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Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Le riflessioni di “Noi Siamo Chiesa” sul Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio

Riflessioni di “Noi Siamo Chiesa” sul
Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio

L’importanza di questo Sinodo

Il XII Sinodo dei vescovi su “La Parola di Dio nella vita e nella
missione della

Chiesa”
(Roma, 5-26 ottobre 2008) si è concluso. Riteniamo che sia stato un avvenimento

importante
per due motivi fondamentali:

—perché ha
permesso di riflettere sulla principale novità del Concilio Vaticano II, ossia
sulla centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa dopo secoli di
scarsa attenzione e di sua subordinazione alla precettistica, ai canoni, alle
strutture ecclesiastiche;

—perché
esso è stato una occasione di incontro di vescovi di tutto il mondo che hanno
potuto così capirsi meglio, comunicandosi la
straordinaria varietà di situazioni, di problemi e di carismi che sono presenti
nella Chiesa. Non esistono ora altre sedi, altri momenti di carattere generale
dove ciò possa avvenire.

Questi aspetti positivi del Sinodo hanno suscitato il particolare interesse
anche di quei cattolici che hanno un orientamento critico nei confronti dei vertici centrali e di molte strutture della loro Chiesa per come si sono
andate definendo negli ultimi trenta anni, mettendo da parte, nei fatti,
il grande movimento di rinnovamento che
avviò il Concilio.

 

I
limiti di questo istituto sinodale

Ciò premesso, ci sembra necessario confermare la nostra opinione sui
limiti strutturali del Sinodo come strumento della collegialità episcopale: il
ruolo solo consultivo lo priva infatti di efficacia e di credibilità; la segretezza
dei suoi dibattiti rende difficile la crescita, del tutto necessaria, di
una opinione pubblica, trasparente e
fraterna, nella Chiesa; la sua rappresentatività è ridotta dalla massiccia
presenza al Sinodo di tutti i maggiori esponenti della Curia oltre che di
numerose nomine papali e dalla stessa scarsissima presenza della “base”, uomini
e donne, del popolo di Dio; infine l’Esortazione Apostolica del Papa che, a
distanza di troppo tempo, ne raccoglie o
boccia le proposte è la testimonianza del permanere nella Chiesa, e anzi del
consolidarsi nel tempo, di una struttura troppo gerarchica. Essa ci sembra
lontana sia dallo spirito del Concilio che dalle necessità di una evangelizzazione all’inizio
del terzo millennio che sia credibile sia all’interno della Chiesa che nei
confronti di tutti gli uomini e le donne in ricerca.

Altro problema: a fine Sinodo vengono eletti 12 membri del Consiglio
della Segreteria generale del Sinodo (altri tre vengono nominati dal papa);
essi restano in carica fino al Sinodo successivo con funzioni consultive. Sono
stati comunicati i nomi ma senza dire, contrariamente al solito, quanti sono
stati i voti riportati da ognuno di essi né quali sono i designati dal Papa.
Comunque è una elezione importante perché è l’unica che avvenga ora a livello
della Chiesa universale.

 

I documenti del Sinodo

Non è facile avere una visione generale delle posizioni espresse dai
padri sinodali e delle dinamiche interne all’assemblea e ai gruppi linguistici
in cui essa si è divisa. I resoconti degli interventi (spesso troppo
sintetici), il messaggio finale e le
55 propositiones
conclusive (rese pubbliche perché era impossibile tenerle riservate) raccolgono
analisi ed indicazioni che testimoniano della diversità e della complessità
delle situazioni, di riflessioni a tutto campo, di indicazioni preziose e anche
di inevitabili posizioni di mediazione. Comunque ci sembra che questi testi diano
testimonianza che nella Chiesa il
problema della ricerca su come interpretare e comunicare la Parola di Dio, più
di altre tematiche, sia sentito e spesso al centro di iniziative pastorali e di studi.

 

Esegesi o teologia ?

