversate anche su Bose e stia prevalendo stranamente l’ala di fedeltà al Concilio come fatto compiuto e ne esca sconfitta la tendenza a seguirne la spinta propulsiva verso orizzonti diversi come sistema aperto. In qualche modo Bose ne diventa ago della bilancia o cartina di tornasole, una spia per chi averte il pericolo. E’ abbastanza chiaro, infatti, che il problema non può essere solo di ordine disciplinare o di gestione del potere, ma implichi scelte di fondo, altrimenti sarebbe incomprensibile l’appello al Vaticano e l’intervento dello stesso Papa. Per questo tutta la faccenda non la si può archiviare cime dato di cronaca, ma va colta come opportunità per entrare nel vivo di una situazione generale di chiesa, che ha bisogno di chiarezza e di coraggio e non può rimanere sotto l’ombra del sospetto, dell’allusione o della condanna gratuita da parte della “vera chiesa” preconciliare e pre-tutto.

Al solo scopo di un discernimento complessivo, tento una lettura del comunicato a firma della “Comunità di Bose” – difficile sapere se concordato e approvato da tutti i monaci – che si apre in maniera abbastanza controversa: quando parla di “serie preoccupazioni pervenute da più parti alla Santa Sede”. Quindi non è solo questione interna, anche se non è dato sapere da quali parti arrivino queste “serie preoccupazioni”, e soprattutto non si capisce la gravità che giustifica il ricorso alla autorità suprema, senza trovare una soluzione all’interno. Se il problema è l’“esercizio dell’autorità del Fondatore, la gestione del governo e il clima fraterno”, si tratta sempre di questioni domestiche, ed è veramente troppo poco per invocare e per giustificare un intervento così corposo e di alto profilo, perché allora le “Visite apostoliche” dovrebbero moltiplicarsi all’infinito e con esiti imprevedibili.

Senza troppi giri di parole, in questione c’è dunque la “rilevanza ecclesiale ed ecumenica della Comunità di Bose e dell’importanza che essa continui a svolgere il ruolo che le è riconosciuto, superando gravi disagi e incomprensioni che potrebbero indebolirlo o addirittura annullarlo”. Se al riguardo addirittura il Santo Padre si è sentito in dovere di offrire alla Comunità un aiuto con la Visita Apostolica, e poi di firmare il decreto di allontanamento, è lecito chiedersi il perché: se perché Bianchi e compagni non seguono la sua linea quanto al ruolo della Comunità, o se piuttosto proprio perché la seguono. Sarebbe giusto saperlo, anche per non sentire sbraitare qua e là accuse di eresia e cantare vittoria sulla morte di una chiesa conciliare. Possiamo anche noi fare sommessamente appello al Papa perché ci illumini e non ci lasci nella incertezza se valga la pena o meno di attenersi a quanto popone, fino ad una “conversione pastorale”?

 

Forse basterebbe rendere pubblica a questo punto – perché è un fatto di rilevanza pubblica – la “relazione elaborata sulla base del contributo delle testimonianze liberamente rese da ciascun membro della Comunità”. Ma cari confratelli monaci, e prima di questi ultimi anni dove e con chi eravate? E’ tutto successo all’improvviso, quasi per incanto? In ogni caso ci sono le conclusioni della Santa Sede frutto di attento discernimento e di preghiera, che guarda caso non riguardano solo Enzo Bianchi e compagni di sventura, ma anche l’intera comunità monastica, che sembra essere commissariata, e per la quale “la Santa Sede ha tracciato un cammino di avvenire e di speranza, indicando le linee portanti di un processo di rinnovamento”. Dunque in causa sembra esserci questo “processo di rinnovamento”: ma allora è da pensare che fosse proprio Enzo Bianchi a intralciare questo “rinnovato slancio alla vita monastica ed ecumenica” della Comunità? Che c’è di male a farlo capire?

 

Sarebbe l’occasione ottima per dare esempio di quella chiarezza e coraggio di cui avrebbe bisogno una chiesa in apnea senza più capacità di confronto e di dibattito.  Ci viene detto che anche questa vicenda è venuta allo scoperto ed è diventata di pubblica ragione non per scelta di trasparenza, ma al momento in cui la comunità si è fatta un dovere di uscire dalla riservatezza perché “l’annunciato rifiuto dei provvedimenti da parte di alcuni destinatari ha determinato una situazione di confusione e disagio ulteriori”. Insomma, perché qualcuno si è sentito in diritto di rompere le uova nel paniere! Come se limitarsi a fare i nomi dei diretti interessati la vicenda risultasse meglio chiarita e messa a tacere. C’è invece un comunicato di Enzo Bianchi con alcune precisazioni che avvalorano sempre di più l’ipotesi di uno scontro di contenuti e di soluzioni unilaterali di carattere puramente formale.

