Un libro appassionato, quasi un testamento politico di un grande protagonista dell’Italia repubblicana. Un regalo ai giovani del Terzo Millennio perché sappiano che c’è stato un tempo in cui era possibile immaginare il futuro. Un tempo di utopie concrete, di ideali e grandi speranze. Forse il modo migliore per cercare di capire il nostro tempo impazzito è raccontarlo in forma di lettera. Dire ai nuovi nati del Millennio, che c’è stato un tempo in cui la guerra era stata messa al bando, l’altro era diventato il centro di attenzione e di cura del pensiero, la politica era vista come luogo possibile per un rilancio della società in chiave umanistica, il giornalismo era una professione fatta per amore non per cinismo e la Chiesa aveva fatto l’opzione preferenziale per i poveri. Un tempo solido, gravido di ideali e di utopie, nonostante i problemi che sempre hanno cercato di ostacolare il cammino storico dei popoli e degli uomini. Un tempo che oggi sembra sparito e risucchiato nei gorghi desolanti del sovranismo, dell’etnonazionalismo, del rigurgito razzista e classista. L’ultimo libro di Raniero La Valle è un regalo che uno dei protagonisti della storia repubblicana offre al mondo con un occhio speciale rivolto ai ragazzi di oggi, figli della modernità liquida e della società tecnocratica. Le sue lettere riproducono la bellezza e la poesia di una comunicazione “altra”, più profonda, più meditata, più paziente, più lenta: «Sono lettere in bottiglia che hanno già viaggiato in mano a corrieri e bande di frequenza e altri vettori postali, e magari sono anche giunte a destinazione, ma poi invece di perdersi hanno preso la via del mare in fragili vetri per raggiungere, chissà, altri destinatari che un giorno potrebbero trovarle e perfino trarne giovamento, una illuminazione, una notizia, una storia, un ricordo». Un libro che ricostruisce i grandi fatti del Novecento con senso critico e con attenzione etica, e ammonisce che le cose, in particolare i genocidi, non vengano lette e deprecate solo dopo che sono successe, ma svelate e contrastate mentre esse accadono. Queste lettere portano con sé, nella loro traversata del mare, i segni della transizione. Partono da lontane scissure come “la morte del padre”, ossia il delitto fondatore che fu il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, l’abbandono dell’istanza rivoluzionaria in Italia e il suicidio del partito comunista, il lungo assedio alla Costituzione, ma rivendicano anche la conversione culturale e politica a metà del Novecento, la scelta fatta per l’umano, il ripudio della guerra, le Nazioni Unite, Il Concilio e l’irruzione della grande novità di papa Francesco a cui il libro è dedicato. Tante cose sono cambiate e tanti problemi oggi attanagliano i nuovi nati nel Duemila. La Valle sferza i lettori con una intensità che a tratti apre spazi profondi di lirismo: «Non era mai successo che i banchieri di tutto il mondo fossero uniti e i poveri divisi. Non era mai successo che ci fossero più scartati ed esclusi, che sfruttati ed oppressi. Non era mai successo che si progettassero guerre in cui si muore da una parte sola. Non era mai successo che il naufrago potesse erompere nel grido: “Terra! Terra!”, ma la terra gli si negasse, i porti gli fossero chiusi in faccia. Non era mai successo che ai giovani fosse perfino impossibile immaginare il futuro…». Leggere le lettere di La Valle ha senso non soltanto per comprendere la storia e pensare il futuro, ma perché l’autore è un testimone diretto e privilegiato degli eventi più sconvolgenti che hanno accompagnato il passaggio dal secondo al terzo millennio: «E se ha un senso leggerle (queste lettere) è perché io sono uno dei pochi che avendo vissuto “quel nostro Novecento” può ancora ammonire e gettare uno sguardo di trepidazione e d’amore su questo “vostro Duemila”».
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