Facciamo anzitutto due
considerazioni sulla questione principale. Essa ha riguardato una
pretesa prevalenza dell’uso del metodo storico critico nella comprensione della
Bibbia (prima parte del cap.12 della Costituzione dogmatica Dei Verbum) a scapito di una lettura più
teologica (seconda parte dello stesso capoverso). A partire dalla Relatio ante disceptationem del Card.
Marc Ouellet, dagli interventi del Card. William Levada, prefetto della
Congregazione per la dottrina della fede, del Card. Sodano e del Card. Meisner,
ha percorso il Sinodo la discussione su
un ipotizzato eccesso di esegesi a scapito di una lettura complessiva e teologica della Scrittura, che
tenesse conto della Tradizione e, in ultima istanza, del magistero della
Chiesa. Si sarebbe creato in tal modo un dualismo tra i biblisti da una parte
ed i pastori ed i teologi dall’altra. L’intervento più esplicito in questa
direzione è stato proprio quello di Benedetto XVI il 14 ottobre; egli ha
apertamente chiesto che il Sinodo
prendesse posizione e ciò è avvenuto,
davanti a tanta autorità, nelle propositiones
25-26-27-28 che riprendono, quasi alla lettera, i contenuti dell’intervento del
Papa. (“l’esegesi biblica rischia di diventare pura storiografia e storia della
letteratura”, “al posto dell’ermeneutica credente si insinua allora, di fatto,
un’ermeneutica positivista e secolarista che nega la possibilità della presenza
e dell’accesso del divino nella storia dell’uomo”). Il rischio di mettere così
il bavaglio alla ricerca biblica, colpevolizzando chi userebbe, in modo
esclusivo ed a senso unico, del metodo storico critico, deve essere apparso
evidente a molti padri conciliari.

A fare da contrappeso ad affermazioni così esplicite c’è stato il
rifiuto, forse scontato, della lettura fondamentalista delle Scritture (sia
nella proposizione n.46, sia nel Messaggio), la conferma, speriamo non solo
formale, della Dei Verbum
(proposizione 2) ma sopratutto la positiva bocciatura della proposta (si
suppone che sia stata preventivamente concordata con la Curia o col Papa
direttamente) del Card. Ouellet di una Enciclica sull’interpretazione della Bibbia. Essa, per
chi la faceva, per chi l’ha sostenuta ed anche per l’esistenza di documenti
precedenti sufficientemente esaurienti che non la rendono necessaria, aveva,
secondo ogni logica, lo scopo di limitare gli spazi di ricerca e di affermare
la necessità di una interpretazione “autentica”, cioè magisteriale. Ma perché
questa diffidenza nei confronti del metodo storico-critico? Perché tante
preoccupazioni? Se portate avanti, esse avranno l’effetto di “marginalizzare
l’esegesi cattolica rispetto al resto delle scienze bibliche mondiali” così
favorendo” un’interpretazione spiritualizzante ed armonizzante dei testi
biblici” (Mauro Pesce, Adista n. 79/08). La conferma del metodo storico-critico
viene poi contraddetta nei fatti quando esso turba mondi simbolici consolidati
o mette in discussione la consolidata strutturazione gerarchica della Chiesa
(come succede quando si studia la storia della Chiesa nei primi due secoli).

In conclusione, ci sembra comunque di poter dire che, complessivamente,
il nuovo corso avviato con la Dei verbum
non sia stato smentito (non sappiamo se il Card. Martini, che nel noto articolo
di febbraio sulla “Civiltà cattolica”, temeva uno stravolgimento della linea
conciliare, si sente ora rassicurato).

 

 

Ciò premesso,
i testi raccolgono l’ indubbia ricchezza delle tematiche affrontate, in modo
inevitabilmente un po’ disorganico e disomogeneo, anche per la loro ampiezza
perché parlare della Parola di Dio comporta di necessità una riflessione su
ogni aspetto della vita del credente e della comunità cristiana. Facciamo
alcune considerazioni su punti specifici
a partire da quelli che ci sembrano più interessanti.

 

Animazione biblica di ogni pastorale

La molto importante proposizione n. 30 “raccomanda di incrementare la
“pastorale biblica” non in giustapposizione con altre forme della pastorale, ma
come animazione biblica dell’intera pastorale”. E così la catechesi, le diverse
forme della pietà popolare, le missioni, i ritiri spirituali ecc…(n. 18) “siano
fondati sulla Parola di Dio”. Se ciò avvenisse bisognerebbe felicemente
trasformare una grande quantità di
uffici, attività, enti ecc…delle strutture parrocchiali, diocesane e delle
congregazioni religiose.

Viceversa è gravissima l’affermazione iniziale
della proposizione n. 23: “La catechesi deve preferibilmente avere le sue
radici nella rivelazione cristiana”. C’è da sperare che i redattori non si siano accorti di quanto sia assurdo
questo testo perché altrimenti verrebbe da pensare alla loro impreparazione o
peggio. Come potrebbe essere catechesi se non si radicasse nella rivelazione
cristiana ? Dove mai dovrebbe mettere le sue

radici ?

