9 maggio 2020 su “Corriere della Sera”
Una Chiesa poco politica
In passato l’intreccio tra religione e prassi mondana aveva indicato all’istituzione ecclesiastica la direzione del suo impegno
di Ernesto Galli della Loggia
È ormai un luogo comune notare il carattere profondamente politico del pontificato di papa Bergoglio. In verità, però, più che politico il suo appare un pontificato ideologico, e le due cose non sono affatto la stessa cosa. Fino al punto che, come dirò, esse possono addirittura entrare in contrasto. Fin dall’epoca costantiniana la Chiesa ha sempre fatto politica: oltre ad essere un fatto di enorme rilevanza storica è un dato della sua identità autopercepita come «Società perfetta» del tutto autonoma da ogni potere. Essa cioè ha sempre agito con la piena consapevolezza della propria forza, rappresentata dalla capacità di orientare in modo significativo, spesso determinante, valori e comportamenti di grandi masse di uomini e di donne. Ha sempre fatto politica allo scopo di affermare o difendere i propri interessi e i propri valori (qualunque fossero gli uni e gli altri). Il che tuttavia ha sempre voluto dire anche altro, e cioè cercare di comprendere e interpretare i movimenti generali entro il sistema degli Stati al fine di affermare comunque la propria peculiare presenza.
Questo quadro complessivo tende però a subire con l’avvento di Bergoglio una modifica significativa. L’accusa mossa al Papa da alcuni settori radicali della sua stessa parte di essere virtualmente uscito dal solco del cattolicesimo fa sorridere. È un dato di fatto, invece, che non appena oltrepassa l’ambito delle cerimonie e dei riti, il discorso pubblico di Francesco inclina a perdere ogni specificità di tipo religioso. Certo, l’appello alla giustizia sociale, alla difesa dei deboli e degli oppressi, a una distribuzione più equa fra i popoli delle ricchezze naturali, l’invito a non manomettere irreparabilmente gli assetti naturali, tutto ciò che è la sostanza di quel discorso è in sintonia con la sostanza del messaggio cristiano. Questo messaggio risulta però fortemente modificato nel suo significato complessivo — oltre che dalla suddetta assenza di specificità «forti» di tipo religioso — da alcuni tratti tipici della piega che Bergoglio dà ad esso, e che come dicevo all’inizio portano le sue parole su un terreno che segna una frattura rispetto alla tradizione del magistero papale. Tali fattori sono in particolare due.
if (utag_data.switchAdv2017 == false || typeof(utag_data.switchAdv2017) == “undefined”) { jQuery(“#rcsad_Bottom1″).after(‘<div id=”oas_Bottom1”></div>’); } Innanzi tutto i destinatari. Anziché genericamente agli «uomini di buona volontà», ai «governanti», alle «autorità responsabili», al mondo, o a gruppi particolari designati dalla loro attività (chessò: le ostetriche, i poliziotti, i manager) — come per antica consuetudine accadeva finora — il Papa attuale ama invece sempre più spesso rivolgersi più o meno direttamente (magari scegliendoli come proprio pubblico) a soggetti vittime di situazioni negative. Ai «popoli», ai «movimenti popolari», o ad altri interlocutori analoghi: ma sempre scelti, direi, in una parte soltanto della società, quella meno favorita. Una scelta tanto più significativa in quanto è evidente che è ai discorsi rivolti ad essa che lo stesso Francesco attribuisce il maggiore significato per definire il carattere del proprio pontificato.
Il secondo elemento di frattura riguarda i contenuti non strettamente confessionali del discorso papale. Ciò che qui colpisce è il sostanziale abbandono di quella «dottrina sociale della Chiesa» che aveva tenuto il campo da Leone XIII fino a Giovanni Paolo II e che si connotava per la sua sempre ribadita posizione di centro tra capitalismo liberale e statalismo socialista. Altrettanto chiaro è l’abbandono sostanziale di un’altra declinazione tipica della pastorale pontificia: vale a dire di quell’universalismo umanistico così centrale nelle principali risoluzioni conciliari. Al posto di tutto ciò dominano viceversa il discorso di Bergoglio, insieme a una marcata noncuranza nei confronti della vicenda culturale dell’Occidente e a un’ostilità sempre allusa ma chiarissima per il capitalismo e per gli Stati Uniti, una forte simpatia per la dimensione dell’iniziativa spontanea dal basso e per l’autoorganizzazione popolare, l’avversione conseguente per tutto ciò che sa di istituzionalizzato, di ufficiale, di formale, nonché la generale condivisione delle aspettative e delle scelte fatte proprie da ogni gruppo marginale, e infine l’auspicio di una sorta di economia natural-comunitaria a base egualitaria, di cui è espressione esemplare la proposta avanzata di recente da Francesco stesso di un non meglio specificato «reddito universale».
