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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

La Grande Guerra è stata raccontata quasi solo con menzogne.

La “menzogna” della Grande guerra
Marcello Vigli

La Grande menzogna è il titolo del libro (*) che Gigante, Kocci e Tanzarella hanno scritto per divulgare Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla prima guerra mondiale, e che è, invece, ampiamente documentato e ben noto a ricercatori e studiosi di storia.
Lo hanno fatto con un approccio adatto anche “ai non addetti ai lavori”, ma rigorosamente comprovato, in 17 agili capitoli che “raccontano” alcune delle questioni poco note e molto controverse della partecipazione dell’Italia al primo grande conflitto mondiale.
Di questo evento, che ha segnato profondamente e radicalmente la società e le istituzioni del nostro Paese, emerge una visione alternativa a quella diffusa in particolare in occasione delle celebrazioni retoriche ed acritiche del centenario. Il libro, infatti, intende essere un invito ad una memoria generatrice di coscienza, che sia strumento per leggere il presente e soprattutto produrre futuro il più possibile diverso dal passato che ancora grava pesantemente sulle nostre spalle.
Questa dichiarazione rivela l’impegno degli autori a promuovere, specie fra i giovani, consapevolezza e capacità di discernimento per l’esercizio di quella sovranità che in democrazia è delegata ai cittadini.
Fin dai primi capitoli, nei quali si propone il contesto in cui è maturata la decisione di “entrare” in guerra nella primavera del 1915, è evidente l’intento di dar conto della dialettica fra gli intellettuali, delle contraddizioni all’interno delle forze politiche, delle ambiguità nelle stesse istituzioni e degli appetiti degli industriali nei confronti della guerra. Di questi ultimi si torna a parlare in diversi capitoli all’interno di analisi e riflessioni con cui sono denunciati non solo i vantaggi ottenuti con le diverse forniture dalle grandi aziende, che producevano per la guerra, ma anche le vere e proprie truffe fatte di fatture gonfiate e pagamenti per servizi e materiali mai forniti, i cui effetti si sono sentiti anche dopo la fine della guerra per i debiti contratti con esse dallo stato, causa non ultima della crisi che ha favorito l’avvento al potere del fascismo.
Nelle successive analisi dei diversi settori e momenti in cui si dipana il divenire delle azioni belliche, dei comportamenti dei diversi soggetti, che le guidano, e delle loro conseguenze su quelli, che le vivono nella trincee e sul campo, costante è l’attenzione degli autori ad individuare le responsabilità, incompetenze e insensibilità degli uni e a descrivere le sofferenze degli altri, spesso ingiustificate o evitabili. Si integra a queste denunce quella dell’uso politico della guerra durante il suo svolgimento e dopo la sua fine, in particolare da parte dei fascisti impadronitisi del potere. La ricognizione puntuale dei monumenti eretti e delle lapidi celebrative affisse in tutte le città e nei quartieri, la descrizione dei cimiteri, il racconto della nascita del milite ignoto e della trasformazione a Roma del monumento a Vittorio Emanuele II nel sacrario a lui intitolato accompagnano l’analisi del processo di costruzione di un immaginario collettivo che assume i caratteri di una religione civile con un suo altare della patria: il vittoriano.
Ad evidenziare la programmata mistificazione, realizzata con queste iniziative, governative e non, contribuisce nel libro l’altrettanto puntuale denuncia del dramma dei prigionieri di guerra italiani che, a differenza di quelli degli altri paesi belligeranti, non ebbero l’assistenza del loro governo, che legittimò l’appellativo di traditori o di vigliacchi con cui gli alti comandi dell’esercito avevano definito quelli che erano caduti prigionieri. Erano gli stessi ufficiali che imponevano inutili vessazioni gabellate come necessarie a garantire obbedienza nell’esecuzione di operazioni belliche spesso strategicamente e tatticamente inadeguate se non errate, frutto di incompetenza. Ogni forma di insofferenza, pur se non giungeva all’insubordinazione, da parte dei soldati veniva punita con sanzioni pesanti. Frequenti le fucilazioni sul campo senza processo fino alle decimazioni giustificate proprio con l’esigenza di mantenere la “disciplina”.