Inculturazione

La proposizione n. 48 parla dell’inculturazione con parole ben diverse
da quelle della seconda parte del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona. Questo punto ci sembra
raccolga molti interventi di Padri
sinodali della “periferia” alle prese con problemi di comprensione e di comunicazione
nei confronti di culture e di sensibilità etiche molto diverse da quelle
dell’Occidente.

 

Poveri e giustizia

La
proposizione n. 11 dice “che uno dei tratti caratteristici della Sacra
Scrittura è la rivelazione della predilezione di Dio per i poveri” e quella n.
39 invita “ i credenti a impegnarsi per quanti soffrono e sono vittime delle
ingiustizie”. Affermazioni che sono tanto ovvie da essere spesso dimenticate o
rimosse. Che fare dopo aver letto l’intervento del vescovo del Ghana, Mons.
Joseph Osei-Bonsu: “nel continente africano gran parte della corruzione,
ingiustizia e violazione dei diritti umani viene da persone che si professano
cristiane, perfino cattoliche”? Un intervento impegnato è venuto, un po’ a
sorpresa, dal Card. Sepe: “per vivere la Parola con
coerenza nella vita quotidiana occorre andare alle sorgenti, ossia alla carità:
solo essa, se vissuta e praticata, può cementare il tessuto ecclesiale e aprire
la strada alla concretezza dell’amore. I tanti malati nel corpo e nello
spirito, i poveri che affollano le strade delle nostre città, i luoghi di
sofferenza, come gli ospedali, le carceri rappresentano altrettante prove
concrete della fedeltà alla Parola e della nostra capacità di riformare la
nostra esistenza su quella del ‘Vangelo vivente’ più eloquente di tante parole
perché è diventato ‘carne e sangue’”, “l’uomo contemporaneo – continua
l’arcivescovo di Napoli – ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o,
se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni”.

 

.

Più formazione

Molte proposizioni (per esempio le nn. 31, 32 e33) sostengono la
necessità di una nuova e migliore formazione ed aggiornamento dei presbiteri,
dei seminaristi e dei laici in campo biblico anche mediante nuovi centri di
studio e istituti specializzati. Magari si concretizzassero queste indicazioni!
Questo Sinodo sarebbe stato allora un passo in avanti significativo per tutta
la Chiesa tenendo presente che uno dei motivi portanti del Sinodo è stata la
constatazione della ancora scarsa conoscenza della Bibbia da parte del Popolo
di Dio, nonostante i progressi successivi al Concilio. “Ogni fedele possieda
personalmente la Bibbia” dice la proposizione n. 9 (ma non si capisce poi che
senso abbia indicare come incentivo alla lettura una indulgenza prevista da un
vecchio documento curiale!).

 

Alcuni soggetti dell’evangelizzazione

Altre proposizioni danno indicazioni per un migliore rapporto con la
Sacra Scrittura di soggetti importanti nella comunità cristiana (per esempio i
consacrati n. 24, i giovani n. 34, i malati n. 35) oppure di “piccole comunità”
(che sono però descritte in modo da differenziarle dalle comunità di base).

La proposizione n.38 fa presente l’importanza degli istituti missionari
“in forza del proprio carisma e della propria esperienza” e “la realtà dei nuovi movimenti ecclesiali,
straordinaria ricchezza della forza evangelizzatrice della Chiesa” ma non si
dice quali debbano essere le modalità con cui essi devono diffondere la Parola
di Dio. Sarebbe stato utile richiamare qui, da una parte la necessità sempre e
dovunque dell’inculturazione, dall’altra i limiti evangelici del proselitismo
fondato soprattutto sulla propria identità e sulle proprie attività separate
dal resto della comunità cristiana, con
un riferimento troppo indiretto alla Parola di Dio. Ben più interessante nello
stesso capoverso è il riferimento al “fenomeno migratorio che apre nuove
prospettive di evangelizzazione, perché gli immigrati non soltanto hanno
bisogno di essere evangelizzati ma possono essere loro stessi agenti di
evangelizzazione”.