Egli scrive tra l’altro: “Invano, a chi ci ha consegnato il decreto abbiamo chiesto che ci fosse permesso di conoscere le prove delle nostre mancanze e di poterci difendere da false accuse…  In questa situazione, per me come per tutti, molto dolorosa, chiedo che la Santa Sede ci aiuti e, se abbiamo fatto qualcosa che contrasta la comunione, ci venga detto. Da parte nostra, nel pentimento siamo disposti a chiedere e a dare misericordia. Nella sofferenza e nella prova abbiamo altresì chiesto e chiediamo che la comunità sia aiutata in un cammino di riconciliazione”.

Qui non si tratta di ergersi a giudici e sputare sentenze, ma di voler capire quale è effettivamente la posta in gioco nei suoi riflessi e nelle sue ricadute, perché è chiaro che non si può ridurre tutto ad ordinaria amministrazione o a provvedimento disciplinare, neanche troppo motivato. Nessuno può impedirci di pensare che siamo in presenza di una operazione di normalizzazione in cui purtroppo è coinvolto anche papa Francesco, mentre rimbomba l’assoluto silenzio della chiesa italiana, forse nel tentativo di ridurre tutto a fatto personale di giornata. Parlare di “normalizzazione di Francesco”, fino a prova contraria, può voler dire che ne è il soggetto, ma può voler dire anche che ne è l’oggetto. Anche per questo non è lecito prendere le cose a cuor leggero e lasciarle defluire per archiviarle prima possibile, ma – piaccia o non piaccia – è doveroso enucleare la questione di fondo in cui pronunciarsi apertamente e costruttivamente da una parte e dall’altra.

Certo, viene da chiedersi cosa sta succedendo tra le migliaia di persone che a Bose hanno fatto riferimento in tutti questi anni. E dove sono: sono una realtà e una voce dentro la chiesa italiana in grado di avere un peso e di farsi sentire? Proprio questo interrogativo mi riporta all’ipotesi e al timore iniziale riguardo a Bose: che abbia rappresentato una grande riserva di preghiera, di spiritualità, di ecumenismo, di dialogo, di accoglienza, ma come in una bolla al di fuori di dinamiche e problematiche storiche di chiesa reale, che richiedono altre logiche evangeliche e pastorali. Così come si rafforza l’ipotesi che Enzo Bianchi sia caduto in disgrazia proprio perché ha tentato di uscire e di far uscire da questa bolla in risposta alle sollecitazioni dello stesso Papa Franceso. Ma allora si rafforza anche l’interrogativo, che sarebbe bene fosse sciolto, per sapere cosa effettivamente il Papa si aspetta da noi: quale è il vero senso del suo intervento?

P. Alberto Bruno Simoni op

29 maggio 2020

 

PERCHE’ MI E’ CARA BOSE

di Lidia Maggi

Cosa vuol dire Bose per me, pastora evangelica? E, insieme a me, per chi vive la fede in una chiesa protestante? Il faticoso momento attuale mi ha sollecitato a pormi queste domande.

La comunità di Bose non ha rappresentato per me l’incontro con l’esotico (con quella dimensione monastica che le chiese della Riforma hanno perlopiù espulso dal loro orizzonte) o con una risorsa utile per coltivare lo spirito ecumenico. Più radicalmente, la forma delle fede vissuta a Bose mi ha interpellata nella mia identità più profonda, a proposito di quel marcatore identitario che caratterizza il cristianesimo riformato, ovvero la centralità della Parola. Su quell’aspetto a proposito del quale ad un protestante verrebbe spontaneo dire: su questo non ho bisogno di sollecitazioni esterne, mi basta la mia tradizione. E invece quante volte ho sperimentato lo stupore di apprendere dalle sorelle e dai fratelli di Bose l’arte dell’ascolto della Parola attestata nelle Scritture. Sono grata a Bose per avermi illuminata ed educata alla ricchezza della Parola. Se c’è un merito che mi sento di riconoscere a questa comunità è quello di aver creato un ambiente che fa da cassa di risonanza alla voce plurale delle Scritture e alla loro infinita interpretazione. A Bose ho sperimentato una buona acustica, in grado di far risuonare la Parola nei tanti linguaggi di cui è capace lo Spirito. Ho udito il suono spesso dimenticato della radice ebraica delle Scritture. Penso con ammirazione e gratitudine al prezioso lavoro di scavo operato da Alberto Mello. Come anche al contributo di Sabino Chialà per la comprensione dell’ebraismo apocalittico. Ho gustato il tono profetico e l’intelligenza spirituale dell’insegnamento di Enzo Bianchi. Mi ha incantata la ricca lettura esistenziale delle Scritture offerta da Luciano Manicardi. Per non parlare della sapienza di Daniel Attinger, capace di ricomporre la comunione infranta tra l’interpretazione biblica protestante e quella cattolica. Parlando della mia esperienza, non posso che ricordare solo alcuni nomi.