Una particolare attenzione è dedicata nel libro all’analisi dei casi di pazzia che si verificarono frequenti nei quattro anni di guerra, frutto proprio della strategia del terrore usata come metodo nell’esercizio del comando, neppure attenuata e umanizzata dall’azione dei cappellani militari, coinvolti di fatto, più o meno consapevolmente, nella legittimazione della guerra condannata, invece, da papa Benedetto XV. Alle sue dichiarazioni e alla sua azione si dedica particolare attenzione proprio in contrasto con i silenzi o le complicità delle gerarchie locali. Esse furono, anzi disponibili a contribuire alla gestione del tempo libero dei soldati con la creazione di centri ricreativi, le Case del soldato”, anche presso le sedi cattoliche, in alternativa, ma, di fatto, con la stessa finalità, dell’apertura di case di prostituzione destinate solo ai combattenti gestite dai comandi militari. Distinte per soldati e ufficiali, ospitavano prostitute “reclutate” e controllate perché i frequentatori fossero preservati da malattie veneree.
Al lealismo giustificazionista dei cappellani militari, era affidato, invece, il compito di predicare sul campo rassegnazione e fedeltà.
A tal proposito assume particolare rilievo nel libro l’analisi del comportamento di alcune figure del clero come Primo Mazzolari, Luigi Sturzo e Agostino Gemelli. I primi due, interventisti alla vigilia e durante la guerra, maturarono nel tempo un rifiuto di essa. Mazzolari convertito al rifiuto dall’esperienza delle atrocità delle sue conseguenze, Sturzo indotto progressivamente a cambiare idea e a riconoscere la follia e le contraddizioni di quegli anni, l’inconsistenza di quelle aspettative con il gravissimo peso conseguente e la devastante crisi agraria ed economica. A Sturzo si riconosce anche l’intuizione che lo portò a dichiarare nei primi mesi del suo esilio il fascismo italiano è figlio della guerra.
Ben diversa fu l’esperienza di Agostino Gemelli che, senza essere cappellano ma ufficiale medico, divenne assiduo predicatore fra le truppe ed offrì al generale Cadorna, in quanto assegnato allo Stato maggiore, la sua personale competenza di psicologo per motivare le truppe ad andare incontro alla morte senza particolari resistenze , fornendo, per di più, con i suoi scritti al convinto consenso alla guerra una giustificazione cristiana che senza nemmeno utilizzare le categorie della guerra giusta le presuppone.
Ovviamente tale azione s’inseriva coerentemente nel processo di sacralizzazione della guerra, di cui si è detto, contribuendo a rafforzare il culto degli eroi che il fascismo concorse a costruire soprattutto promuovendolo nella scuola, nelle attività delle sue organizzazioni giovanili e di partito. Contro di essa, però, si svilupparono anche canti e memorie che ne denunciavano le conseguenze negative sulla vita dei soldati e della società. Ad esse attinsero spesso scrittori e registi impegnati ad indagare in maniera non ideologica…. la “grande guerra”, in contrapposizione con i film e i libri che, specie durante il fascismo, ne esaltavano il contributo alla formazione della coscienza nazionale patriottica.
Delle diverse interpretazioni di questo tragico evento, che per prima volta nella storia ha coinvolto in un’unica avventura i popoli del pianeta, dà conto l’ultimo capitolo del libro, dedicato a indicare i possibili percorsi di lettura, confermando la funzione dl libro scritto proprio per sollecitare riflessioni e valutazioni atte a vivere un presente consapevole per costruire un futuro non più funestato dalla guerra.