Sono tutte cose certamente più che compatibili, in certo senso addirittura connaturate al messaggio evangelico. Le quali però cambiano di segno quando, come avviene nel discorso di Bergoglio, il messaggio evangelico e il relativo richiamo al depositum fidei cattolico tendono ad essere messi sullo sfondo fino a svanire. Come prova la diffusa assenza in quel discorso medesimo, ad esempio, di qualunque esortazione alla necessità del pentimento e della conversione o a scoprire il senso cristiano della vita e della morte, ovvero la verità della trascendenza, elemento costitutivo di ogni religione. È così che alla fine quel discorso, privo di una significativa innervatura religiosa, resta solo un discorso ideologico, di una ideologia a sfondo populistico-comunitario-anticapitalistico, non dissimile da altri in circolazione specie nel Sud del mondo.
Il fatto è che è stata proprio quell’innervatura religiosa, quella capacità di confrontare la religione con il mondo, oggi espunta o del tutto marginale, che ha sempre fatto la forza politica della Chiesa. È stato proprio quel particolare intreccio tra religione e prassi mondana che ha indicato all’istituzione ecclesiastica la direzione del suo impegno e insieme i modi concreti per adempiere ad esso. Oggi, viceversa, proprio perché portatrice di un discorso che appare attento a depurare il sociale storico da ogni effettivo richiamo religioso, e che quindi risulta esclusivamente ideologico, la Chiesa trova grande difficoltà a fare politica realmente, a essere presente con un proprio ruolo e il proprio peso nelle situazioni politiche concrete.
Scelgo in proposito due esempi. Il primo: da tempo — e in seguito all’epidemia di Covid 19 più che mai — l’Unione europea è attraversata al proprio interno da una divisione-scontro Sud/Nord. Un gruppo di Paesi del Sud Europa (Italia, Francia, Spagna, Portogallo i principali) si contrappone a un gruppo di Paesi del Nord (Germania, Olanda e Finlandia in testa) su una serie di questioni che alla fine riguardano i valori sociali e politici fondamentali che devono prevalere in una collettività; e si dà il caso (un caso forse non del tutto casuale) che i Paesi del primo gruppo siano quasi tutti di tradizione cattolica. Secondo esempio: non da oggi (ma ancora una volta oggi più che mai) la base degli equilibri mondiali (non solo politici o economici) in vigore da oltre mezzo secolo sta mutando drammaticamente a causa dell’attivismo inedito e spregiudicato di due gigantesche aree politico-culturali: quella russa e quella cinese, entrambe indifferenti ai diritti umani e tanto più alla libertà religiosa. Ebbene, forse mi sarò distratto, ma su ognuno di questi due nodi di questioni, dalle implicazioni innumerevoli e decisive per l’avvenire del mondo, qualcuno ha notizia di una presa di posizione autorevole, di un gesto realmente significativo, di una iniziativa di rilievo, di un qualcosa qualunque da parte della Santa Sede o della Chiesa Cattolica?
9 maggio 2020
Sull’editoriale di Galli della Loggia del 9 marzo sul “Corriere”
Sul “Corriere della Sera” del 9 maggio scorso Ernesto Galli della Loggia ha scritto “che non appena oltrepassa l’ambito delle cerimonie e dei riti, il discorso pubblico di Francesco inclina a perdere ogni specificità di tipo religioso”. La sostanza del suo discorso pubblico pur in sintonia con il messaggio evangelico, sarebbe povera “di specificità ‘forti’ di tipo religioso”, onde per cui il suo pontificato segnerebbe “una frattura rispetto alla tradizione del magistero papale”. Per dimostrare quanto enuniciato ricorre a due argomenti. Il primo è che invece di rivolgersi a tutti gli uomini di buona volontà, il papa si rivolgerebbe a “una parte soltanto della società, quella meno favorita”. La seconda frattura (scomposta, verrebbe da osservare) riguarderebbe il “sostanziale abbandono della dottrina sociale della Chiesa”, dell’“universalismo umanistico così centrale nelle principali risoluzioni conciliari”, la “marcata noncuranza nei confronti della vicenda culturale dell’Occidente”. A ciò si aggiungerebbe l’ostilità verso il capitalismo e gli Stati Uniti, la simpatia per l’autoorganizzazione popolare dal basso, l’avversione per gli aspetti formali e istituzionali, la condivisione delle aspettative dei gruppi marginali e infine l’auspicio di soluzioni egualitarie sul piano economico prospettate nella formula del «reddito universale». Nulla di più prossimo a quanto annunciato nella Buona novella, ma che a Galli della Loggia fa strocere il naso.
A suo giudizio, infatti, il messaggio evangelico e il relativo richiamo al depositum fidei tenderebbero a evaporare, come proverebbe la mancanza di esortazioni alla necessità del pentimento, della conversione “a scoprire il senso cristiano della vita e della morte, ovvero la verità della trascendenza, elemento costitutivo di ogni religione”. Svuotato dei contenuti religiosi il discorso di papa Francesco finirebbere per essere ideologico, “di una ideologia a sfondo populistico-comunitario-anticapitalistico”.