Ho fin da subito intuito che a Bose l’ecumenismo non era una questione di buona educazione o diplomazia. Le diverse chiese dell’ecumene cristiana sono altrettante esegesi dell’unica Parola necessaria. Per una pastora protestante, il mondo ortodosso è quanto di più distante si possa immaginare nel dare forma all’esperienza di fede. È stata Bose a farmi scoprire il fascino del mondo ortodosso, colto nella sua pluralità. Il cristianesimo non è certo iniziato nel XVI secolo – come siamo tentati di ritenere, noi protestanti. Lo sapevo, certo, ma è stata Bose a mostrarmi le ricchezze delle tradizioni patristiche e monastiche. Ricordo ancora lo stupore nel leggere i detti dei padri e delle madri del deserto, accompagnata dalla lettura sapiente di Lisa Cremaschi; come anche per quel cantiere di forme cristiane che sono le diverse regole, verso cui ha indirizzato il mio sguardo Cecilia Falchini ed Edoardo Arborio Mella.

Anche se potrà sembrare incredibile, persino un mondo evangelico a me poco noto è stato disvelato solo a Bose. Penso alla sorprendente curiosità intellettuale e spirituale di Guido Dotti, al respiro internazionale dei convegni organizzati dalla comunità.

E poi, la bellezza della liturgia, con quella traduzione del Salterio che coniuga rigore, ritmo e linguaggio evocativo.. Le sorelle e i fratelli di Bose, tutte e tutti, mi hanno insegnato l’arte della preghiera comunitaria, la poesia della fede. Una bellezza che si irradia dal culto per innervare ogni aspetto, attingendo alle ricchezze della letteratura, della pittura, della musica. Bellezza dialogica, capace di far entrare in risonanza mondi diversi.

Sono stata a Bose poche volte, introdotta dalla cura di Lino Breda. Ma la mia frequentazione della comunità è andata ben oltre la presenza fisica. Libri, conferenze, contributi che mi sono giunti grazie ad amici e ai suggerimenti di mio marito, hanno tessuto un legame profondo con queste sorelle e fratelli che mi mostrano un altro volto del monachesimo, capace di coniugare la spiritualità più profonda con le inquietudini dell’esistenza e gli scenari politici.

Bose rappresenta un dono preziosissimo e ad ampio raggio di divulgazione della Parola; una generosità che si traduce in disponibilità ad animare incontri parrocchiali, partecipazione a convegni, interventi puntuali nel dibattito pubblico. Un esempio di chiesa in uscita, grazie al primato dell’ascolto della Parola.

Per tutto questo sento Bose come parte del mio corpo. Per questo la sua ferita è la mia.

Nel giorno di pentecoste invoco su questa bellissima comunità lo spirito di guarigione, di riconciliazione e consolazione.

Lidia Maggi

31 maggio 2020

ANCHE NOI VOGLIAMO BENE AL PAPA E A BOSE
 

BOSE: DISCERNIMENTO

Sono a conoscenza di fatti ed eventi che riguardano Bose e la sua incresciosa vicenda. Inutile dire che anche sotto tortura non rivelerò le fonti che garantisco certe.  Di altri fatti e circostanze non posso parlare senza svelarne l’origine. Chi mi conosce sa che può fidarsi perché ne va della mia credibilità e onestà: amo sempre la verità e la trasparenza e proprio perché parlo apertamente, molto spesso pago prezzi esorbitanti, ma questo è un problema mio.

Ho visto e letto in questi giorni molti commenti su Bose e il Vaticano, basati sul nulla o, peggio, tirando illazioni e supposizioni campate in aria. Qualcuno azzecca un aspetto, un altro mette in rilievo particolari e infine vi è chi fa un unico mazzo. Chi ha avuto contatti con Bose, legge attraverso la propria esperienza e proietta sulla vicenda sentimenti ed emozioni che hanno lasciato traccia nella loro vita, ma che non sono di aiuto a capire il «qui e ora» di Bose, che non è un fiore improvviso, ma il frutto di una lunga peregrinazione nel deserto, almeno decennale.

Bose è un «patrimonio della Chiesa» che rischia di perdersi nel marasma del clericalismo, pure monastico. Papa Francesco è intervenuto consapevolmente e, ne sono convinto, soffrendo. Molti si sono scandalizzati del suo intervento, ma sono certo che il Papa ha elementi che noi ignoriamo. È intervenuta anche la Segreteria di Stato che ha incaricato uno psicologo psicoterapeuta analitico, uomo sapiente e conoscitore dello spirito umano, mons. Amedeo Cencini. Mi risulta che a rivolgersi al Papa e alla Segreteria di Stato, siano stati rispettivamente Enzo Bianchi e, in maniera autonoma, la Comunità monastica, tutta compatta, tranne tre che coabitano con Enzo Bianchi.

