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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

La destra critica pesantemente Francesco

Pro e contro Francesco

Una Corte ha bisogno di un re. Se il papa non fa il re, la Corte pontificia rischia l’estinzione, e dunque è costretta a combattere per se stessa. Ma non è solo la Corte: ci sono settori della Chiesa e anche del mondo secolare che erano convinti che il Concilio fosse ormai neutralizzato dopo quarant’anni di glaciazione, e sono ora allarmatissimi per l’arrivo di un papa che secondo loro – ed è un’accusa – rassomiglia al cardinale Martini, gesuita come lui. Così, mentre cresce in modo straordinario il consenso intorno a papa Francesco, è partita l’offensiva contro l’inquilino di Santa Marta.
Lefebvriani, atei-devoti, sanfedisti, anticonciliari, leghisti hanno aperto le ostilità. Il sito di Sandro Magister e dell’Espressonline ha dato spazio alle critiche. “Il Foglio” ha fatto dire a due giornalisti provenienti da Radio Maria perché “questo papa non ci piace”, ed ha accusato Francesco di eterodossia, modernismo, infedeltà alla Chiesa e adulterio con il mondo. Intollerabile sembra a Giuliano Ferrara che Bergoglio abbia visto nella Chiesa un “ospedale da campo della misericordia al posto dell’esercito angelico di Wojtyla e della cattedra razionale di Ratzinger”. Più raffinato l’attacco del prof. Pietro de Marco di Firenze, che ha in mano tutti gli strumenti del mestiere avendone appreso le tecniche, ma non lo spirito, alla cosiddetta “scuola di Bologna” di Dossetti ed Alberigo.
Le contestazioni sono molto pesanti e proprio così aiutano a comprendere la novità evangelica del pontificato di Francesco. Si prenda ad esempio la grande controversia che è stata aperta sul richiamo di papa Francesco alla libertà. “La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza”, aveva scritto il papa a Scalfari. E qui l’accusa è di soggettivismo: perché se ciascuno deve fare ciò che la sua coscienza gli detta come bene, e combattere ciò che gli addita come male, verrebbe meno il bene inteso come valore oggettivo, ci sarebbe una sorta di immunità e ingiudicabilità della coscienza, la Chiesa perderebbe il suo mestiere di guida e controllo delle anime, non ci sarebbe più né grazia né peccato, e non resterebbe altro che una ”lotta di tutti contro tutti, una lotta strenua, perché compiuta per il bene e non per l’utile o altro contingente”. Secondo De Marco è per questo che le visioni particolari “devono essere regolate da un sovrano”, cioè da un’autorità esterna, che siano le leggi umane o la legge di Cristo, la quale “non ha alcuna sfumatura concessiva in termini individualistici”.
Qui però viene introdotto un conflitto tra eteronomia e autonomia che l’evento cristiano ha annullato inchiodandolo alla croce di Gesù. Quando papa Ratzinger ha detto che nella riconciliazione con l’età moderna, che è stata la vera “discontinuità” del Concilio, la Chiesa ha rivendicato la libertà non prendendola in prestito dall’illuminismo, ma attingendola dal suo “patrimonio più profondo”, diceva appunto questa verità fondamentale della fede: l’uomo è libero non perché si sottrae a un’autorità che gli si imponga dal di fuori, ma perché la libertà è l’immagine di Dio che Dio stesso ha impresso dentro di lui.
Il comando di Dio non precipita sull’uomo dall’alto, perché “Dio è nella vita di ogni persona”, secondo quella che è la “certezza dogmatica” di papa Bergoglio, che il Concilio corrobora dicendo che entrando con Cristo nella storia “Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo”. Perciò la libertà di coscienza, la libertà dell’atto di fede, e le libertà anche civili e politiche che ne derivano, sono radicate nella dignità stessa dell’uomo, come ha affermato nella “Pacem in terris” papa Giovanni staccandosi dal magistero pontificio dell’Ottocento; ed è così che il tema della libertà religiosa e della libertà umana tout court giunse alla riformulazione della dottrina quale si trova in quel documento del Concilio che non a caso si intitola “Dignitatis humanae”.
In quella dichiarazione sulla libertà religiosa il Concilio Vaticano II dice che l’uomo è “tenuto ad obbedire soltanto alla propria coscienza”, e ciò viene ripreso dall’insegnamento degli Apostoli ”istruiti dalla parola e dall’esempio di Cristo” . E questo primato ed autorità della coscienza deriva dal fatto che “l’uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza” che, come dice la Gaudium et Spes “è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità”; ed è Dio stesso che si fida della coscienza e si fida della libertà se, come aggiunge la Costituzione pastorale citando il Siracide, «Dio volle lasciare l’uomo “in mano al suo consiglio”».
Di molti altri gesti e parole rimproverati a papa Francesco si potrebbe richiamare l’origine nel Vangelo, nella grande tradizione e nel Concilio: segno che la posta in gioco con questo pontificato è la ripresa dell’attuazione del Concilio o il protrarsi della sua rimozione e, ancora di più, è l’alternativa tra legge e Vangelo, da cui dipende il senso stesso del papato e della Chiesa.
Raniero La Valle
(da “Rocca” di ottobre)