 

La comunicazione della Parola di Dio

Altre proposizioni toccano in modo concreto ed esaustivo vari aspetti
attinenti alla comunicazione della Parola di Dio : l’arte liturgica deve “rendere percepibile il mondo invisibile
e tradurre il messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure” (n. 40),
la diffusione della Bibbia deve usare ampiamente dei nuovi strumenti di
comunicazione (n. 43 e n. 44), troppe lingue locali non hanno ancora la
traduzione integrale della Bibbia (n. 42). Si è detto al Sinodo che la Bibbia è
stata integralmente tradotta solo in 438 delle 7000 lingue esistenti e che in
molti paesi lo stesso costo materiale del libro della Bibbia è troppo alto per
molti. Un punto particolare (n.54) raccoglie una nuova sensibilità per la
salvaguardia del creato: “bisogna denunciare le azioni dell’uomo contemporaneo
che non rispettano la natura come creazione”.

 

L’omelia

Una delle questioni che sembra essere stata più trattata al Sinodo è
quella dell’omelia durante la celebrazione eucaristica. Il sinodo ha colto bene la sua centralità nella riflessione generale sulla
Parola di Dio nella quotidiana vita
della Chiesa. L’omelia è infatti il
momento principale, e quasi sempre l’unico, nel quale la gran parte dei
credenti vengono a contatto con la Bibbia. Ne parla la proposizione n. 15 ma in
essa non vi si legge una disamina
critica della situazione attuale, che pure è emersa con vivacità. Ci sono alcuni criteri preziosi, anche se ovvii
“Bisogna che i predicatori (vescovi, sacerdoti, diaconi) si preparino nella
preghiera, affinché predichino con convinzione e passione. Devono porsi tre
domande : Che cosa dicono le letture proclamate? Che cosa dicono a me
personalmente? Che cosa devo dire alla comunità, tenendo conto della situazione
concreta? Il predicatore deve innanzitutto lasciarsi interpellare per primo
dalla Parola di Dio che annuncia”. Poi
però si danno indicazioni generiche o ambigue per “usare” le omelie nella direzione di un conformismo spesso poco ascoltato dal Popolo
di Dio (sia l’omelia “nutrita di dottrina e trasmetta l’insegnamento della
Chiesa”); nulla si dice sulla preventiva preparazione comunitaria che l’omelia
esige confermando il monopolio clericale su di essa; non si invita a una
particolare attenzione alla situazione specifica in cui essa viene ascoltata
(caratteristiche dell’uditorio, contesto sociale, culturale e anche geografico);
non si dice che essa deve comunque essere un momento di fede e di speranza del
singolo e di tutta la comunità che
partecipa alla celebrazione eucaristica. Ci sembra anche ambigua la
proposta di un “Direttorio sull’omelia” che sarebbe molto pericoloso se avesse
solo lo scopo di uniformare dal centro la predicazione nei metodi e nei
contenuti. Si può, al più, pensare a sussidi o a strumenti per la omiletica
(che in molte diocesi già esistono) che siano
espressione delle chiese locali. Identico ragionamento si può fare per
la proposta di “direttori rituali” per la celebrazione della Parola di Dio in
assenza di Eucaristia (questa è la situazione in vaste aree dell’universo
cattolico).

 

Lettorato alle donne ?

Nella proposizione n. 17 si auspica “che il ministero del lettorato sia
aperto anche alle donne”. Questa indicazione ha suscitato l’interesse di una
parte della stampa ma sconcerto nelle associazioni e nei movimenti, soprattutto
di donne, presenti nella Chiesa. Il lettorato (come gli altri ordini minori) è stato ignorato dal Concilio e non
se ne parla neanche nel Catechismo del 1992. Poi, è da circa trenta anni che,
ovunque, le letture durante l’Eucaristia vengono dette molto spesso da donne.
Che senso ha una tale proposta? A che serve questo ordine minore? Una inutile
ratifica ecclesiastica di una consolidata situazione di fatto (eppure questa
proposta è stata quella che ha avuto il maggior numero di voti contrari, 45 su
243 Padri conciliari!). In un linguaggio profano si direbbe che essa serve solo
per fare immagine ma -ci sembra- con un esito controproducente. Come sempre in
questi sinodi l’attenzione alla presenza
e al ruolo della donna è, a quanto si è capito, rimasta marginale, benché sia stata anche sollecitata
pubblicamente da una iniziativa il 15 ottobre di reti internazionali impegnate
in questo senso (Future Church, Women’s Ordination Conference, Women’s
Ordination Worldwide, International Movement We Are Church). Tra esperte (sei)
e uditrici (diciannove) le donne presenti erano 25 (su 78 “esterni”); tra
queste le suore sono in netta maggioranza. Un qualche aumento numerico c’è
stato ma resta la permanente incredibile sottorappresentazione di genere che è
peraltro comune alla gran parte delle istituzioni ecclesiastiche cattoliche.
Oltre alla proposta del lettorato, nella proposizione n. 30, si esprime, anche
se in modo un po’ paternalista, “stima e gratitudine nonché incoraggiamento per
il servizio all’evangelizzazione che tanti laici, e in particolare le donne,
offrono con generosità e impegno nelle comunità sparse per il mondo,
sull’esempio di Maria di Magdala prima testimone della gioia pasquale”.

