Unioni civili: cattolici che dicono no al Family Day
Perchè le Comunità Cristiane di Base dicono sì alla legge Cirinnà
Redazione
www.lindro.it, 27 gennaio 2016
Sostenere che “i cattolici” siano contro la legge sulle unioni civili è “infondato e illegittimo”. Ad affermarlo, in un comunicato di qualche giorno fa, sono le Comunità Cristiane di Base. Quei cattolici che sabato 30 gennaio non saranno in piazza per il Family Day. “Il Premier è un cattolico, come più di un Ministro, e molti e molte della compagine governativa e dello stesso PD che propongono e sostengono la proposta di legge”, dice, con un sorriso, Massimiliano Tosato, responsabile del coordinamento nazionale delle Comunità. Altro errore, dunque, è dare per scontato che i “cattolici” siano “un’entità compatta e omogenea, ignara del pluralismo”.
La legge Cirinnà, “pur con evidenti limiti giuridici e la perfettibilità di ogni legge, è comunque un passo avanti nella direzione del completamento di una corretta legislazione sui diritti civili”. Per tanto, per i cattolici ‘critici’ -così si definiscono gli aderenti alle Comunità Cristiane di Base-, avanti con la Cirinnà. “Sul piano etico e morale alcuni elementi possono non essere totalmente condivisibili, ma questo non inficia la necessità e la validità di una legislazione che ribadisca il diritto di tutti e di ciascuno, indipendentemente dai diversi fattori che di volta in volta vengono messi in campo per contrastare un percorso di civiltà, di essere ‘eguale’”, precisa il coordinatore.
Alla base del loro via libera c’è una motivazione di natura teologica – “nulla in questa legge contraddice il messaggio biblico” – e una motivazione relativa al rapporto politica-religione -“le Comunità Cristiane di Base hanno da sempre affermato la netta distinzione tra coscienza personale e sfera politica”, dice Tosato.
La motivazione teologica, spiega Franco Barbero -ex presbitero, dimesso dallo stato clericale-, è insita in quello che è la Bibbia: “la Bibbia non è un prontuario di risposte pronte all’uso”. La Bibbia “non fornisce risposte concrete rispetto alle modalità storiche in cui si coniuga l’esperienza famigliare, ma ritiene valida ogni relazione che contiene ed esprime amore, diritti e doveri. E’ ingenuo, fuorviante e culturalmente insostenibile la pretesa di ricavare dalla Bibbia le precise risposte ai problemi di oggi. Alla Bibbia vanno poste le domande giuste per non sottrarci alla nostra responsabilità di incarnare nel nostro tempo il messaggio dell’amore nei mutevoli contesti storici”. “Chi cerca nella Bibbia il ‘codice etico, universale, immutabile’, ha imboccato la strada del fondamentalismo”.
Il nodo della questione che sabato farà scendere in piazza i cattolici del Family Day sono i bambini, la Stepchild adoption, le adozioni da parte di omosessuali? “A mio avviso, i bambini vengono usati come pretesto e come terrorismo morale. In realtà i bambini abbandonati e abusati non sono mai stati il centro dell’interesse e dell’intervento della gerarchia che, semmai, è stato molto premurosa nell’annetterli alla propria istituzione e di catechizzarli. Le eccezioni confermano la regola. Si pensi quanta opposizione l’istituzione cattolica ha dimostrato contro l’educazione affettiva, sentimentale e sessuale nelle scuole. Il nodo è l’omosessualità, perché mette in crisi il modello unico patriarcale che la gerarchia non ha mai superato. Tale modello è estremamente funzionale al mantenimento di un potere che si traveste da Dio. Poi, siccome dentro l’istituzione la presenza di prelati e sacerdoti omosessuali è tanto alta quanto nascosta, è chiaro che su questo vissuto umano la gerarchia può solo reagire negando, nascondendo, chiudendo gli occhi davanti alla realtà”.
