La proposta nonviolenta non è assente tra i cristiani
di Enrico Peyretti in “www.finesettimana.org” del 25 ottobre 2022
Nell’articolo “La chiesa come corpo di pace”, il pastore Paolo Ricca, uno dei miei maestri, riprende (ricordo che lo ha già fatto in scritti recenti) a sottolineare il valore della nonviolenza. Nonostante la parola (ma due negazioni fanno un’affermazione) “nonviolenza” è idea fortemente attiva: rifiutando di rispondere alla violenza con la violenza, essa mette in moto le forze propriamente umane, di unità, di riconciliazione, attraverso la resistenza coraggiosa, la disobbedienza aperta, che svuota la prepotenza. Per Gandhi è satyagraha, forza della verità, della più autentica umanità. Le esperienze storiche di lotte giuste nonviolente sono una realtà, non una utopia. C’è un’ampia bibliografia storica disponibile, sempre aperta (posso fornirne una) . Devo dire però che nei cristiani impegnati per la pace – nei movimenti, associazioni, nei rappresentanti più noti – il valore e la proposta nonviolenta attiva è tutt’altro che assente, anche nelle prese di posizione su questa guerra, sia nella base, sia nelle voci più sonore, come la voce di Francesco, che (a mia memoria) ha indicato più volte la nonviolenza. I cristiani, da tempo e fino ai nostri giorni, sono ben presenti tra i testimoni, fino a dare la vita, della resistenza nonviolenta alla violenza politica e armata, anche di fronte al nazismo. La chiesa è anche una istituzione storica consolidata (può piacerci o meno alla luce del vangelo; può essere più o meno in crisi di adesioni), che, secondo me, fa bene a tentare come tale le vie diplomatiche tra gli stati in guerra tra loro. Ma certo, credo anch’io che ciò che vale di più, da parte del corpo di Cristo che è la chiesa-popolo, è quel fermento – mai sufficiente, è vero – di tante semplici donne e uomini cristiani a sentire in cuore, manifestare, testimoniare di persona, l’impegno costruttivo di pace. E non solo la pace negativa, della tregua, della non-guerra, ma la costruzione di rapporti sociali e politici che smontino le varie forme di violenza: quella fisica, armata, bellica; quella strutturale, nei rapporti economici e sociali; quella – ed è la peggiore – culturale, cioè il falso dogma che gli esseri umani sono irrimediabilmente in lotta tra loro in egoismi, particolarismi, nazioni, imperi, e che la natura umana è fatalmente violenta. Io vedo che chi crede evangelicamente nel Regno di Dio che viene, che è un seme tra noi, che è annunciato, a cui siamo chiamati, si impegna proprio nella cultura-azione della nonviolenza, non in una pace generica, anche con dedizione personale. La severità del pastore Ricca ha le sue ragioni, perché la chiesa è sempre inadeguata al vangelo che la chiama, ma vedo pure che i cristiani impegnati per la pace, non sono semplci generici pacifisti (parola insufficiente ed equivoca), ma cercatori di nonviolenza personale e strutturale, lavorano per la cultura nonviolenta, soffrono su di sé questo cammino. Ci sono casi di cristiani, insieme ad altri religiosi o no, in tanti luoghi e momenti, e anche nell’Ucraina e nella Russia di oggi, come “l’uomo di Tienanmen”. La pace che cerchiamo non è altro che la nonviolenza nelle culture e nelle strutture, fino all’abolizione della istituzione disumana che è la guerra, mai più giustificabile, perché è una forma di sacrifici umani all’idolo della potenza imperiale, sacrifici di vittime costrette ad ammazzare ed essere ammazzate: immensa offesa al Vivente che ama l’umanità, e grande sofferenza nostra. (enrico peyretti)
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