Nella direzione da noi auspicata possiamo ricordare quanto ha detto
l’Arcivescovo di Kinshasa e Presidente internazionale di Pax Christi Mons.
Laurent Monsengwo Pasinya in una intervista
a “Jesus” di novembre: “Abbiamo bisogno di donne teologhe, perché le donne
nell’approccio alla Scrittura hanno un’impostazione diversa da quella degli
uomini. E’ indispensabile che ci siano. Siamo abituati al vocabolario maschile
usato nella Bibbia e rischiamo di credere che la teologia si esaurisca nella
sensibilità maschile. E invece ci sono testi nella Scrittura che mettono Dio al
femminile. Bisogna tenere presente questo fatto letterario per sottolineare la
trascendenza di Dio, che non è né uomo, né donna”.

Interpretazione autentica ?

La proposizione n.12 propone seccamente “che la Congregazione per la
Dottrina della Fede chiarifichi i concetti di ispirazione e di verità della
Bibbia così come il loro rapporto reciproco”. Che significa da parte dell’ex- S.Ufficio?
Non ci sono già in proposito testi esaurienti (p.e.“L’interpretazione della
Bibbia nella Chiesa” del 1993 ad opera della Pontificia Commissione Biblica) ? Sì,
ci sono.

 

Legge naturale ?

La proposizione n. 13, in un modo estrinseco rispetto alla riflessione
sulla Parola di Dio, invita “alla riscoperta della legge naturale ed alla sua
funzione nella formazione delle coscienze”. Si tratta di questione che, pur
essendo oggetto del particolare magistero di Benedetto XVI, è controversa sotto molti punti di vista (la
sua stessa esistenza, almeno nel senso ora proposto dal magistero, la sua
immutabilità, la sua percezione in contesti e tempi differenti, il suo rapporto
con la norma morale ecc…). E poi nel Sinodo non se ne è parlato!

 

Congresso internazionale sulla parola di
Dio

Si è molto discusso nel Sinodo dell’ipotesi di un Congresso mondiale
sulla Parola di Dio a cui potessero partecipare anche i mussulmani e le altre
religioni. La proposta è caduta (proposizione n. 45) per l’opposizione dei conservatori,
a partire da Comunione e Liberazione, che temevano il dialogo e il confronto al
di fuori della propria ortodossia. Se ciò è vero non c’è che da rammaricarsi
che la proposta non sia passata (per uguali motivi è stata bocciata la
precedente proposta di un forum tra cristiani e mussulmani sempre sulla Parola
di Dio).

 

Ortodossi e protestanti

La proposizione n. 36 tratta dell’unità dei cristiani usando la
terminologia, ormai in uso dopo la Dominus
Jesus
. Per “Chiese” si intende la
Chiesa ortodossa (o le Chiese ortodosse) e per
“comunità ecclesiali” si intendono le Chiese protestanti. Anche il Messaggio si esprime nello stesso
modo. Questa criticata differenza di approccio sui due versanti dei rapporti
ecumenici si è manifestata in modo evidente durante il Sinodo da parte di chi
lo ha organizzato e gestito. Invitato d’onore è stato Sua Santità Bartolomeo I,
Patriarca ecumenico di Costantinopoli, che ha parlato ai Padri conciliari. E’
stato un avvenimento che va valutato in
tutta la sua straordinaria importanza. Ma, a proposito di rapporti con gli
ortodossi, non possiamo fare a meno di ricordare quanto ha detto al Sinodo il
vescovo ucraino Mons. Dionisio Lachovicz: “ perché non si può concelebrare
l’Eucaristia con gli ortodossi quando si può celebrare con loro il sacramento
della Parola di Dio ed avere in comune il Battesimo ?” E c’è chi obietta che questo avvicinamento all’ortodossia
significa privilegiare chi, nel mondo cristiano, è più restio al rinnovamento.