«Per la Chiesa non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione», ha affermato Papa Francesco in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del tribunale della Rota Romana, il 22 gennaio scorso. E proprio il concetto di ‘famiglia’ è quello che fa la differenza in questa vicenda. “La famiglia che la gerarchia cattolica difende come fondata sulle Scritture è frutto di una manipolazione dei testi biblici”, afferma Barbero, “come tutte le scienze dell’interpretazione ormai hanno dimostrato. Inoltre tale ‘esclusivismo’, tale modello unico nega la realtà storica nel suo dispiegarsi in modalità plurali e in continua evoluzione. E’ ovvio che un modello unico è più facilmente controllabile”. I due Testamenti biblici (il Vecchio e il Nuovo Testamento), “non conoscono un modello di famiglia secondo l’attuale dottrina cattolica. I racconti delle origini che troviamo in Genesi 1 e 2 sono mitologici e non intendono affatto codificare un modello. Fare di un mito o di un particolare inveramento storico un modello dogmaticamente assunto, significa precipitare nel fondamentalismo e, addirittura, nel ridicolo. Abramo ebbe 3 mogli, Giacobbe 2, Davide 8, Salomone 700… Evidentemente il Primo Testamento non voleva promuovere la poligamia. Così, nel Secondo Testamento la famiglia uomo-donna conosce, come in Paolo e in Matteo, la possibilità di essere sciolta. Così è innegabile che spesso facevano parte della famiglia i servi e gli schiavi. E se la gerarchia cattolica volesse proclamare come modello naturale ed immutabile la realtà tragica di lunghi secoli, dovrebbe ammettere di aver propagandato e difeso una famiglia tutt’altro che esemplare: la donna era assolutamente sottoposta al marito e lo scopo primario del matrimonio cristiano convergeva nella procreazione. Questo durò fino al Concilio Vaticano II”, spartiacque per i cattolici ‘critici’. E qui si arriva alla motivazione politica del sì alla legge Cirinnà.
Dopo il Vaticano II, afferma Marcello Vigli, tra i pensatori delle CdB, “l’appellativo ‘cattolico’ ha perso definitivamente quella valenza di categoria che, pur senza essere esaustiva, aveva a lungo indicato l’orientamento politico e il comportamento elettorale della massa dei fedeli”. Già ai tempi del referendum sul divorzio lo aveva rivelato la costituzione di un Comitato dei Cattolici per il NO all’abrogazione della legge -guidato da Gabrio Lombardi, e con dentro cattolici come Giorgio La Pira-, Comitato che fu determinante per la sconfitta di quanti, cattolici e non, volevano l’abrogazione della legge. “La nostra presenza nel dibattito sui ‘diritti civili’, a partire dalla legge sul divorzio, ci ha portato a testimoniare come credenti, che il rispetto e la dignità umana di ciascuno non può essere limitato o censurato da qualsivoglia legge, tantomeno in nome del Vangelo”.
I cattolici in politica ‘difformi’ “rispetto alla gerarchia ecclesiastica (non alla Chiesa intesa come insieme dei credenti) sono sempre stati presenti, e in maniera significativa (anche quando sottovalutati in quanto cattolici) in più compagini partitiche (compresa la DC) fin dalla nascita della nostra democrazia”, afferma Tosato. Il “disaccordo sui temi etici, sui diritti civili e sulla laicità delle Stato, rispetto ad una visione confessionale della politica (non solo quella della Democrazia Cristiana) è stato sempre presente e costante nel mondo cattolico a partire da De Gasperi”. Il ‘Date a Cesare quel che è di Cesare…’ è il detto evangelico che afferma la netta separazione che ogni cristiano deve aver presente nel suo vivere da cittadino. “La sfera spirituale (quel che appartiene a Dio) e privata non può ‘distruggere’ la sfera politica e mondana di Cesare”, dice Tosato.
L’appellativo ‘cattolico’, prosegue Vigli, “ha continuato, però, ad essere usato per indicare gli elettori attenti alle scelte politiche della Conferenza episcopale (Cei) dopo che ad essa Papa Wojtyla aveva riservato la ‘presenza’ politica della Chiesa in Italia. Hanno continuato a rivendicarlo Comunione e Liberazione e l’Opus Dei oltre ai settori delle comunità religiose indisponibili ad accettare il radicale mutamento, emerso dal Concilio Vaticano II, che vuole la Chiesa Popolo di Dio e non più Società perfetta. Esso in verità impone un diverso rapporto con la società civile e con gli Stati”.
Al mantenimento del valore ‘politico’ del termine, continua ancora Vigli, “sono restati fedeli sia quanti nella gerarchia cattolica ne avevano fatto e continuano a farne il fondamento del loro essere soggetto politico autorevole interlocutore dei poteri forti della politica italiana, sia quelli che traggono vantaggio dal suo sostegno pagato solo con il riconoscimento della sua autorità sulle questioni soggette a valutazioni morali, del resto già garantita dal regime concordatario. Non si tratta di incapacità dei cattolici italiani di proteggere la sfera politica, legislativa, da quella religiosa, ma di una scelta ben consapevole”.
