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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

L’ultimo articolo di Giancarlo Zizola

Un polo organico della Sanità cattolica in Italia

 È scomparso mercoledì scorso Giancarlo Zizola, autorevole giornalista e studioso del mondo ecclesiastico. Rilanciamo qui l’ultimo scritto di Zizola, un elzeviro inedito diffuso dal suo amico personale e collega vaticanista Giuseppe di Leo sul sito FaiNotizia.it.

di Giancarlo Zizola (1936-2011)

 

Dalle cascate arabesche dei fuochi la notte del Redentore sul canale della Giudecca,con l’ostensorio d’oro innalzato nel segno della croce dal patriarca Scola dal molo della basilica palladiana su battelli ebbri di nudi, alcol, rock duri e baccanali leghisti per celebrare ormai paganamente la scampata peste veneziana del 1575, al colpo della Smith&Wesson con cui Mario Cal si spaccava la testa quarantotto ore dopo al San Raffaele di Milano: riti dell’antica civitas festante corrotti nell’osceno del neo paganesimo liberista e raccapriccianti storie di doppifondi di casseforti e tabernacoli hanno disegnato nei cieli d’Italia di fine luglio i colpi di coda della crisi del cattolicesimo. Le analisi convergono nel chiamare in causa la peste del potere che ha invaso la Chiesa come uno tra i fattori principali di questa crisi. Eppure è ancora sulla ricerca di nuove forme del potere che la Chiesa sembra orientata a investire, nella speranza di traghettarsi indenne oltre la crisi. “Basta con la profezia, ora dobbiamo preoccuparci della politica ” troncò netto un arcivescovo in una riunione episcopale in cui si parlava delle scuole di formazione alla politica.

     Quello sparo, nel tempio elevato da Don Verzè al Dio che guarisce (“Raf-El” in ebraico), manda risolutamente all’aria i provvisori equilibri di una transizione consensuale, benché frettolosamente rabberciata: le strategie della finanza cattolica sono costrette a portare sotto i ferri i suoi tumori e imperi segreti, a cedere alla regola della trasparenza e a soccombere agli imperativi dell’etica economica che la Chiesa predica, ma talora non pratica. La leggenda del prete-imprenditore che scarica sulla Provvidenza ogni voragine finanziaria è finita come doveva finire: in tragedia.

    Sulla nomina di Scola a Milano, un fantavaticanismo sciolto dal dovere dell’analisi si è abbandonato a mitologie congetturali così incolte da affibbiare a Ratzinger l’intenzione di servirsi della mossa per inaugurare l’ufficio di collocamento per il prossimo papa. Un reato canonico oltre che un delfinato controproducente.

 

    In realtà la scelta per la cattedra di Sant’Ambrogio si faceva propriamente comprendere meglio alla luce di una prospettiva di riordinamento e controllo a Milano delle svariate e non di rado esorbitanti figure di potere in cui si articola il mondo cattolico. “E’ il solo che potrebbe disciplinare lo strapotere di Cl “ ha spiegato una fonte vaticana. “Né l’arcivescovo Forte, assai stimato dal papa, né altri candidati avrebbero potuto affrontare con pari autorevolezza e facendosi ascoltare dai riguardati il richiamo all’ordine spirituale di Movimenti che si sono esauriti nel prassismo politico. E sappiamo che, come osserva Marco Vitale, la sanità a Milano è Cl. Se Scola, che li conosce, agirà, come speriamo, con buona coscienza, potrà sviluppare il compito per il quale Benedetto XVI lo ha mandato”.