Il primato della coscienza

di Vito Mancuso – la Repubblica 17 ottobre 2013

L’accademico olandese Ian Buruma affermava martedì su questo giornale che il pensiero di papa
Francesco sul primato della coscienza “ben si accorda con l’estremo individualismo della nostra
epoca” e, dichiarato il suo sconcerto al riguardo, presentava quale icona-simbolo della posizione
papale niente di meno che Edward Snowden, l’uomo che per seguire la propria coscienza è giunto a
svelare i segreti dello spionaggio statunitense. Ma che cosa ha a che fare questo estremo
individualismo con la posizione papale? Ben poco, probabilmente nulla.

Quando si parla di etica si tratta in primo luogo di rispondere a questa domanda: esiste il bene, il
bene come qualcosa di universale e di oggettivo che vale per tutti senza dipendere dalle circostanze,
oppure tutto dipende dalle circostanze e non esiste il bene ma solo il conveniente? Questa è la
domanda numero uno della teologia morale. La domanda numero due consegue logicamente:
ammesso che questo bene universale esista, qual è, come si riconosce, chi lo può riconoscere?

La risposta del cattolicesimo, riprodotta alla perfezione nella lettera del Papa a Scalfari oggetto
della polemica di Buruma e soprattutto di alcuni cattolici tradizionalisti, è semplice e chiara: 1)
esiste un bene comune a tutti gli uomini, universale, oggettivo, che non dipende dalle circostanze o
dai sentimenti o dalle emozioni, ma che si sostanzia nella natura delle cose; 2) tale bene consiste in
ciò che favorisce la vita e come tale ogni uomo può riconoscerlo mediante la luce della propria
coscienza.

La capacità di conoscere il bene oggettivo mediante la coscienza soggettiva viene espressa dal
cattolicesimo con il concetto classico di sinderesi, definito dal Catechismo “la percezione dei
principi della moralità” (art. 1780; cf. anche Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, q. 79, a.
12). Il termine viene dal latino synderesis, che riproduce il greco syneidesis, cioè appunto
“coscienza”. La sinderesi esprime la capacità luminosa di ogni coscienza umana di riconoscere il
bene anche a prescindere dal proprio interesse e dalle diverse circostanze storiche e geografiche, la
capacità di sapere se si sta facendo il bene oppure no, fondando così ciò che Hans Jonas ha
chiamato “il principio-responsabilità”, ovvero la capacità di giudizio responsabile, a sua volta
fondato sulla realtà della libertà. Solitamente ci si riferisce a questa dimensione dicendo “luce della
coscienza”, o anche “voce della coscienza”.

È netta la differenza rispetto all’individualismo estremo che Ian Buruma attribuisce al Papa:
l’individualismo definisce il bene a partire da sé, a suo uso e consumo, papa Francesco invece dice
che il bene è oggettivo ma si può riconoscere e praticare solo passando attraverso la coscienza e che
per questo “obbedire a essa significa decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come
male”.

Il primato della coscienza (non ontologico, ma gnoseologico) è un concetto peculiare del
cattolicesimo che papa Francesco non ha fatto altro che ripresentare, e il fatto che suoni tanto nuovo
dovrebbe portare a seri interrogativi sulla qualità di un certo cattolicesimo di corte predominante
negli ultimi decenni, smanioso di apparire ortodosso ma in realtà spesso amante del potere e tale da
tradire lo spirito interiore più autentico del cattolicesimo.