È possibile che dentro la curia, non certamente specchio di limpidezza e trasparenza evangelica, qualcuno abbia o stia tentando di approfittarne per mettere in difficoltà il Papa, facendo risaltare che «l’Argentino» crea solo problemi che per altro non sa risolvere, ma produce scandali. Alla luce di quanto emerso in questi sette anni di governo di Francesco, nulla è impossibile, perché «portae ìnferi» sono dentro il Vaticano e spesso pare che «praevàlent».

Dopo averne previsto l’avvento con 13 anni di anticipo nel mio romanzo «Habemus Papam. Il Papa che abolì il Vaticano», prendendo il nome di Francesco, qualche mese dopo la sua elezione, pubblicai un saggio «Cristo non abita più qui», dove il «qui» era ed è il Vaticano. Ogni giorno che passa ne ho conferma. Il Papa è avversato, boicottato, combattuto con ogni arma possibile, anche con delazioni e menzogne. Lo stesso Papa ha elencato i 15 vizi capitali del clericalismo curiale in due discorsi, in occasione del Natale di alcuni anni fa.

Ebbene, con questa Newsletter rispondo alle decine di e-mail che chiedono interventi e raccolte di firme per dire due cose semplici: noi sosteniamo il Papa e gli siamo accanto e con don Primo Mazzolari ribadiamo che «Anche noi vogliamo bene al Papa» e in secondo luogo amiamo Bose che riteniamo frutto compiuto del Vaticano II e vogliamo che resti come segno di contraddizione e virgulto di speranza. Infine aggiungiamo che come Popolo di Dio abbiamo diritto di conoscere la verità su Bose. Tutta la verità perché solo nella verità possiamo essere figli e figlie di Dio. Solo nella verità il mondo laico e non credente, di casa a Bose, può decidere di non buttare all’aria il bambino e l’acqua sporca. Non si tratta di un «affaire» curiale e clericale, si tratta di una ferita sanguinante sul corpo della Chiesa che merita cura nell’ospedale da campo di bergogliana memoria.

Amiche e Amici, accogliete questa descrizione di fatti come un servizio di verità, quella almeno a me possibile.

Genova 01-06-2020                   Paolo Farinella, prete

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L’opinione di don Franco Barbero

 

Grandi manovre nella destra tradizionalista: Bose e dintorni Nulla di grave è successo nella comunità monastica di Bose. La sua realtà comunitaria, solida e costruttiva, non aveva bisogno di un intervento vaticano così altisonante e imperioso. I normali problemi intercomunitari trovano soluzione con il normale dialogo.

Il vero problema è la prepotenza con cui il vaticano è intervenuto producendo gravi sofferenze a tutti indistintamente e a quanti nella chiesa cattolica e ben oltre avevano un riferimento positivo evangelico in questa comunità.

Che cosa penso?

Penso che si sia voluto coinvolgere papa Francesco in un momento particolarmente fragile e contraddittorio del suo ministero.

E’ ben chiaro che qui è in atto una congiura della destra cattolica più reazionaria che cerca di destabilizzare questa ultima fase del pontificato di papa Francesco, usando ogni episodio anche locale per creare attorno a Francesco sconcerto e confusione. A Bose non c’è un’ombra di eresia o di dissenso.

La partita è totalmente altra e gli attori principali sono le destre cattoliche e politiche in forte espansione e la destra curiale piena di intrighi e tranelli. Questa destra ha già vinto alcune partite come la riammissione della messa tridentina, le indulgenze, la soppressione e la bocciatura delle migliori istanze del Sinodo panamazzonico e il NO totale al ministero delle donne.

Ma queste destre vogliono impedire che il Sinodo tedesco e quello australiano possano esprimere un sostanziale rinnovamento rispetto al ministero di uomini probati e di donne.

In sostanza vogliono dire chiaramente a papa Francesco che non si azzardi alla benché minima apertura. Queste destre reazionarie vogliono seppellire totalmente il Concilio Vaticano II e ricondurre tutta la chiesa cattolica al Concilio di Trento sotto l’aspetto dottrinale, disciplinare e ministeriale.

Forse ci rendiamo poco conto di quanto sia vasta questa rete di tradizionalisti, sovranisti, fondamentalisti e fascisti nel tessuto sociale ed ecclesiale.

Sono pieni di denaro e di finanziamenti dei più squallidi movimenti family day e dispongono di mezzi di comunicazione davvero potenti.

