Un Concilio dimezzato
ma aperto alla speranza
di Luigi Sandri (“Confronti” di luglio-agosto 2016)
Grandemente atteso, si è svolto infine a Creta il “Santo e Grande
Concilio” che, su quattordici Chiese ortodosse, ne ha viste presenti
dieci (assenti la Chiesa russa e altre tre). Approvati sei documenti,
un’enciclica e un messaggio che evidenziano luci e difficoltà
dell’Ortodossia oggi. L’irrisolto rapporto con la modernità.
[Creta, dal nostro inviato]
Dopo quasi mille anni vuoti di un simile evento,
e dopo oltre cinque decenni di preparazione
prossima, finalmente dieci delle quattordici
Chiese autocefale – mancavano infatti quattro
patriarcati, e tra essi quello di Mosca, al quale
appartiene il 60% dei duecento milioni di ortodossi
sparsi nel mondo – hanno celebrato a Creta
(19-26 giugno) il “Santo e grande Concilio della
Chiesa ortodossa”, che si è concluso con l’approvazione
dei sei documenti già da tempo nella sostanza
predisposti, e con la pubblicazione di una
enciclica, e di un più corto messaggio, che riassumono
il lavoro compiuto e prospettano il futuro
in un secolo, il XXI, che secondo Bartolomeo I
(patriarca di Costantinopoli e “primus inter pares”
tra i gerarchi delle Chiese sorelle) potrebbe e
dovrebbe essere il “secolo dell’Ortodossia”.
LUNGA INCUBAZIONE, CONTRASTATA CELEBRAZIONE
Dopo il reciproco scisma tra Roma e Costantinopoli
del 1054, l’Ortodossia aveva celebrato diversi
Concili – in particolare nei secoli XIV e
XVII – ma parziali, in quanto a nessuno di essi
avevano preso parte tutte le sue Chiese
. Poi, nel 1961, a Rodi, era
stata lanciata l’idea di un Concilio pan-ortodosso.
Dopo decenni di discussioni, infine, nella “sinassi”,
la riunione dei primati di tutte le Chiese
autocefale, svoltasi nel marzo 2014 al Fanar – la
residenza, a Instanbul, del patriarcato ecumenico
– si era stabilito che il “Santo e Grande Concilio
della Chiesa ortodossa” si sarebbe svolto
in quella città, nel 2016, a Pentecoste (che, nel
calendario giuliano, quest’anno cadeva il 19 giugno).
La “sinassi” aveva anche stabilito: ogni
Chiesa avrebbe avuto un solo voto; tutte le
decisioni si sarebbero prese per consenso unanime;
ogni Chiesa avrebbe inviato, oltre al suo
primate, al massimo ventiquattro vescovi.
Le Chiese autocefale, che reciprocamente si
riconoscono tali, oggi sono quattordici: patriarcato
ecumenico, e patriarcati di Alessandria,
di Antiochia, di Gerusalemme; e poi le
Chiese di Russia, di Serbia, di Romania, di Bulgaria,
di Georgia, di Cipro, di Grecia, di Polonia,
di Albania, delle terre ceche e di Slovacchia:
tutte “indipendenti”, ma unite dalla stessa fede,
legate ai primi sette Concili ecumenici (il primo,
Nicea I, del 325; l’ultimo, Nicea II, del 787) e
fondate sullo stesso ordinamento canonico, costituiscono
l’Ortodossia.
Nel gennaio 2016, a Chambésy (Ginevra), la “sinassi”
aveva preso gli ultimi accordi e, in particolare,
aveva spostato il luogo del Concilio da
Istanbul a Creta – territorio greco ma, ecclesiasticamente,
legato al patriarcato ecumenico. Questa
variante si era imposta dopo che il presidente Putin
aveva proibito ai russi di recarsi in Turchia (il
24 novembre 2015 i turchi avevano abbattuto un
caccia russo sostenendo che volava abusivamente
nel loro spazio aereo; una tesi sempre respinta dal
Cremlino). Ma poi, ormai nell’imminenza dell’apertura
del Concilio, alcuni patriarcati avevano
sollevato obiezioni di fondo sui testi da discutere:
il georgiano su quello sugli impedimenti matrimoniali,
il bulgaro su quello sui rapporti Ortodossia-
mondo cristiano; l’antiocheno, che risiede
a Damasco, rifiutava di sedersi in Concilio con i
vescovi del patriarcato di Gerusalemme, a causa
della pretesa di questo di avere giurisdizione sul
Qatar (nell’emirato vivono migliaia di lavoratori
di religione ortodossa). Infine, i tre avevano detto
“no”. In tale contesto, il patriarcato di Mosca aveva
chiesto a Bartolomeo di convocare, per venerdì
10 giugno, una “sinassi”, per “differire” l’apertura
del Concilio. Proposta ignorata, impraticabile
anche per le ingenti spese già sostenute per la preparazione
e la traduzione di ogni testo in quattro
lingue – greco, russo, francese, inglese e alcuni
documenti anche in arabo (l’intero Concilio è poi
costato 2,5 milioni di euro).