Per quanto riguarda i protestanti
al Sinodo hanno avuto una accoglienza di secondo livello. Perché non è
stato invitato (o non ha accettato di partecipare) il pastore Samuel Kobia,
segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese? Eppure gli
evangelici, seguaci della Riforma, hanno titoli particolarissimi per parlare
della Bibbia, mentre la maggior parte degli ortodossi si è accostata molto
recentemente ad una sua lettura molto letterale.

Ci sembra comunque importante avere ribadito quanto afferma il
Messaggio (con parole più efficaci della proposizione n. 36) che auspica
“traduzioni bibliche comuni, la diffusione del testo sacro, la preghiera
biblica ecumenica, il dialogo esegetico, lo studio ed il confronto tra le varie
interpretazioni delle Sacre Scritture, lo scambio dei valori insiti nelle
diverse tradizioni spirituali, l’annuncio e la testimonianza comune della
Parola di Dio in un mondo secolarizzato”.

 

Ebrei ed islam

La proposizione n.52 conferma che “la comprensione ebraica della Bibbia
può aiutare l’intelligenza e lo studio delle Scritture da parte dei cristiani”
e “suggerisce alle Conferenze Episcopali di promuovere incontri e dialoghi tra
ebrei e cristiani”. E’ una linea esplicita che deve essere seguita senza
timidezze o reticenze. Importante e nuovo è stato l’intervento al Sinodo di
Shear Yesuv Cohen, rabbino capo di Haifa. La proposizione n. 53 invece conferma
il dialogo con l’islam e ne detta i contenuti: “l’importanza del rispetto della
vita, dei diritti dell’uomo e della donna, come pure la distinzione tra
l’ordine socio-politico e l’ordine religioso nella promozione della giustizia e
della pace nel mondo.” Ed aggiunge che “tema importante in questo dialogo sarà
anche la reciprocità e la libertà di coscienza e di religione”. Sono tutte
indicazioni positive salvo il riferimento alla reciprocità, che, se ha una sua
logica, adombra la campagna antislam dell’area cristiana fondamentalista che la vuole porre come
condizione per una doverosa libertà di culto ed una migliore accoglienza dei
mussulmani nei paesi di antica civilizzazione

cristiana.

 

Dialogo interreligioso

Sul dialogo interreligioso la proposizione 50 riprende i contenuti
della Nostra Aetate ma accenti
interessanti si sono sentiti negli interventi e sono stati ripresi dal
Messaggio (n. 14): “il cristiano trova sintonie comuni con le grandi tradizioni
religiose dell’Oriente che ci insegnano nei loro testi sacri il rispetto della
vita, la contemplazione, il silenzio, la semplicità, la rinuncia, come accade
nel buddismo; oppure, come nell’induismo, esaltano il senso della sacralità, il
sacrificio, il pellegrinaggio, il digiuno, i simboli sacri; o , come nel
confucianesimo, la sapienza ed i valori familiari e sociali; o, come nelle
religioni tradizionali, i valori spirituali espressi nei riti e nelle culture
orali”e inoltre: “Anche con quanti non credono in Dio ma che si sforzano di
“praticare la giustizia, amare la pietà, camminare con umiltà” (Mi 6,8) bisogna
lavorare per un mondo più giusto e pacificato”. Sono indicazioni preziose che
testimoniano di molte riflessioni di quella parte della nostra Chiesa,
soprattutto in Oriente, che si confronta
quotidianamente con culture diverse e in condizione di assoluta minoranza.

 

Le “sette”

La proposizione n. 47 parla delle “sette”, termine equivocabile che bisognerebbe evitare di usare. Dopo aver
espresso la propria forte preoccupazione ed aver dato indicazioni, piuttosto
tradizionali, sul modo di rapportarsi ad esse, il Sinodo si propone di studiare
il fenomeno “nella sua ampiezza anche globale e nelle sue ricadute anche locali”.
Ma c’è chi ha detto di più e di meglio, per esempio Mons. Walmor Oliveira de
Azevedo, vescovo di Belo Horizonte: “da notare che le persone che riempiono le
varie sette nei nostri diversi contesti, sono quasi sempre originarie dal
cattolicesimo. Basta che passino a queste sette, cambiano il loro modo di
comportarsi. Assumono dei degni comportamenti morali, lasciando ciò che
ritengono indegno della loro nuova vita da credenti. Quindi, la Parola che
ascoltano diventa performativa della loro vita, alimenta la loro spiritualità e
la loro scelta per una testimonianza dei valori religiosi che ora
interiorizzano”. Se l’analisi è vera, essa costituisce una sferzata per quelle
Chiese dove il fenomeno si sviluppa vivacemente, come in America Latina.