Così operando la Chiesa di Bergoglio troverebbe grande difficoltà a influire politicamente nella presente situazione. Difficoltà dimostrate dal mancato sostegno ai paesi del Sud Europa di tradizione cattolica nello scontro nell’ambito dell’Unone Europa con quelli del Nord sulla situazione creata dalla pandemia del Covid 19, e dalla mancanza di prese di posizioni sulla questione dei diritti umani e della libertà religiosa in Cina e Russia.
Fin qui l’articolo, che se da una parte è abbastanza scontato nel far notare la discontinuità dell’attuale pontificato rispetto ai precedenti, dall’altro presenta un’architettura argomentativa molto debole nel descrivere e valutare il nuovo orientamento. Lasciando da parte la visione confessionale sottesa nel richiamo alle tradizioni cattoliche dei paesi dell’Europa del Sud, che lascia intendere che il papa dovrebbe difenderli contro quelli prevalentemente protestanti del Nord, ne riprendo due aspetti.
Per quanto riguarda il primo, l’impressione è che Galli della Loggia abbia un’idea molto catechistica anni cinquanta e devozionale dell’“elemento costitutivo” del cristianesimo, che certo continua ad essere presente nella Chiesa, ma che non può essere presentata come unica e soprattutto come normativa. Da questo punto di vista, osservare che il papa è poco religioso, non è da prendere come sparata irriverente, purché ci si renda conto che il richiamo di Galli della Loggia non è all’“elemento costitutivo” del cristianesimo, ma alla sua interpretazione di ciò che dovrebbe essere, interpretazione che nell’attuale dibattito ecclesiale si sta oggi confrontando con altre concezioni teologiche ed eccesiologie. Se tanti pontificati dalla metà dell’Ottocento hanno avuto come sottotesto culturale Joseph De Maistre e poi Jacques Maritain, per la verità mai del tutto superati, non si capisce perché sia da considerare poco religioso un papa che s’ispira a Karl Rahner. Cosa c’è di più religioso, nel senso del richiamo alla trascendenza, dell’enciclica programmatica Evangelii gaudium e di più politico rispetto ai drammatici problemi dell’ambiente e del mutamento climatico della Laudato si’? Con lo stesso criterio non solo papa Francesco ma anche il santo omonimo sarebbe poco “religioso”. E come chiedere pentimento e conversione da un pulpito che rappresenta un’istituzione che ha solo contraddittoriamente iniziato il processo di pentimento (con Giovanni Paolo II) e non ancora quello della conversione?
Il secondo aspetto è quello che l’articolo evade e che propio per questo sorpende, se possibile, più del primo, essendo l’autore uno storico, cioè persona abituata, per i protocolli dell’uffizio, a collocare le figure nel tempo e nello spazio. Papa Bergoglio si è trovato al timone della Chiesa dopo anni di non governo dell’Istituzione romana, abbandonata nelle mani di una curia vorace dagli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, causa malattia, e non governata dal suo successore per manifesta inadeguatezza al compito, testimoniata dalle sue dimissioni, dopo 16 anni di irruzioni nella politica italiana della Conferenza Episcopale Italiana presieduta dal cardinale Camillo Ruini e, come se non bastasse, mentre con le denunce di tantissimi casi deflagrava lo scandalo della pedofilia, il più grande nella storia della Chiesa dai tempi della simonia. Per quanto concerne lo spazio, la provenienza di Bergoglio dall’Argentina, non poteva non riequilibrare l’asse di una Chiesa storicamente eurocentrica, quando mai come oggi il vecchio continente, trova giustificazione demografica dell’aggettivo, mentre nell’America latina colpita dalla repressione curiale della teologia della liberazione imperversano sette e chiesuole sedicenti evangeliche. Così evangeliche da sostenere personaggi come Bolsonaro. Tutto questo in una fase nella quale il papa è oggetto di una sistematica campagna denigratoria da parte dei settori ecclesiastici più conservatori. Qualcosa di simile, non si vedeva in Italia dai tempi di Pio IX. Con la sola differenza che mentre allora, almeno dopo il 1849, furono i liberali a schierarsi contro papa Mastai Ferretti, sono adesso le destre a farlo, da quella perbenista e benpensante a quella dichiaratamente fascista, passando per quella sguaiatamente sovranista dal rosario in mano.
Tra Otto e Novecento, quando la Chiesa cattolica fu percorsa dal movimento riformatore modernista, la cultura idealista italiana ne applaudì con entusiasmo la condanna da parte di Pio X nell’enciclica Pascendi (1907). Mentre erano in gestazione le intese clerico-moderate, infatti, il cattolicesimo andava bene così com’era, e cioè come fattore di stabilità degli equilibri sociali esistenti. Viene da chiedersi se oltre un secolo dopo Galli della Loggia non sia un epigono, non dico di quella linea, ma di quell’atteggiamento. Non foss’altro per il contributo che (inconsapevolmente?) ha fornito all’offensiva integralista contro papa Francesco.
Alfonso Botti
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