Ormai sono presenti in tutte le diocesi.

Dentro questo contesto si svolgono le grandi manovre dei cardinali all’insegna del motto: “E’ meglio che ci teniamo pronti”. Parlano e progettano rivolti al futuro conclave. Sanno ancora attendere, ma la rete cresce.

Per loro è importante che l’antipapa Ratzinger resti in vaticano come punto di riferimento e

come ispiratore delle manovre di successione.

Se volete una documentazione precisa di tutta questa mano d’opera anti-evangelica leggete gli studi di Luigi Sandri su CONFRONTI 4-5-6 del 2020.

E noi che cosa possiamo fare?

1) Siamo nel dolore e vogliamo essere vicini alla comunità di Bose e ad Enzo Bianchi perché, pur nelle posizioni differenti sui grandi temi della cristologia, abbiamo sempre ritenuto positivo il loro impegno biblico ed ecumenico.

2) Dobbiamo chiedere ed esigere che venga allontanato dal Vaticano Joseph Ratzinger, la vera disgrazia di questa nostra chiesa, affinché cessi di fare dei guai come ispiratore e tessitore di progetti reazionari e perché, con enorme rispetto, venga collocato agli arresti domiciliari per i reati di complicità nel coprire gli abusi sui minori.

Qualcuno ricorderà che 7 anni e due mesi fa scrissi una lettera in cui esprimevo il mio presentimento dei danni che un antipapa avrebbe arrecato alla chiesa.

3) Non lasciamoci deprimere. Queste perfide manovre non possono spegnere la luce e la forza del Vangelo. Il Dio di cui Gesù ci ha dato testimonianza ci spinge a guardare avanti oltre il potere di questi molossi dell’ortodossia tridentina e a continuare dal basso la nostra umile testimonianza .

4) Ripeto: dal basso; ribadisco: dal basso.

Se ci aspettiamo che la chiesa rinasca da un trono, siamo degli illusi…..Tocca a noi credere che Dio fa sorgere donne e uomini profetici che già sono in mezzo a noi e ci invitano a camminare con fiducia verso il futuro.

festa di Pentecoste 2020

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Il caso Bose Intervista a Riccardo Larini a cura di Pierluigi Mele in “Confini” – http://confini.blog.rainews.it – del 3 giugno 2020

La Chiesa italiana è scossa per le notizia, uscita in questi giorni con grande clamore sulla stampa nazionale, dell’allontanamento, deciso dalla Santa Sede, di Enzo Bianchi dalla Comunità di Bose. Comunità fondata da lui subito dopo il Concilio Vaticano II. Un caso clamoroso. Cerchiamo di capire di più, per quanto è possibile, in questa intervista con il teologo Riccardo Larini. Riccardo Larini è un intellettuale molto vicino alla Comunità, avendone fatto parte per undici anni ed essendo sempre rimasto in ottimi rapporti con tutti a Bose.

All’indomani della solennità della Pentecoste, la Comunità di Bose ha accolto la notizia che il suo fondatore, fr. Enzo Bianchi, assieme a fr. Goffredo Boselli e a sr. Antonella Casiraghi hanno dichiarato di accettare, seppure in spirito di sofferta obbedienza, tutte le disposizioni contenute nel Decreto della Santa Sede del 13 maggio 2020. Fr. Lino Breda l’aveva dichiarato immediatamente, al momento stesso della notifica. A partire dai prossimi giorni, dunque, per il tempo indicato nelle disposizioni, essi vivranno come fratelli e sorella della Comunità in luoghi distinti da Bose e dalle sue Fraternità. Ai nostri amici e ospiti che ci hanno accompagnato con la preghiera e l’affetto in questi giorni difficili chiediamo di non cessare di intercedere intensamente per tutti noi monaci e monache di Bose ovunque ci troviamo a vivere. Pregate per ciascuno di noi, e per la Comunità nel suo insieme, perché possa proseguire nel solco del suo carisma fondativo: fedele alla sua vocazione di comunità monastica ecumenica di fratelli e sorelle di diverse confessioni cristiane, continui a testimoniare quotidianamente l’evangelo in mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo”.

Professor Larini, questo è il testo del Comunicato Stampa che la Comunità ecumenica di Bose ha diffuso, il primo giugno, dopo i colloqui con il delegato apostolico. Sappiamo, da un articolo di Avvenire, che questo allontanamento sarà a “tempo indeterminato” per Enzo Bianchi, per gli altri sarà dai tre a cinque anni. Qualche commentatore ha scritto che questo è un “addio” per Enzo Bianchi a Bose. Personalmente non penso affatto che lo sia. Qual è il suo pensiero?