 

Riflessioni conclusive

Questo Sinodo rimarrà nella storia della Chiesa, solo come una buona
occasione di discussione, ininfluente nel pigro scorrere della vita di gran
parte delle Chiese locali? E con il rischio di essere poi isterilito dalla successiva
Esortazione apostolica? Eppure tante cose importanti sono state dette; forse
quella che è mancata è stata la proposta di una esplicita mobilitazione perché
si dia la priorità assoluta in ogni comunità cristiana alla riflessione, alla
preghiera e alla pratica di vita fondata sulla Parola di Dio, lasciando in
secondo piano strutture ecclesiastiche, canoni, discusse norme morali,
gerarchie, anche dogmi il cui vero radicamento biblico spesso è tutto da
dimostrare.

Con la parole della Comunità cristiana di base di S. Paolo di Roma riproponiamo alcune nostre opinioni
conclusive:

— le Scritture
ebraiche e cristiane contengono un messaggio d’amore del Signore per l’umanità,
tale messaggio è espresso con deboli parole umane e, spesso, quasi sepolto o
nascosto da espressioni fin troppo umane, che trasudano di pregiudizi, e spesso
anche di violenza, e sono gravate da insuperabili limiti culturali. E’ dunque
impresa necessaria, ma ardua e delicata, distinguere tra la Parola e le parole, tra il cuore del
messaggio e il suo rivestimento inevitabilmente limitato;

uesto SinodoQnjjhhhdddffff

–lo studio delle Sacre Scritture è tanto più
proficuo quanto più l’ascolto tra “docenti” e “discenti” è reciproco, ed
entrambi siano attenti all’ascolto dello Spirito santo, che è sopra a tutti e
si manifesta talvolta nei modi più inattesi e attraverso le persone più
impensate: i piccoli, i poveri, gli emarginati (Mt 11, 25 e par.);

 

–chi
affronta lo studio delle Sacre Scritture non può fare a meno di tenere
presenti, per quanto è possibile, le precedenti interpretazioni, specialmente
quelle che sono state assunte al livello “magisteriale”; ma anche che non
dovrebbe sacrificare a queste la sua libertà di ricerca. Accettare, per eccesso
di ubbidienza o per pigrizia, le spiegazioni date senza esserne intimamente
convinti; accantonare i passi difficili; rifiutare come eretiche o pericolose
certe opinioni prima di discuterle con serenità, non serve a niente, anzi
diminuisce nel credente la capacità di “rendere
ragione della propria speranza” (I Pt 3,15);

–Lo scarso
amore e lo scarso interesse per le Scritture, lamentato qua e là nei documenti
preparatori e durante il Sinodo, potrebbe essere dovuto al non convinto
riconoscimento della loro ricchezza e della loro attualissima validità nonché
alla sottovalutazione degli effetti che potrebbe avere sulla vita personale e
comunitaria una loro lettura approfondita, senza pregiudizi e sensibile alle
nuove esigenze e conoscenze antropologiche e culturali di un mondo in
rapidissimo e multiforme cambiamento:

–siamo
consapevoli che aprirsi senza corazze protettive alla Parola di Dio, “lasciare
ogni cosa e seguirlo” come il Signore chiede, restando nel mondo, comporta
inevitabilmente rischi ed emarginazioni. Si hanno “il centuplo quaggiù” in
fratelli e sorelle e senso della vita, ma anche persecuzioni, come prevedeva
l’evangelista (Mc 10,30; 10,16; Gv 15,18). Di fatto, come avvenne con Gesù,
quando si annuncia e si testimonia con sincerità il Vangelo, si suscita la
reazione dei “poteri forti” del denaro e dell’egoismo. E allora c’è il pericolo
dei compromessi.

 

Roma, 19 novembre 2008                           “NOI SIAMO CHIESA”


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