Il Santo Sinodo, ristretto organo amministrativo
del patriarcato russo, il 13 decideva di
disertare il Concilio. Bartolomeo e altri nove
primati (anche quello di Serbia, Irinej, che da
prima pareva orientato al “no”) decidevano di
proseguire: tra il 16 e il 18 vi erano a Creta incontri
preparatori e domenica 19, ad Heraklion
– la “capitale” dell’isola – vi era l’apertura ufficiale
del Concilio che poi, dal 20 al 25, avrebbe
svolto le sue sessioni all’Accademia ortodossa di
Kolymbari, ridente villaggio sul mare a 40 km
da Chania, in Creta occidentale, dove il 26 l’Assemblea
avrebbe terminato i suoi lavori con una
solenne liturgia.
QUANDO, COME E PERCHÉ MOSCA DISSE “NIET”
Il 9 marzo 2014, allorché si concluse la “sinassi”
che aveva deciso il Concilio nel 2016,
un ortodosso greco, al Fanar, mi aveva gelato:
«Aspettiamo, prima di gioire, di vedere davvero
Mosca partecipare». La Chiesa russa è
“figlia” di Costantinopoli, tramite la Rus’ di
Kiev convertita dai bizantini nel 988. Dopo
che il 29 maggio 1453 i turchi ottomani
conquistarono Costantinopoli – la “seconda
Roma” – si rafforzerà il mito di Mosca “terza
Roma”, cioè colonna incrollabile dell’Ortodossia.
Nel 1589 il patriarcato dell’antica Bisanzio
consente che il metropolita di Mosca,
Job, diventi patriarca… Tralasciando i quattro
secoli, spesso tragici, di mezzo, veniamo ai
nostri giorni.
A Bartolomeo non dispiacerebbe la nascita di
una Chiesa autocefala ucraina: ipotesi inaccettabile
per la Chiesa russa che
da là ha quasi la metà del suo
clero. Anche su altre questioni
– come la giurisdizione sull’Estonia
o sugli ortodossi negli
Usa – le due Parti sono in disaccordo.
Infine, pesa il fatto
che Bartolomeo in Turchia abbia
meno di cinquemila fedeli,
mentre Kirill ne vanta milioni
in patria.
Vi è poi una questione geopolitica e simbolica:
«A determinare il “no” di Kirill è stato Putin
perché – così ragiona con me a Kolymbari l’esponente
di un patriarcato mediorientale – il capo
del Cremlino era deciso a impedire a Bartolomeo,
“il turco”, la gloria di celebrare un Concilio
pan-ortodosso. Dunque, l’ipotesi andava demolita
facendo mancare, a Creta, la Chiesa russa.
Questa, di conseguenza, ha “suggerito” ai patriarcati
di Antiochia, Bulgaria e Georgia di dire
niet (no), per poi giustificare anche il proprio
rifiuto. Putin per presentarsi come un nuovo
Costantino, protettore dell’Ortodossia, e Kirill
per dimostrare che, oggi, Ortodossia=Russia,
vogliono che il futuro e davvero “pan-ortodosso”
Concilio si svolga a Mosca».
Mi dice padre John Chryssavgis, portavoce del
patriarcato di Costantinopoli: «Nella “sinassi”
del marzo 2014 Bartolomeo chiese a ciascuno
dei patriarchi un “sì” alla celebrazione del
Concilio. Kirill rispose: “Sì, se non ci sono contrattempi”
».
Dopo il “niet” annunciato, il patriarca russo
il 17 giugno 2016 ha inviato una lettera
a Bartolomeo, agli altri primati, e ai vescovi
convenuti a Creta: «È mia profonda convinzione
che le Chiese, sia quelle che hanno deciso di
andare a Creta che le altre, hanno preso le loro
decisioni in buona coscienza, e perciò dobbiamo
rispettare la posizione di ciascuna di esse.
La decisione della Chiesa di Antiochia di non
venire al Concilio significa che non abbiamo
raggiunto un consenso pan-ortodosso… Ritengo
che se vi è buona volontà l’incontro di Creta
può divenire un importante passo per superare
le attuali divergenze. E ciò può dare il suo
contributo alla preparazione del Santo e Grande
Concilio che unirà senza eccezione tutte le
Chiese locali autocefale». Parole come pietre.
VOGLIA DI CONCILIO.
«L’ORTODOSSIA È LA CHIESA DEL CREDO»
In questo clima il Concilio è iniziato: giorno
dopo giorno sono stati approvati i sei documenti,
poi firmati dai 164 “padri” (erano presenti
anche una sessantina di “consiglieri”, tra cui
cinque donne): la missione della Chiesa ortodossa
nel mondo attuale, la diaspora ortodossa,
l’autonomia di una Chiesa e il modo di
proclamarla, il sacramento del matrimonio e i
suoi impedimenti, il digiuno, le relazioni della
Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano.
Particolarmente su quest’ultimo testo la
discussione, il 24 e il 25 giugno, è stata accalorata,
e il Concilio rischiava di fallire. Alcuni “padri”
greci, infatti, volevano denominare “gruppi”,
ma non “Chiese”, le Confessioni cristiane
occidentali: una tesi estremista che, infine, è rientrata.