Innanzitutto spero che comprenda che sto parlando di persone che per me sono famiglia, anche se accetto di farlo da “fratello lontano”, che può aiutare a riflettere i propri “genitori” e a rendere la comunicazione attorno al caso meno basata su supposizioni che talvolta sono addirittura maliziose o morbose. Sicuramente, sia da quanto mi è dato di sapere personalmente, sia da tutto ciò che è stato pubblicato (e non) in questi giorni, mi pare chiaro che un distanziamento tra le parti si fosse ormai reso necessario. Per quanto si sia persone mature e di grande fede, ci sono momenti in cui la convivenza può essere solo deleteria. Perciò è bene che tutti possano respirare. Il priore ha bisogno di spazio per poter esercitare più liberamente il proprio ministero, ovverossia prendere le decisioni ordinarie riguardo alla vita comunitaria, scegliere i propri collaboratori, accompagnare con i carismi della saldezza e del discernimento, come dice la Regola di Bose, la vita spirituale e monastica dei fratelli e delle sorelle, che sono certo proseguirà secondo il livello di sempre. Gli altri membri coinvolti (e non solo quelli allontanati temporaneamente), hanno bisogno di spazio per ripensare a come essere pienamente solidali con il corpo comunitario e con i suoi valori, pur non venendo meno alle loro convinzioni, specie a quelle fondate sul Vangelo. Il fondatore ha bisogno di distanza per trovare un modo diverso di essere un “semplice monaco” che tuttavia non sarà mai del tutto un “fratello come gli altri”. Ed è quest’ultimo, in fondo, il vero nodo interno da risolvere. Ho letto molti cliché su cosa accade o dovrebbe accadere quando avviene una successione, quasi stessimo parlando di un’azienda o di una società sportiva, o della successione tra due abati di una comunità dalla lunga storia. Ma la realtà è che finché un fondatore di un’esperienza religiosa di qualsiasi genere è in vita non potrà mai avere un ruolo identico a quello di tutti gli altri, per la natura stessa delle esperienze religiose.

Non volendo sottrarmi alla sua domanda, dunque, rispondo che se la distanza sarà accompagnata da un vero processo dialogico, fratel Enzo rimarrà parte dell’esperienza di Bose. Probabilmente vivendo in disparte, ma tornando a essere coinvolto in forme nuove e non invasive nella storia bosina. In assenza di una volontà da parte di tutti di iniziare un processo di tal genere, i cammini del fondatore e di una parte della comunità da un lato e del resto della comunità dall’altro si separeranno definitivamente.

 Approfondiamo un poco le “radici” di questo caso. Il provvedimento della Santa Sede è duro. Il tutto è scaturito, cito dal primo comunicato della Comunità, “da serie preoccupazioni pervenute da più parti alla Santa Sede che segnalavano una situazione tesa e problematica nella nostra Comunità per quanto riguarda l’esercizio dell’autorità del Fondatore , la gestione del governo e il clima fraterno”. Questo comunicato “dice e non dice” al tempo stesso. Le chiedo: è possibile, che per dissapori tra il fondatore e il priore attuale, si arrivi ad un provvedimento assai drastico? Possibile che un uomo carismatico come Enzo Bianchi sia incompatibile con la vita comunitaria? A me sorgono molti dubbi…

Sempre con timore e tremore, togliendomi i calzari come Mosè davanti al roveto ardente, devo dire che la risposta alla sua domanda non può essere data da un processo unicamente interno a Bose. Mi spiego. Sta certamente alla comunità tutta (compresi i membri allontanati) ricomporre le proprie lacerazioni e definire cosa voglia essere e dove debba andare, in maniera fondamentalmente autonoma (purché non contraddica il Vangelo, perché in tal caso ogni credente avrebbe un dovere di correzione fraterna nei suoi confronti). Tuttavia, sia le precisazioni fornite nel secondo comunicato della comunità riguardo alla promessa di restare ” fedele alla sua vocazione di comunità monastica ecumenica di fratelli e sorelle di diverse confessioni cristiane”, sia le molte, troppe voci che sono trapelate riguardo a ulteriori richieste formulate alla comunità dalla Santa Sede, suscitano seri interrogativi riguardo alle ragioni complessive e la portata globale del provvedimento adottato. Ci sono tantissime persone, direi senza paura di esagerare decine di migliaia, in Italia e in tutto il mondo, che, non per il desiderio malsano di spiare ma per il loro cammino spirituale personale, hanno in qualche modo un bisogno profondo di sapere dove voglia e debba andare Bose, se le diatribe interne riguardino anche questo o siano solo questioni di debolezza umana, se il decreto singolare emesso dal Segretario di Stato chieda o meno cambiamenti giuridici e disciplinari tali alla comunità da stravolgere anche solo parzialmente la propria carica profetica. C’è tutta una “generazione Bose”, come l’ha definita Massimo Faggioli, che non si compone di persone che sarebbero andate facilmente in altri monasteri e che inoltre si sono riavvicinate alla chiesa e al Vangelo proprio grazie all’unicità della comunità fondata da Bianchi. A loro, credo, la comunità deve risposte, che altrimenti giungeranno loro dal caos mediatico scatenatosi attorno alla vicenda, e saranno risposte distorte.

