Un gesto che ferisce la comunità ecclesiale e l’impegno civile per la pace.
Tristezza, sconcerto e anche indignazione. Che paradosso proclamare papa Giovanni XXIII patrono dell’esercito! E’ come dichiarare Francesco d’Assisi patrono del sistema finanziario o madre Teresa patrona delle multinazionali.
Le ragioni del patronato sono biograficamente riduttive, forzate o parziali, tutte legate alla sua esperienza di cappellano militare durante la prima guerra mondiale “inutile strage”. Ma Roncalli non è morto in quegli anni. Proclamarlo patrono per le sue doti di cappellano militare vuol dire snaturarne il messaggio, inchiodarlo a un’esperienza discussa e tremenda che ha superato approdando ad altre argomentazioni, ad altri orizzonti (Concilio, Pacem in terris) così come ha fatto Primo Mazzolari.
Già all’indomani della fine della prima guerra mondiale, Roncalli affermava: «Ciò che vale veramente e soprattutto non è la forza delle spade e dei cannoni, ma la forza della giustizia davanti al cielo e alla terra, la forza del diritto e insieme della umana e divina fraternità degli uomini, il senso dell’onore. In queste cose sta il progresso verace degli individui e delle nazioni» (omelia 17 novembre 1918, chiesa di Santo Spirito, Bergamo). Nel giugno 1940 osservava che “la guerra è un periculum enorme. Per un cristiano che crede in Gesù e nel suo vangelo un’iniquità e una contraddizione”.
Nella Pacem in terris del 1963 invita tutti al “disarmo integrale” considerando la guerra moderna come “l’incubo di un uragano” e un fenomeno assurdo, “alienum a ratione” (60, 61, 67).
E’ di guerre, infatti, che si parla quando si parla di esercito. Ultimamente, le guerre in Iraq, in Serbia, in Libia, in Afghanistan sono state le azioni scellerate (e controproducenti) che i governi italiani hanno promosso riuscendo sia ad aggirare l’articolo 11 della Costituzione, sia ad arricchire i fabbricanti di armi, complici dei Parlamenti che rinnovano esorbitanti finanziamenti per sistemi d’arma, bombe, missili, aerei e navi da guerra tanto da non avere più denaro per curare i malati, istruire i giovani, sconfiggere le marginalità sociali, contastare il dissesto idrogeologico, prevenire le calamità.
Le missioni militari cosiddette di pace raramente sono dentro un’ampia strategia ONU di contrasto alle violenze con forme adeguate di polizia internazionale. Oggi “il libro bianco della difesa” prefigura interventi contrari alla Costituzione della Repubblica, colpisce il fondamento giuridico della nostra carta fondamentale che intende ripudiare le guerre e prevenire i conflitti senza l’uso della guerra.
Ezio Bolis, su “l’Osservatore romano” (11 settembre 2017), osserva che tale scelta potrebbe essere “una provvidenziale occasione per riflettere in modo ponderato sul significato e l’opportunità di una presenza, quella dei cappellani militari, all’interno di un’istituzione qual è l’esercito”. Con azzardo utopistico potremmo aggiungere addirittura che la riflessione su papa Giovanni potrebbe ridimensionare lo stesso esercito, allontanarlo dalla Nato, limitarlo a una funzione rigorosamente difensiva.
Magari fosse così. Le dinamiche economiche, politiche e militari vanno in altre direzioni (distruttive e devastanti). Occorre molto realismo per vincere il rischio di ingenuità o di ipocrisia!. In realtà siamo davanti a due tristi operazioni: alla cattura burocratica-castale di un papa noto al mondo per la sua azione di pace e per averci donato la Pacem un terris; al tentativo di imbrigliare e ostacolare il magistero di pace di papa Francesco, ritenuto troppo audace e scomodo, spesso in contrasto con alcune pratiche o silenzi dei vescovi italiani (vedere i suoi interventi al Convegno ecclesiale di Firenze del novembre 2015 o quelli alla CEI nel maggio del 2015 e 2017).
Forse per molti ecclesiastici la via della nonviolenza, indicata da Francesco nel messaggio del 1 gennaio 2017, è ritenuta impossibile e pericolosa. Forse molti ritengono assurdo parlare di terza guerra mondiale a pezzi. Continuo a ritenere con Francesco che la via per la pace può essere solo una via di pace (come ha detto in Colombia il 10 settembre 2017), un’arte da esercitare, un impegno non proclamato a parole ma di fatto negato con strategie di dominio supportate da scandalose spese per armamenti mentre troppe persone sono prive del necessario per vivere. Il magistero di pace dei papi non si merita simile trattamento!
Sergio Paronetto (presidente Centro Studi di Pax Christi Italia)
Roma, 12 settembre 2017
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