Valerio Gigante – Luca Kocci – Sergio Tanzarella, La Grande menszogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla prima guerra mondiale, Dissensi edizioni, Viareggio, 2015

Roma, 4 maggio 2015


Pubblicato

Commenti

3 risposte a “La Grande Guerra è stata raccontata quasi solo con menzogne.”

  1. Avatar Vittorio da rios
    Vittorio da rios

    Innanzitutto partiamo dai dati: cosa è costato in termine di vite umane il secondo
    genocidio di popolo dopo quello Armeno giustamente definito tale da Papa Francesco.
    Ricordare i dati è pratica assai preventiva poiché mai si deve dimenticare che –l’ominide–
    tende a dimenticare è portato all’oblio, quindi vocato a ripetersi nel perpetrare di nuovo
    crimini e genocidi. La grande guerra fu una immane tragedia. Nei quattro anni e tre mesi
    del conflitto morirono circa 2 milioni di soldati tedeschi insieme a 1.110.000 austro-ungarici,
    770.000 turchi e 87.500 bulgari; dalla parte degli –alleati–ci furono due milioni di morti russi,
    1.400.000 francesi, 1.115.000 Dell’impero britannico,650-700.000 italiani, 250.000 rumeni,
    e 116.000 americani.Al conto vanno aggiunte le vittime proveniente dai paesi sotto dominio
    coloniale inquadrati negli eserciti di Francia, impero Britannico ecc. il cui numero non è di certo
    irrilevante. Considerando tutte le nazioni al mondo si stima che durante la prima guerra mondiale
    persero la vita qualcosa come 9.722.000 soldati. Ci furono inoltre circa 21 milioni di feriti: alcuni
    guarirono senza particolari conseguenze ma moltissimi restarono segnati e drammaticamente
    menomati a vita. Oggi diremmo portatori di handicap fisici gravi e irreversibili. Queste cifre tra l’altro
    non tengono conto di quanti rimasero traumatizzati dal punto di vista psicologico: uomini che
    subirono lo shock da bombardamento, e che non si sarebbero mai più ripresi .Oggi diremmo
    portatori di handicap gravi e irreversibili da disturbi psichici. E i milioni di persone colpite da
    quello che oggi chiameremmo disturbo post traumatico da stress. Questi dati non considerano i
    civili uccisi dalla guerra: valutati in circa 950.000 persone che trovarono la morte a causa delle
    azioni militari. A queste cifre va poi aggiunta l’impressionante cifra di 5.893.000 civili che persero
    la vita a seguito delle carestie e delle malattie causate dal conflitto. Queste sono le cifre ho
    l’impressione per difetto, relative ai costi umani del genocidio di popolo quale fu il primo
    conflitto mondiale. Un giovane e talentuoso storico nato a Cimadolmo –Treviso–dove vive e lavora
    recentemente a tenuto un seminario molto ben riuscito dove documentatissimo ha descritto lo sterminio
    di contadini e le varie forme di ribellione a tale massacro verificatosi negli scenari di guerra tra il Veneto
    e il Friuli aspetti non sempre percorsi in modo adeguato dalla storiografia ufficiale. Lo storico
    si chiama: Simone Menegaldo e si è formato alla alta scuola storica del prof. Mario Isnenghi che tra
    l’altro a lui e alle sue ricerche si deve un nuovo approccio interpretativo della tragedia che quest’anno
    ne ricorre il centenario. Ritengo che il libro elaborato a più mani: Gigante, Kocci e Tanzarella che
    qui è recensito: ancora da me non letto, per la qualità serietà e preparazione degli autori colloca l’opera
    comunque tra quelle più innovative e realistiche nel descrivere il primo conflitto mondiale per quello
    che concretamente fu: una grande di proporzioni bibliche–menzogna–. Spesso accadde di incontrare
    i difensori dell’amore Patrio, i cultori di monumenti e sacrari che portano i loro bambini con
    indosso i mini abitini a simulare e immedesimarsi nei fanti in trincea, nel visitare i luoghi dove si
    consumarono carneficine e massacri inenarrabili come fosse una dolce nostalgica