Proseguiamo nell’analisi. Da quello che si sa non sono state imputate a Padre Enzo nessuna questione dottrinale. Per qualche osservatore, invece, tutta la vicenda assume carattere di una “normalizzazione” dell’esperienza di Bose. Il ché sarebbe in contraddizione con lo spirito fortemente ecumenico del papato di Francesco. Il Papa ha ceduto all’ala conservatrice della Curia romana? Come giudica il comportamento della Santa Sede? 

Chiunque mastichi seriamente un po’ di teologia sa bene che definire Bose una realtà superprogressista o addirittura eretica, oltre a essere un’affermazione lontana dalla verità, è in realtà una costruzione a tavolino molto utile per generare polarizzazioni nella rete e per arruolare il nome di Bianchi e di Bose per fini e lotte di cui non sono mai stati parte. Ovviamente non c’è nessuna questione dottrinale in gioco. Il monachesimo è sempre stato una realtà profetica, in qualche tensione con le istituzioni ecclesiali. Ed è altrettanto chiaro che, proprio per questo, la gerarchia ecclesiale è sempre tentata nella storia di addomesticare le esperienze monastiche, inquadrandole nel diritto. A mio avviso si tratta di una tensione in qualche modo sana, che non mi scandalizza. A questo va aggiunto (è stata la tesi del mio Master a Cambridge riguardo a Gesù e il I secolo) che ogni nuova esperienza religiosa passa da una fase in cui è unicamente vissuta da una comunità ristretta, a una in cui, specie al morire della prima generazione, l’istituzionalizzazione è inevitabile, e nascono tensioni attorno all’interpretazione delle origini. Basti pensare al capitolo 21 del Vangelo di Giovanni. Quando lasciai Bose, 15 anni fa, la comunità non era ancora neppure un’associazione di fedeli laici: dal punto di vista giuridico aveva solo delle configurazioni civilistiche. E disponeva solo di una Regola fatta di indicazioni tratte dai Vangeli, un ufficio liturgico di propria composizione e un minimo molto scarno di strutture interne. Eppure era riconosciuta in tutto il mondo e da tutte le chiese come un fulgido esempio di vita monastica. La legge non è tutto. È chiaro che la libertà bosina ha sempre suscitato piccole invidie in alcune esperienze tradizionali di vita religiosa, e che comunque fu la comunità stessa, già in quegli anni, a interrogarsi su un possibile inquadramento istituzionale come associazione di laici. Anche perché questo era molto in linea con la difesa della laicità del monachesimo, dell’essere semplici cristiani, consacrati a Dio in Cristo mediante l’unica consacrazione ricevuta da tutti i cristiani nel battesimo. Riguardo a papa Francesco, distinguerei molto il suo sincero afflato ecumenico dalla sua visione delle questioni interne, anche giuridiche, della chiesa. Ritengo del tutto possibile che egli stesso si sia convinto di dover aiutare la comunità di Bose a prevenire problemi futuri chiedendole cambiamenti e un maggiore inquadramento nel diritto canonico. Del resto mi pare non abbia lesinato interventi di tal genere in altri casi. Per contro mi sento di essere meno generoso nei confronti del modo in cui la chiesa cattolica più in generale ha trattato la vicenda. In primo luogo, e non l’ha ancora citato nessuno che io sappia, se Bose è un’associazione di laici di diritto diocesano, trovo per lo meno un fallimento dell’ordinario del luogo il non essere riuscito a mediare in una situazione di cui non poteva non essere a conoscenza. È inutile chiedere più sinodalità, una maggiore applicazione del Vaticano II, se i vescovi sono i primi a non credere nelle loro prerogative. È in gioco una genuina applicazione del Concilio. La Segreteria di Stato è inoltre intervenuta (perché il decreto è suo, non del papa, anche se egli lo ha approvato) applicando, di fatto, la giurisdizione diretta della Santa Sede su ogni singolo credente cattolico. Peccato però che a Bose ci siano anche non cattolici, membri a pieno diritto della comunità, e il ricorso all’unica prerogativa del papato su cui nessuna chiesa cristiana mai concorderà con quella cattolica per dirimere una questione inerente una comunità ecumenica rappresenti un vulnus eccezionale allo spirito ecumenico di cui per contro ci si continua a dichiarare fedeli servitori. E la comunicazione vaticana è stata gravemente insufficiente. Di solito si tacciono le parti di provvedimenti che riguardano le persone, e si parla di ciò che riguarda le istituzioni, per questioni di rispetto. Qui si è fatto il contrario, e sullo stesso Osservatore Romano si è lasciato che a parlare del decreto singolare fosse il comunicato della comunità di Bose. Per potere dare maggiori risposte alla sua domanda, perciò, credo si debba attendere a questo punto la doverosissima pubblicazione del decreto singolare, in assenza della quale, anche senza volerlo, si continuerà ad alimentare l’umiliazione di persone e di storie che hanno invece reso un servizio enorme alla chiesa a livello mondiale nonché alla cultura del nostro paese.