 

    Il Vaticano di Benedetto XVI e del suo segretario di Stato Tarcisio Bertone ha un disegno per l’Italia post-berlusconiana . Passa per una riaggregazione della cultura politica e sociale dei cattolici. Ma anche per una fase empirica, il cui obiettivo è la costituzione di un polo cattolico organico della sanità in Italia: il Vaticano ha già il controllo diretto del Bambin Gesù a Roma ed ora mira a portare sotto ali biancogialle le altre due maggiori istituzioni ospedaliere e universitarie del mondo cattolico italiano, il Policlinico Gemelli dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e il San Raffaele di Milano,

 

    La rapida discesa in campo dell’Istituto per le Opere di Religione per affrontare concretamente la crisi finanziaria del San Raffaele e scongiurare il rischio di fallimento per un indebitamento stimato in circa 1 miliardo di euro, sarebbe giustificata da un ritorno politico-culturale di massimo interesse: il fine strategico del piano della Santa Sede sarebbe orientato a formare in Italia una potenza scientifica e sanitaria direttamente riferita alla responsabilità della Chiesa universale e dotata della capacità di competere con le culture e i poli di interesse laici. Tanto più in un’ora come questa altamente incerta in cui la Chiesa trepida per la fragilità degli interventi dei cattolici, subisce con ansietà la massiccia e esorbitante potenza delle forze secolari, una volta ammesso che non basta la sola opinione cattolica a innalzare delle difese e progettare delle pratiche reali ispirate ai “valori non negoziabili”, in particolare sulle grandi frontiere delle opzioni bioetiche.

 

    Lo stesso Policlinico Gemelli della Cattolica di Roma (con il suo enorme potenziale medico e scientifico) dovrebbe inquadrarsi in questo disegno strategico, con l’annessa Facoltà di Medicina e il polo bioetico. Tra le grandi Università che fanno capo alla galassia cattolica, quella fondata da Padre Gemelli non si è ancora fregiata del titolo di Università Pontificia, che ne farebbe un’istituzione di diritto pontificio. Alcuni settori del laicato cattolico paventano che le relative clausole canoniche sarebbero indubbiamente vincolanti anche sulla ricerca scientifica, più di quanto lo siano le categorie vigenti in un’istituzione universitaria autonoma nei suoi regolamenti e nella sua struttura dirigente, che fa capo all’Istituto Toniolo.

 

    Con l’arrivo di Scola a Milano a settembre, gli tocca di diritto la presidenza dell’Istituto, che è cabina di regia e cassaforte della Cattolica, dove la presenza di forti Movimenti, in particolare Opus Dei e Cl, è particolarmente significativa. Si annunciano nuovi equilibri all’interno della storica istituzione formativa dei cattolici italiani, tanto più in un’ora in cui la Segreteria di Stato sollecita la produzione di un nuovo ceto dirigente di cattolici da destinare alla direzione politica del Paese. Mentre la Chiesa prende atto che la Compagnia delle Opere, tradizionale braccio secolare di Cl, su cui in epoca ruiniana la Chiesa sembrava puntare per selezionare la nuova élite politica del cattolicesimo italiano, non solo non si sarebbe dimostrata all’altezza dello scopo sperato ma anche non sembra conoscere più gli strabilianti successi economici e politici del passato. Nella Chiesa italiana si è arrivati anche se tardivamente a capire che il compromesso col berlusconismo non si è rivelato, in realtà, un buon affare, nemmeno dal punto di vista dei vantaggi materiali, non si dice di quelli in etica politica. La nuova fase del decisionismo politico della Chiesa in Italia sarebbe l’esito di una ammissione degli errori compiuti più che il prodotto maturo di una opzione non sulla gestione de potere ma sulla costruzione della convivenza umana mediante rapporti fraterni.

 

     “Il nostro azionista è sopra di noi e ha fatto in modo che la Santa Sede lavorasse per la mia Opera” ha dichiarato Don Verzé aprendo il consiglio di amministrazione della Fondazione Monte Tabor, la holding ai vertici del sistema San Raffaele. Per chi conosce in modo non superficiale la biografia del fondatore, è difficile rifiutare il dubbio che egli abbia preferito rimuovere in quel momento la sua storia di conflitti aperti con la Chiesa per salvaguardare il principio dell’autonomia della scienza medica dalle invasioni clericali. In un dialogo con Padre Gemelli nel 1957 don Verzè era stato chiaro: “La progettata facoltà di medicina non doveva avere la scritta ’cattolica’ sul frontone. L’epoca dell’apologetica, della contrapposizione fra Chiesa e società moderna doveva considerarsi esaurita. Feudalizzare una scienza cattolica equivaleva a non produrre scienza.”