    rimembranza romantica. Mi capita non di raro di trovarmi a dialogare con costoro: i neo dogmatici di
    ascendenza gemellina sulla guerra giusta e santa, tale venerazione hanno di quel massacro che io cerco
    di inibire ricordando la metamorfosi subita da uno dei più grandi intellettuali e poeti del novecento:
    Giuseppe Ungaretti, interventista assieme ad altri poeti e uomini di cultura che vedevano alcuni la guerra
    una specie di catarsi rigeneratrice della spiritualità umana: altri la fine degli imperi e la nascita di un nuovo ardine e assetto degli stati e della società civile europea. Bene ma come ci ha insegnato il grande
    Fiorentino la verità effettuale rispetto alla virtuale è drammaticamente diversa. Ungaretti visse la sua
    esperienza bellica dalle mie parti nel friuli sulle doline del Carso. immaginiamolo cosi:In trincea,
    con i calzari immersi nel fango, tra cumuli di morti e feriti agonizzanti le cui grida si levavano disperate
    andare all’assalto per uccidere e essere uccisi per conquistare un lembo di terra privo di qualsiasi razionale
    giustificazione se non quella vocazione criminale genocida di chi comandava a vari livelli gli attacchi
    e vedere arrivare quella nebbiolina verdastra –i gas asfissianti– per contadini di 18-20 -22 anni
    abituati a maneggiare rastrelli e falci e mungere le mucche con fidanzate ad attenderli o moglie incinte
    vi puo essere morte piu orrenda e inumana? E Ungaretti dalle Doline del Carso all’ora scrisse:
    Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. E ancora:Di queste case non è rimasto che qualche brandello
    di muro.Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto. Ma nel cuore nessuna croce
    manca. E’ il mio cuore il paese più straziato. Straordinarie pagine hanno pure scritto uomini come,
    Emilio Lussù, e Mario rigoni Stern. Ricordo che da giovane ebbi modo di conoscere alcuni reduci
    tra i quali i ragazzi del 99 parlavano con fatica di cosa avevano vissuto, cosa i loro occhi avevano
    visto e le loro mani fatto. la violenza subita, e altrettanta trasmessa. Mi disse un giorno di autunno
    oramai avanzato un ragazzo del 99 : ma perché metterci in quelle condizioni cosi giovani, con altri giovani
    che portavano casacche diverse dalla nostra ma tutti figli della stessa madre terra gli uni difronte agli altri
    costretti ad uccidere, e venire uccisi con forme di violenza inimmaginabili,quale logica se mai ne
    fosse stata una se non quella demente-criminale,in sfregio ai più elementari diritti del rispetto della vita
    che è sacra delle persone? Termino con le lacrime agli occhi dicendomi con un filo di voce: una
    spaventosa mattanza di giovani vite ecco cosa i miei occhi hanno visto. E aggiunse sappiate trasmettere
    alle giovani generazioni tutto questo come i nostri occhi hanno visto, le nostre orecchie udito e le
    nostre mani agito,perché mai più di tutto questo si abbia da ripetere.
    Un caro saluto

  2. Avatar maria cristina
    maria cristina

    Mio nonno era capo cannoniere in artiglieria e quando arrivavano i giovani al fronte la prima cosa che diceva loro era “ragazzi non disertate perchè dalle fucilate tedesche ci sta di salvarsi e ritornare a casa ma se disertate c’è la fucilazione senza pietà e per ora li hanno presi tutti”

  3. Avatar admin
    admin

    In questi giorni di maggio dopo cento anni non possiamo non raccoglierci in raccoglimento e in preghiera. Come si potrebbe diversamente pensando pensando ai ragazzi del ’99, all’Ortigara , alle fucilazioni e all’unità degli italiani fatta nella violenza delle trincee.
    Almeno la storia ci insegni qualcosa . La storia è scolpita nell’art.11. I giovani lo imparano a scuola?
    Vittorio Bellavite

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