Nel tempo, dice Vigli, “l’autorevolezza della Cei è venuta diminuendo così che, ad esempio, oggi mira a limitare i danni di un processo che inevitabilmente porterà alla legalizzazione delle coppie di omosessuali cercando di evitare, almeno, che ne derivi «confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione». Questo è il limite posto da Papa Bergoglio nel suo ultimo intervento in cui, al tempo stesso, riconosce che «La famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al ‘sogno’ di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità». E’ noto che i sogni non sono destinati a realizzarsi! Anche il cardinale Bagnasco Presidente della Cei lo sa e, perciò, rinunciando ad opporsi alla legalizzazione delle coppie omosessuali, si limita a dichiarare contro natura, in sintonia con atei e agnostici insensibili alla maturazione della società, il diritto di imporre a nati da una donna due madri o … due padri. In Parlamento, quindi, i resti della democrazia cristiana, confluiti in quanto ‘cattolici’ nel Partito democratico, sono autorizzati a non opporsi alla legge, ma, al tempo stesso, e con forza, sollecitati ad impedire la ratifica del diritto all’adozione dei figli del partner e, ancor più, all’uso dell’utero in affitto”.
Secondo i sondaggi condotti da IPR Marketing, il riconoscimento delle unioni civili eterosessuali vede il 74% di cittadini favorevoli, le unioni tra cittadini dello stesso sesso raccolgono il 46% dei sì (i no totalizzano il 40%); il ‘matrimonio’ omosessuale raccoglie il 38% di sì; i favorevoli alle adozioni per una coppia eterosessuale sono il 50%; mentre sono favorevoli all’adozione da parte di una copia omosessuale solo il 15% degli intervistati.
In primo luogo, sottolinea Tosato, si è creata, più o meno volutamente, confusione, “confondono e accumunano indifferentemente problematiche molto diverse quali le unioni, le adozioni, affidi, ecc …, segno della ignoranza (in buona fede?) del testo di legge in discussione”. In secondo luogo: “la distanza effettiva tra la pratica del popolo dei credenti su temi etici e sessuali e sui diritti civili in genere, rispetto a quella propugnata dalla CEI (in particolare quella ruiniana partner privilegiato della politica berlusconiana) è abbondantemente certificata da studi sociologici rilevazioni statistiche ormai da anni”. “Probabilmente i cattolici ‘complessivamente intesi’ (battezzati o di chi per convenzione si professa tale) favorevoli alle unioni civili sono tuttora una minoranza” come si ricava dal sondaggio. “Ma non certamente insignificante; anzi, una minoranza attiva. E se la CEI e il Family Day hanno dovuto ricompattarsi dopo anni di silenzio (avendo perso la rendita di posizione accumulata nel ventennio ruinian-berlusconiano) forse è anche merito di questa minoranza non certo silenziosa”.
Il mondo cattolico è in forte evoluzione, “ma tra forti contraddizioni -che l’attuale Papa contribuisce ad alimentare con ‘una pastorale popolare’ cui, però, fa da contraltare un conservatorismo non certo sopito)”, sostiene Tosato. I cattolici del Family Day “non credo siano necessariamente solo i più culturalmente ‘ignoranti’ o tradizionalisti che si rifanno ad una visione della Chiesa e della fede preconciliare che (in barba al Vaticano II) ha prosperato sotto i papati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Molti sono socialmente attivi e ‘progressisti’ in vari ambiti quali quelli ambientali, della pace, dei diritti umani, lotta contro la prostituzione, contrasto alla mafia, alle guerre e alle armi…, e anche -in parte- dei diritti civili, e spesso in prima linea rispetto al sostegno ai poveri e agli ultimi, ma comunque ‘obbedienti’ alla gerarchia”. Cattolici magari ‘progressisti’, “salvo che per le questioni di genere e sulla sacralità della famiglia. Spesso sono membri di meritorie associazioni che, però, essendo legate a doppio filo alla gerarchia per ragioni economiche (8 per mille) sono ‘distratte’ rispetto ad alcune tematiche sensibili, specie quelle legate ai principi non negoziabili dell’ancor presente cardinal Ruini”.
E’ tragico, conclude Barbero, “mentre il messaggio biblico propone e fa centro sull’amore, la gerarchia si occupa di difendere un modello. Ribadire come principio che la gerarchia sa qual è ‘la famiglia voluta da Dio’, è di per sé un assunto teologico blasfemo e storicamente confutabile. Quando si allarga la tenda dell’amore, quando le relazioni producono nuovi spazi di amore, un cristiano non può che fremere di gioia perché il sogno del Dio che accompagna le Sue creature verso la pienezza, trova nuove modalità espressive”.
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