 

    Per la stessa ragione, il progetto del San Raffaele sorse fra opposizioni talora feroci dell’establishment gerarchico. Don Verzè lo aveva immaginato come un centro medico e di ricerca sì con il carattere della cattolicità, ma senza l’etichetta ostentatoria, con una larga apertura, con una leale obiettività verso ogni categoria, senza alcuna distinzione fra ricchi e poveri, accogliendo scienziati di ogni orientamento per organizzare “una comunità flessibile, impegnata sull’intero ventaglio dello scibile, dall’etica alla radioattività, dalla teologia alla genetica”.

 

     “L’Opera Monte Tabor servirà la Chiesa se non soggiacerà alla Chiesa” aveva detto in un libro intervista nel 1994 (“Un’ala per guarire”,edizioni San Paolo). “Servirà le pubbliche istituzioni, Stato, Regioni, Università, se non si asservirà a loro. Servirà gli uomini se starà con gli uomini come fa Dio semplicemente mediante il Cristo”.

     La domanda è se il salvataggio finanziario vaticano richiederà come contropartita, con il controllo delle maggioranze azionarie, la perdita di questa aconfessionalità fondativa delle istituzioni pilastro del sapere scientifico dei cattolici italiani. L’attenzione agli aspetti problematici e alle deprecabili opacità delle gestioni finanziarie, per una opportuna moralizzazione, sembra abbia fatto scendere su un piano meno percepibile la questione della partita decisiva: quella del rispetto delle autonomie culturali dei cattolici in settori cruciali e dei limiti dell’intervento vaticano nel controllo ideologico dei saperi elaborati nella laicità pertinente ai fedeli laici riconosciuta dal Concilio Vaticano II.

    Ancora una volta, è la questione della ricerca del potere da parte della Chiesa che è in gioco in questa vicenda. Difficile immaginare se l’ostensorio dell’ultima festa del Redentore per Scola possa trasformarsi nelle mani del nuovo arcivescovo di Milano nel veemente bastone pastorale che il pittore Paolo Consorti, nella sua collezione sulla “Ribellione dei Patroni” alla Biennale di Venezia (padiglione Italia) ha messo in mano a un furente Sant’Ambrogio affiancato dalla patrona di Palermo Santa Rosalia per colpire un politico malavitoso in doppiopetto e con la testa di maiale atterrato sotto i suoi piedi.

 


Giancarlo Zizola (Valdobbiadene, 13 aprile 1936 – Monaco di Baviera, 14 settembre 2011). Giornalista vaticanista, aveva cominciato la sua carriera con le cronache del Concilio Vaticano II, grazie alla segnalazione di Giovanni XXIII e del suo segretario Loris Capovilla. Ha collaborato con numerose testate, tra cui Avvenire, Il Giorno, Panorama, Il Sole 24 Ore e (dal 2010) La Repubblica. Autore di diversi volumi di storia della Chiesa, dedicati al Concilio Vaticano II e in particolare ai papi del XX secolo. Tra essi segnaliamo: Dialogo della grande muraglia, Marietti, 1986; La Chiesa nei media, SEI, 1996; Attualità di Francesco d’Assisi, Pazzini, 1996; Don Giovanni Rossi. L’utopia cristiana nell’Italia del ‘900, Cittadella, 1997; L’utopia di Giovanni XXIII, Cittadella, 2000; Giovanni XXIII. La fede e la politica, Bari, Laterza, 2000; L’informazione in Vaticano. Da Pio IX a Giovanni Paolo II, Pazzini, 2002; L’altro Wojtyla. Riforma, restaurazione e sfide del millennio, Sperling & Kupfer, 2003; La spada spezzata. Chiesa, guerra e «scontro di civiltà» nel Novecento, Ancora, 2005; I papi del XX e XXI secolo. Da Leone XIII a Benedetto XVI, Newton Compton, 2005; Il Conclave. Storia e segreti, Newton Compton, 2005; Bendetto XVI. Un successore al crocevia, Sperling & Kupfer, 2005; Fedi e poteri nella società globale, Cittadella, 2007; Santità e potere. Dal Concilio a Benedetto XVI: il Vaticano visto dall’interno, Sperling & Kupfer, 2009. 


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