Esattamente in linea con quanto affermato dal Papa rispondendo a Scalfari, si muove un documento
della Commissione Teologica Internazionale (organismo di nomina pontificia composto da una
trentina di eminenti teologi) del 6 dicembre 2008 intitolato “Alla ricerca di un’etica universale:
nuovo sguardo sulla legge naturale”. Dopo aver introdotto il principio della sinderesi, il documento
magisteriale afferma che il bene morale “rende testimonianza a se stesso ed è compreso a partire da
se stesso” (n° 56). In precedenza le diverse religioni erano presentate come “testimoni dell’esistenza
di un patrimonio morale largamente comune”, il quale “esplicita un messaggio etico universale
immanente alla natura delle cose e che gli uomini sono in grado di decifrare” (n° 11). Sono parole
potentissime che indicano che per la vita morale non sono indispensabili leggi, codici, esteriorità,
autorità: esiste un messaggio etico “immanente” nella natura delle cose, e gli uomini, credenti o no,
con la loro coscienza, sulla base della sinderesi, “sono in grado di decifrarlo”. Ne viene che ognuno
con la sua ragione può essere in grado di stabilire cosa è giusto fare e cosa evitare, basta che sia
onesto con se stesso.

Naturalmente ciò non è per nulla facile, e per questo sono di aiuto le leggi, i codici e tutti gli apparati esteriori promossi dall’autorità, i quali però devono venire ultimamente vagliati, e per così dire autorizzati, dalla luce della coscienza. La tradizione cattolica è chiara al riguardo. Così la Bibbia: “La coscienza di un uomo talvolta suole avvertire meglio di sette sentinelle collocate in alto per spiare” (Siracide 37,14). Così san Paolo: “Tutto ciò che non viene dalla coscienza è peccato” (Romani 14,23). Così Gesù: “Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (Luca 12,57).

Tra le numerose auctoritates ecco il cardinale John Henry Newman: “Certamente se dovessi
coinvolgere la religione in un brindisi al termine di una cena berrei alla salute del Papa, se vi farà
piacere; ma prima alla coscienza, e poi al Papa”; ecco il Vaticano II: “La coscienza è il nucleo più
segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità
propria… nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e
per risolvere secondo verità tanti problemi morali” (Gaudium et spes16); ecco il giovane Joseph
Ratzinger: “Al di sopra del Papa come espressione del diritto vincolante dell’autorità ecclesiastica,
sta ancora la coscienza individuale, alla quale prima di tutto bisogna ubbidire, in caso di necessità
anche contro l’ingiunzione dell’autorità ecclesiastica” (citato da Hans Küng nel primo volume della
sue Memorie); ecco il Catechismo attuale: “L’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo
della propria coscienza” (art. 1800).

Ed ecco la Commissione Teologica al paragrafo 59 del documento citato: “Soltanto la coscienza del soggetto, il giudizio della sua ragione pratica, può formulare la norma immediata dell’azione”; e subito di seguito: “La legge morale non può essere presentata come l’insieme di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione”.

Questo è il nucleo della più genuina tradizione cattolica: il processo della decisione è
eminentemente personale. Nessun individualismo quindi, semmai personalismo, che è ben altra
cosa. Possono perciò stare tutti tranquilli: papa Francesco è perfettamente cattolico! Ma proprio per
questo egli riproduce il paradosso già avutosi con il cardinal Martini, di riuscire a essere veramente
universale e a toccare il cuore di molti, non credenti compresi.


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Commenti

Una replica a “La destra critica pesantemente Francesco”

  1. Avatar maria cristina passaponti
    maria cristina passaponti

    Santo Stefano, primo martire, se non sbaglio fu lapidato proprio perchè affermava che, dopo che Cristo si era fatto uomo,non c’era più bisogno del tempio ,perchè ogni uomo è tempio di Dio. Questo naturalmente non vuol dire che non c’è bisogno della chiesa ma che la Chiesa è fatta di uomini e donne che vivono nel tempo la parola di Dio

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