Sono stati anche approvati un’enciclica
e un messaggio, dei quali diamo qualche flash.
• «La Chiesa ortodossa, fedele alla unanime Tradizione
apostolica ed esperienza sacramentale,
costituisce l’autentica continuazione della Chiesa
Una, Santa, Cattolica e Apostolica, come viene
confessato dal Simbolo di fede e come è attestato
dall’insegnamento dei Padri della Chiesa…
Perciò la Chiesa ortodossa ha sempre attribuito
grande importanza al dialogo [non si parla mai
di “ecumenismo”], e in particolare a quello con
i cristiani non ortodossi. I dialoghi multilaterali
intrapresi dalla Chiesa ortodossa non hanno
mai significato e non significano, né giammai significheranno,
un qualsivoglia compromesso su
questioni di fede».
• L’Ortodossia è vicina a chi soffre, ai profughi,
ai cristiani perseguitati, soprattutto in Medio
Oriente. Essa si oppone al fondamentalismo; rispetta
la laicità; si impegna per l’ecologia.
• «La Chiesa ortodossa considera il legame d’amore
indissolubile di un uomo e una donna “mistero
grande […] in Cristo e nella Chiesa” [Efesini
5, 32]… L’attuale crisi del matrimonio e della
famiglia sono una conseguenza della crisi della
libertà, come responsabilità, di una sua riduzione
ad una edonistica auto-realizzazione, di una
sua identificazione con una auto-gratificazione
individuale, auto-sufficienza e autonomia».
• «Un elemento fondamentale dell’ideologia della
secolarizzazione è sempre stato e continua ad
essere fino ad oggi la piena autonomia dell’uomo
da Cristo e dalla influenza spirituale della
Chiesa, attraverso la identificazione arbitraria
della Chiesa con il conservatorismo e come anche
attraverso la sua caratterizzazione antistorica
come presunto ostacolo a ogni progresso e
sviluppo… La Chiesa ortodossa davanti al contemporaneo
“uomo-dio” afferma il “Dio-Uomo”
come misura ultima di tutte le cose».
Nei testi vi sono interessanti squarci di teologia
ortodossa, sui quali le Chiese occidentali
dovranno misurarsi. Anche l’Ortodossia, però,
dovrebbe ascoltare obiezioni e prospettive altre,
passando nel crogiuolo doloroso e liberante
di qualcosa di simile all’Illuminismo europeo
e affrontando la modernità (un dettaglio
significativo: il Concilio ha totalmente ignorato
una lettera – «Ci siamo anche nelle vostre Chiese!
» – inviatagli dal gruppo ortodosso di lavoro
del Forum europeo dei gruppi cristiani Lgbt).
Mi ha detto il metropolita Alexandros di Nigeria,
del patriarcato di Alessandria: «Noi ortodossi
dovremmo contrastare l’idolatria del tradizionalismo».
Testi a parte, il Concilio di Creta – pur dimezzato
e perciò ferito al cuore nella sua autorevolezza
– è stato comunque importante per l’evento
in sé. Le Chiese ortodosse che, nei secoli passati,
soprattutto per contrasti politici tra gli Imperi
(ottomano, russo, austro-ungarico) e poi gli stati,
quali l’Urss, in cui si trovavano, non riuscirono a
fare un’Assemblea da tutte partecipata, ora hanno
iniziato a ri-prendere gusto per i Concili e per
una sinodalità condivisa. A Creta, infatti, hanno
deciso di riunirsi a Concilio ogni sette/dieci anni.
Pesa, certo, sull’evento cretese,
la battaglia per la sua qualificazione
e sulle responsabilità della
sua amputazione. Bartolomeo,
che ha svolto con determinazione
il suo ruolo di “primus inter
pares”, seppure abbia fallito con
Mosca, concludendo a Chania
l’Assemblea, ha osato definire
“pan-ortodosso” il Concilio e, ignorando la lettera
di Kirill, non ha detto nemmeno una parola sui
patriarcati del “no”. Un silenzio imbarazzante,
perché i quattro assenti rappresentano, insieme,
il 70 per cento degli ortodossi del mondo. È ben
ovvio – sia detto tra parentesi – che un permanente
contrasto su presenza/assenza al Concilio
cretese renderebbe più arduo l’ecumenismo di
papa Francesco verso l’Ortodossia.
Adesso molto dipenderà dalla recezione – soprattutto
tra la loro gente – che le Chiese,
dieci+quattro, faranno dei documenti approvati
e dell’evento Concilio. Finirà tutto in tono minore,
con schermaglie implacabili tra il Bosforo
e la Moscova, o soffierà lo Spirito santo spesso
invocato nella Pentecoste greca, e si avvierà una
feconda primavera? Bartolomeo si è detto ottimista,
come mostrano le ultime parole della sua
omelia nella cattedrale dei santi Pietro e Paolo a
Chania: «Se il XXI secolo può e deve essere il “secolo
dell’Ortodossia”, il Santo e Grande Concilio
della Santissima Chiesa ha posto un pilastro per
il compimento di questa divina visione».
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