Quello che è chiaro che tutta la vicenda non può essere, e non sarà, risolta con soli provvedimenti disciplinari. L’esperienza di Bose è un frutto, grande, del Concilio Vaticano II. Per questo, per quello che rappresenta per l’intera “cristianità” (intesa qui intero ecumene), tutta la vicenda non è banale. Tocca il futuro della Chiesa. Le chiedo qual è, allora, la vera posta in gioco?

La posta in gioco è molto più grande di quanto non sia stato percepito nei palazzi vaticani e da una chiesa italiana colpevolmente molto silente fino ad ora, anche se c’è tempo per rimediare a questo almeno in parte. Certo, da un lato è palese, dalle immediate reazioni anche virulente, che la vicenda Bose rischi di essere strumentalizzata dai tristi giochi di potere scatenati sia da alcuni alti prelati che si oppongono a Francesco e al Vaticano II che da gruppi di interesse di vario genere. Ma delle beghe di palazzo, sinceramente, non voglio occuparmi. Un dato più importante è che è in gioco una testimonianza cristiana sui generis di cui il mondo ha un enorme bisogno. Bose è un esempio straordinario di come lo studio, la conoscenza, la profondità e l’ardire del pensiero siano compatibili con la fede cristiana, e anzi la rafforzino. È un laboratorio che ha dato chiara prova, nel corso degli anni, di un eccezionale equilibrio, senza mai ricorrere a cliché, senza utilizzare dogmatismi. Per questo ha conquistato la fiducia di cristiani di ogni confessione e di persone dagli orientamenti culturali e religiosi diversissimi. Nella società delle grida in rete e delle polarizzazioni su tutto, abbiamo bisogno del coraggio e dell’arte del pensare come del pane quotidiano. E Bose ne è stata fino ad oggi un esempio straordinario. Senza esperienze come Bose, la chiesa diventerebbe un luogo molto più arido, buio e triste. Per questo la comunità andrebbe accompagnata dalla chiesa con maggior rispetto e attenzione di quanto è accaduto negli ultimi mesi. Sul dialogo ecumenico, che è il campo a cui ho dedicato gran parte della mia vita, devo per contro usare tutta la necessaria parresia evangelica, sia nei confronti delle chiese che della comunità in cui sono vissuto. Sono quasi trent’anni che, a fronte di dichiarazioni pubbliche, nei fatti il movimento ecumenico sta regredendo. Chi come me si è formato nella grande stagione del dialogo della carità e degli straordinari dialoghi teologici culminati in eventi epocali, a partire da Balamand ha assistito a un lento e inesorabile declino, al ritorno sempre più insistente di comportamenti (nonché di posizioni teologiche anche ufficiali) nelle chiese che contraddicono pesantemente la ricerca dell’unità tra le chiese e tra i cristiani. Il ricorso alla giurisdizione diretta del papa per risolvere la questione sorta a Bose è uno di tali gesti. Con esso, in un solo colpo, Bose ha perso gran parte della sua credibilità ecumenica agli occhi di tutte le chiese non cattoliche. E per quanto sia doloroso, non posso esimermi dal dirlo. Ci vorrà molto tempo per ricostruire, e forse non sarà possibile. E la responsabilità di un simile gesto è sia della comunità che della Santa Sede.

Ultima domanda: “Normalizzare Bose” o “Normalizzare Francesco”?

Una sola, semplice risposta: risvegliare tutti a maggiore discernimento e vigilanza, per non distruggere tesori preziosi, anche quelli che si amano sinceramente.

 

 

 

 

 

 


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Commenti

Una replica a “La crisi a Bose. Leggi il comunicato dell’agenzia stampa del Vaticano e quello della Comunità di Bose. Leggi anche il testo di Enzo Bianchi, l’articolo di Alberto Melloni su “Repubblica”, la riflessione di padre Alberto Simoni, quella di Lidia Maggi, quella di Paolo Farinella, quella di don Franco Barbero e, infine, quella di Riccardo Larini”

  1. Avatar Michele
    Michele

    Ma,si può sapere il motivo del allontanamento?

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